IL MEMORIALE DELLA SHOAH
di
Angelo Gaccione
In
via Ferrante Aporti sotto la Stazione.
Cominciamo con una doverosa
rettifica: quello che impropriamente viene chiamato Binario 21 della Stazione
Centrale di Milano, non è il binario da cui partivano i vagoni piombati con
ebrei, oppositori politici e quant’altro verso i campi di concentramento e di
sterminio. Il binario 21 era il Binario Regio ed era riservato al re e alla sua
famiglia. Se vi prendete la briga di andare a controllare troverete ancora gli
appartamenti ben tenuti, che di fronte al binario erano allestiti, e dove
potevano passare la notte con tutti i conforti. Conforti non ne avevano,
invece, i disperati che venivano portati in via Ferrante Aporti e scaricati
come bestie assieme alla posta. Dovete percorrere un tratto della via Aporti e
giungere a quella che ora si chiama piazza Edmond Jacob Safra, ricavata per
rendere omaggio a quest’uomo che in vita è stato un filantropo, e dunque è cosa
buona e giusta. I sequestrati senza colpa dai criminali nazifascisti
partivano sui convogli allestiti tra i binari 18 e 19, ben oltre la volta che
copre una vasta superficie della stazione, in modo che tutto potesse svolgersi
con la massima discrezione e lontano da possibili ficcanaso. Da questi sotterranei
che a noi ora appaiono come antri infernali e privi di luce, i prigionieri
venivano sollevati al piano della stazione con una specie di montacarichi –
carrello traslatore è la denominazione precisa – e sistemati direttamente dentro
i convogli. In questo ingegnoso modo i prigionieri erano portati in stazione
senza dover salire scale e senza incrociare anima viva. Chi conosce la Stazione
Centrale di Milano sa che è situata in alto rispetto alle altre stazioni
ferroviarie poste a piano strada, e che per partire bisogna salire. Non mi
viene in mente nessun’altra stazione con questa caratteristica. Ulisse
Stacchini quando la progettò nel 1931 non avrebbe giammai potuto immaginare che
il suo ingegno architettonico avrebbe favorito la discrezione dei carnefici
nella deportazione… Dal 6 dicembre del 1943 fino al 15 gennaio del 1945, dalla
Stazione Centrale partirono 20 convogli, per un totale, si stima, di seimila
deportati, molti prelevati dal carcere di San Vittore. Dodici i convogli con
ebrei, cinque costituiti da prigionieri politici e tre definiti “misti”. Per
misti si deve intendere partigiani, antifascisti, oppositori in genere al
regime, gente che si era data da fare per aiutare i perseguitati, militari
dell’esercito per lo più di grado basso, e così via. Il Muro dei Nomi, che nel
Memoriale elenca i deportati di origine ebraica, ne riporta 774. In colore
rosso sono evidenziati i nomi dei pochissimi che si sono salvati: appena 27.
Era doveroso, dunque, che Milano allestisse questo Memoriale nel luogo di tanta
disumana sofferenza. Rimasto sepolto nell’oblio è uscito dalla damnatio
memorie dei milanesi dopo oltre mezzo secolo. Con una superficie di ben 7
mila metri quadrati, questo luogo di commemorazione è rimasto pressoché
integro, ed è certamente unico nel suo genere rispetto a quanti ne sono stati
realizzati in Europa e fuori. I progettisti hanno dovuto avere l’accortezza di
conservare e il compito di renderlo essenziale e livido nella sua verità. Vi
troverete davanti il Muro dell’Indifferenza appena entrate, a ricordarvi che
non c’è comportamento più indegno di questo.
Non per nulla Antonio Gramsci in una riflessione dell’undici febbraio del 1917 scrive: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Sono parole forti, parole dure, da
meditare a fondo in giornate e tempi come questi. Richiamarle alla nostra
memoria, significa far proprio il motto ricordati di ricordare, che è
poi lo spirito su cui si fonda il Memoriale di piazza Safra. C’è la
Banchina delle Deportazioni dove sostano spezzoni di vecchie carrozze, ci sono
le Stanze delle Testimonianze per seguire i filmati, e c’è quella buia della
Riflessione dalla forma circolare; seduti in silenzio potete raccogliervi e meditare.
La illumina piano piano una luce che piove dall’alto da un ovale, a suggerire
che una luce è necessaria per non disperare del tutto. Della biblioteca di
circa 45 mila volumi e delle altre cose che scoprirete da soli non vi parlerò,
ma degli idioti che hanno frantumato con una sassaiola di stile nazista tutte
le belle e costose vetrate che si affacciano su via Ferrante Aporti invece sì.
Una miserabile imitazione, in piccolo, della notte dei cristalli in
pieno XXI secolo. Le hanno lasciate così le vetrate, con le ferite irradiate
dalle pietre, i colpi della rabbia incise sul cristallo. Guardate, vi dicono,
di qui è passata la cieca stupidità, state in guardia.