GERMANIA
di Lisa Mazzi
Parole a confronto:
un’analisi contrastiva tra Italia e Germania.
Le parole dell’anno 2023, che hanno contrassegnato
maggiormente l’atmosfera in Italia e in Germania non potevano essere più
diverse. Azzeccatissime entrambe, la loro scelta ha confermato quali temi sono
stati i più sentiti nei due paesi. Da un lato “Femminicidio”, dall’altro
“Modalità di crisi” (Krisenmodus). L’una rispecchia l’intensa drammaticità di
un gravissimo problema socioculturale, l’altra l’ammissione, non facile per l’attuale
governo tedesco, dopo il lungo e tutto sommato “felice” cancellierato della
Merkel, di avere enormi difficoltà nella realizzazione dei progetti previsti, e
dunque, nella conduzione politica della Repubblica Federale a ormai
trentacinque anni dalla Riunificazione.
Il 29/12/ 2023 Viola Giannoli su “la Repubblica”
riportava le parole della Treccani che definisce il Femminicidio come
l’uccisione diretta, o provocata eliminazione fisica di una donna in quanto
tale. Esso è l’espressione di una cultura plurisecolare, maschilista e
patriarcale. Valeria Della Valle, direttrice scientifica insieme a G. Patota
del vocabolario Treccani, l’ha presentata come una parola “irrinunciabile”. Irrinunciabile e auspicabile dovrebbe anche essere
la presa di posizione cosciente di istituzioni e popolazione di fronte al
fenomeno della violenza di genere, di cui il Femminicidio rappresenta l’apice. La
parola dell’anno 23 come un monito, un campanello d’allarme. Già nel lontano marzo
1999 l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan si era
espresso sul tema con queste parole: “La violenza contro le donne è forse la
più vergognosa violazione dei diritti umani. E forse è la più diffusa. Non
conosce confini geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà,
non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’eguaglianza, lo
sviluppo e la pace”. Pensiero ribadito anche dal suo successore Antonio Guterres
il 25 Novembre 2019 che asseriva: “La violenza di genere ha le sue radici nella
secolare supremazia del patriarcato che limita ancora oggi l’attuarsi
dell’equiparazione tra uomo e donna. A causa di ciò, delle modalità di
narrazione nei media e per leggi ancora inadeguate è difficile debellarla”.
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Scholz
La
violenza di genere ha avuto in Italia un riconoscimento ufficiale nel 2013 grazie
alla ratificazione della Convenzione di Istanbul e il reato di Femminicidio,
come tale, è entrato in Cassazione con la sentenza del 27 gennaio 2021, in cui
è stato confermato l’ergastolo per l’assassino di Giulia Ballestri. Nella
relazione della psichiatra forense G. Ciraso si legge tra le altre importanti
considerazioni che “il crimine affonda le sue radici nel tipico stereotipo
culturale, per cui la relazione di coppia è vissuta in termini di unilaterale
sopraffazione e dominio, spinti sino alla cancellazione fisica del partner, nel
momento in cui questi tenti di riappropriarsi della propria identità”. In
Cassazione si sottolinea anche “lo spregevole contesto imbevuto di
sopraffattorio e criminale maschilismo”. Ma, sia prima di questa sentenza, che
dopo di essa, in Italia troppo spesso, non si tiene ancora in dovuto conto
delle aggravanti del caso. Troppo spesso il narrativo dei media per primo non ha
reso e non rende fino ad oggi giustizia alle vittime, usando parole concilianti
nei confronti degli autori di questo terribile reato. Troppo spesso si abusa
delle parole “amore” e “bravo ragazzo” in contesti che sanno solo di violenza
crudele e di morte.
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