CARLO SINI PER PAPI
di
Carlo Sini
Papi nel suo studio
(foto archivio Odissea)
(foto archivio Odissea)
Durante
molti e molti anni ho avuto la fortuna di poter considerare Fulvio Papi uno dei
più cari e affettuosi amici personali, oltre che un collega straordinario e,
vorrei dire, un compagno di strada con il quale ho avuto l’onore di collaborare
in innumerevoli occasioni pubbliche, accademiche e non, godendo anche della sua
generosa considerazione. Questo però non è tutto.
La
figura di Papi ha infatti rivestito per me un tratto di autorevolezza e di
superiorità personale, dovuta credo al fatto di aver incontrato Papi per la
prima volta nella sua funzione di assistente di Antonio Banfi alla Statale di
Milano; io ero invece uno studentello alle prime armi. E così ricordo
perfettamente il mio esame di Storia della filosofia con Banfi, che aveva al
suo fianco il giovanissimo Fulvio. Lo stesso Papi ha avuto la bontà di ricordare
in diversi suoi scritti le circostanze di questo esame, che ora mi è ancora più
caro nella memoria. E il fatto è che da allora Papi è sempre stato per me più
avanti e più in alto della mia persona: una figura autorevole, anche sullo
sfondo delle nuove relazioni di lavoro e personali, nelle quali mi trovavo
nondimeno collocato alla pari come collega e come amico (e tra gli amici tutto
è comune, diceva Aristotele). Questo fatto antico mi ha consentito di osservare
un aspetto concernente la personalità umana di Fulvio Papi: la sua naturale
autorevolezza, appunto, un tratto spontaneo e del tutto in contrasto con altri
aspetti. Tutti coloro che hanno conosciuto Papi hanno certamente notato la sua assoluta
assenza di pretese, la sua cordialità genuina, il non darsi mai arie di sorta e
anzi l’esibizione di una spontanea bonomia, signorilità e semplicità nel
rapporto, oltre alla generosità, che era un tratto predominante della sua
natura, di cui io stesso ho ampiamente goduto nei suoi giudizi. Tutto ciò è
verissimo, ma l’autorevolezza è in sé un’altra cosa e in Papi era qualcosa di
profondo e di innato, di cui penso non fosse neppure consapevole. Ne ho nella
memoria vari episodi ed esempi concreti: per esempio di fronte ai colleghi di
Filosofia teoretica, quando chiedemmo la loro collaborazione per la richiesta
al Ministero della assegnazione della Filosofia della storia al nostro raggruppamento
(la quale stava invece, chissà perché, in Morale); poi nello svolgimento di una
Commissione di Concorso a Pavia (bloccando certe pretese del terzo Commissario)
e così in altre circostanze. Papi “tagliava corto”, asciutto nella sua cortesia
formale, ma tranquillamente sicuro di sé, certo di fare il giusto e serenamente
impositivo; da ciò scaturiva una autorevolezza per nulla autoritaria, “oggettiva”,
e pertanto efficace e indiscutibile.
Questo
tratto del mio Fulvio ha accompagnato i nostri rapporti tutta la vita, senza
ovviamente che lui ne sapesse qualcosa. Anche nei momenti di maggiore
familiarità non ho mai smesso di sentirmi come di fronte a una persona cui si
doveva particolare rispetto, non banalmente formale ma sostanziale; forse posso
azzardarmi a dire: come si deve a un fratello maggiore, dalla personalità molto
più grande e ammirevole. Ma lo dico con prudenza ed esitazione, ora che
purtroppo Lui non c’è più a rassicurarci col suo sguardo sereno e con i suoi
modi semplici e diretti, ora che la perdita ha per me anche questo tratto unico
e indimenticabile.