FULVIO PAPI, POESIA E VITA
di
Giancarlo Consonni
Papi con i poeti Luzi e Sereni
nel 1981 alla Fondazione Corrente
«Poesia e vita restano in una
reciproca impossibilità di esaustione: né la poesia riscatta al valore
definitivo e univoco l’incidente perpetuo della vita, né la vita mette nella
propria direzione compiuta il senso della poesia». Mi capita di ritornare su questa
affermazione di Fulvio Papi (La parola incantata e altri saggi della filosofia
dell’arte,
Guerini e Associati, Milano 1992, p. 104). Papi delinea due limiti: della
poesia in rapporto alla vita – e questo si capisce
–, ma anche della vita in rapporto alla poesia. E questo è più arduo da
afferrare. Ma nell’indicare il rispecchiarsi di due impossibilità – quella
della poesia di conquistare un senso «definitivo e univoco» in cui racchiudere
la vita (il suo «valore») e quella della vita, ovvero degli esseri umani, di
possedere le chiavi per accedere fino in fondo al «senso della poesia» – Papi ci
conduce sulla soglia del segreto dell’esistenza. È lì, in prossimità dell’inconoscibile,
che l’umano prende coscienza della sua condizione e dei suoi limiti. Solo stando
dentro alla vita e facendone esperienza con questa consapevolezza – essere nel
vivo della vita senza mai discostarsi dalla soglia che dà sul mistero – la
conoscenza, il pensiero e, ancor più, la poesia possono procedere; ovvero
cogliere ciò che è possibile della condizione umana.
E questo con attenzione particolare a ciò che può
riscattarla e innalzarla, non a sfere immaginarie, ma in direzione della piena
realizzazione dell’umano. Grazie Fulvio.
nel 1981 alla Fondazione Corrente