TACCUINI
di Angelo Gaccione
Il Seminario
Arcivescovile
Che cosa
è diventato dovete andare a vederlo direttamente. Quello che so è che l’ultima
volta (una vita fa) c’ero entrato di straforo e languiva. Un vero tuffo al
cuore. Perché quelle due cariatidi di Giambattista Casella sui lati dell’imponente portale
barocco realizzato dal Richini nella metà del Seicento: la Pietà e la Religione,
mi avevano sempre attratto. E la corte interna, o forse sarebbe più corretto
dire l’immenso chiostro quadrangolare con il suo colonnato, mi era parso sin da
subito armonioso, pur nella sua imponenza.
Meno attraente, per me, il motto della famiglia Borromeo che invita all’humilitas e che compare nella lunetta soprastante. Ovunque l’ho vista incisa, si è trattato per lo più di palazzi sfarzosi dove il motto strideva. Prima di diventare Seminarium, come si può ancora leggere nel timpano, era stato un convento di Umiliati; di quegli intraprendenti religiosi e mercanti il cui ordine verrà sciolto nel 1571 da una Bolla papale, destinandone i beni alla Chiesa “ufficiale”.
Da fuori, mai avreste sospettato che dietro il portale di Corso Venezia al numero 11 si aprisse un grandioso cortile di ben duemila e ottocento metri quadrati; che la sua mole occupi uno spazio vasto quanto l’Arcivescovado di Piazza Fontana, o forse più; che si estenda in lunghezza fino a via Sant’Andrea. Solo una veduta dall’alto vi avrebbe permesso di farvene un’idea precisa, ed entrandoci adesso, dopo la ristrutturazione, quella che è stata battezzata Piazza del Quadrilatero vi apparirà in tutta la sua maestosa grandezza, adornata dal doppio elegante colonnato ed aperta verso il cielo.
Intorno vi corrono due teorie di colonne “binate e architravate”: in stile dorico a piano terra, in stile ionico al piano superiore, il lungo loggiato su cui si affacciavano un tempo le camere dei seminaristi, ed oggi le stanze del lusso di chi ne ha fatto “una nuova destinazione che coniuga l’ospitalità su misura del brand Portrait con esperienze gourmand, shopping e culturali”. A guidare il cantiere dal 1565 fino al 1652 erano stati architetti come Vincenzo Seregni, Pellegrino Tibaldi, Aurelio Trezzi e Fabio Mangone.
A Francesco Maria Richini era stato affidato il compito di realizzare il portale con le cariatidi. La ristrutturazione odierna promossa da Lungarno Collection è stata affidata all’architetto Michele De Lucchi e allo studio AMDL CIRCLE, per un “attento progetto di rinnovamento conservativo”. Un primo restauro c’era stato nel 1967 ad opera di Piero Portaluppi per “medicare” le ferite della guerra. La furia insensata dei bombardamenti sulla città lo aveva danneggiato. Ma nel corso del tempo al Seminario Arcivescovile non furono risparmiate altre offese. I francesi nel 1796, durante la Repubblica Cisalpina, ne fecero addirittura un carcere per rinchiudervi i soldati austriaci catturati con cui erano in guerra. Andò meglio durante il Primo conflitto mondiale, i suoi locali servirono almeno per un fine più caritatevole e umanitario: ricoverare e curare i numerosi feriti.
Dopo la Seconda guerra mondiale l’arcivescovo – e poi cardinale – Giovanni Umberto Colombo decise di restaurare l’intera struttura e di affittarla parzialmente a soggetti privati (dal 1980 al 1990 vi ebbe il proprio atelier anche l’architetto Mario Bellini), per poi destinarla a sede della Facoltà di Teologia. È proprio qui, nel luogo dove aveva compiuto i suoi studi teologici, che il cardinale si spense il 20 maggio del 1992 alla veneranda età di 90 anni. Il totem sul lato dell’edificio è rimasto quello di un tempo e non c’è stato aggiornamento alcuno per il passante o il visitatore, e forse è un bene.
Un merito grande il “rinnovamento” lo ha avuto: aprire i suoi
portali alla città. Non c’è più il silenzio di un tempo, siete circondati da
negozi di lusso (di fianco c’è via Della Spiga), ma il fascino resta. Dormire
nelle sue stanze non è permesso alle mie tasche; “l’ospitalità su misura del brand”
e le “esperienze gourmand” me lo sconsigliano, ma sedersi ad uno dei
tavolini sotto i portici fa pur sempre un certo effetto.