L'intelligenza
che dovrebbe caratterizzare l'esser di sinistra per la costruzione di un'unità
che sappia, nelle differenze, creare le condizioni di questa unità, ha ancora
una volta confermato il suo limite strutturale: quello di dividersi.
Inopportuno
l'accostamento tra Shoah e genocidio di Gaza perché, sul piano comunicativo,
può indurre l’opinione comune, davanti alla pulizia etnica del popolo
palestinese, a pensare che la Shoà, in fondo, sia un evento tragico,
certo, ma dove le vittime di ieri sono i carnefici di oggi, generando così
ignoranza della storia. In un momento storico dove l'emotivismo e la pancia la
fanno da padrona sulla ragione, occorre essere prudenti due volte.
Sono
da biasimare altrettanto le parole di Carrai, in risposta a quell’iniziativa,
perché fanno dell’antifascismo italiano un uso di parte e perché implicitamente
rimarcano che la pace è un prodotto di logiche che con la pace nulla hanno a
che fare. Il disagio di Carrai sulla partecipazione dell’Imam di Firenze,
Izzedin Elzir, all'iniziativa dell'ANPI di Bagno a Ripoli, disagio che traspare
dalle sue parole quando ricorda che mentre la brigata ebraica lottava al fianco
della resistenza italiana, il Gran Mufti di Gerusalemme era alleato di Hitler,
sta lì a dire cosa? Che i palestinesi di oggi sono responsabili delle
persecuzioni degli ebrei durante il nazismo? Che i palestinesi di oggi sono
tutti nazisti? Che la “guerra ad Hamas” che ha fatto 25.000 morti civili è
giustificata perché il Muftì era nazista? O perché quei 25.000 civili erano
tutti terroristi di Hamas oppure nazisti?
Attenzione
alle parole quindi, in quanto l’importanza di ogni parola deve essere
pretesa da ogni parte. Giacché se da un
lato abbiamo richiamato prudenza per evitare accostamenti arbitrari, dall'altro
evidenziamo come le parole di Carrai possano alimentare l'islamofobia. E tutto
ciò non aiuta a comprendere una situazione spinosa e complessa come la
questione israelo-palestinese.
Un
inciso: l'Imam di Firenze svolge da anni per la città e per l'Italia un lavoro
politico quale guida religiosa della comunità musulmana caratterizzato da
pazienza, assoluto rispetto, lungimiranza, equilibrio nelle parole e nei gesti
concreti da cui scaturisce una chiara volontà di dialogo e un desiderio di pace
realissimi e razionalmente fondati; un atteggiamento senza retorica da cui,
travalicando ogni pregiudizio, da qualunque parte questo arrivi, deriva un
ascolto di fraternità e uguaglianza verso l'altro senza precedenti. E non è
piaggeria questa, è la realtà delle cose stesse che afferma questo, basta
saperla guardare.
Plaudiamo
alla condanna della mattanza del popolo palestinese dell'ANPI nazionale,
analogamente rimaniamo molto perplessi circa il fatto che la stessa non dica
niente davanti alle affermazioni di Carrai. Esortiamo dunque l'ANPI a condurre
una seria riflessione anche sul significato delle parole di quest'ultimo perché
se si parla di pace, non come mera richiesta, occorre porre reciproci
presupposti, che quelle parole, almeno secondo noi, non contribuiscono a fare.
Ciò
detto, affermiamo il nostro diritto di criticare Israele.
La
storia della questione israelo- palestinese non comincia il 7 ottobre, con un
atto che, va ripetuto fino allo sfinimento, va condannato come barbarie. Come
vanno condannate tutte quelle azioni violente che uccidono civili, che fanno
dei civili il proprio nemico. E ciò segna, per inciso, lo spartiacque tra la
Resistenza italiana e l’agire di Hamas e di Israele.
Per
capire, sempre che uno voglia davvero - perché la storia non si fa ingannare -
andrebbe ripercorsa l’intera storia che ha portato alla costituzione dello
Stato d’Israele e del sionismo, movimento che Eric Hobsbawm, storico tra i
maggiori dell’età contemporanea, di origine ebraica, marxista e antifascista,
tratta sotto la voce nazionalismo. Per capire i nazionalismi di oggi e, tra gli
altri, il nazionalismo israeliano e quello arabo e palestinese. Fenomeni che
vanno avversati e combattuti entrambi. Precisando doverosamente che
anti-sionismo non significa anti-semitismo. Come avversare il nazionalismo
islamico non significa credere che islam sia sinonimo di terrorismo.
Altrettanto avversare il nazionalismo che in Europa ovunque sta tornando,
Italia compresa. Parimenti, fare i conti con la propria storia e con i propri
crimini va preteso con forza dal nazionalismo palestinese e dal nazionalismo sionista.
Bisogna combattere l’uso politico della Shoah che non può essere la
giustificazione per la pulizia etnica dei palestinesi come la pulizia etnica
dei palestinesi non può essere la giustificazione per uccidere i civili
israeliani o per distruggere lo stato d’Israele.
Va
conosciuta dunque la storia moderna di Israele. Questo è il punto.
Serve
leggere in modo dinamico e antidogmatico la lunghissima quanto complessa e
spinosa storia di Israele, come già molti o pochi, non è dato sapere, ebrei
stanno facendo. Una lettura coraggiosa che non assolve né occidente né Israele,
perché fa luce non sul diritto all’esistenza di Israele, legittimo, ma sulla
sua deformazione.
Serve,
crediamo, agli ebrei per liberarsi dai miti che compromettono la capacità di
guardare alla propria storia culturale e politica, quella che ha portato alla
costituzione dello Stato d’Israele con lucidità e onestà intellettuale. Serve
per conoscere come il trasferimento forzato dei palestinesi dalla Palestina fu
pensato e intrapreso già prima della fine del mandato britannico. E con ogni
mezzo violento. Dalle espulsioni forzate, alle rappresaglie e ai massacri. Una
dearabizzazione che si è sostanziata anche, negli anni, apoteosi del crimine,
in memoricidio. Serve ragionare sulle parole che di Ben Gurion sono riportate
in un documento della Agenzia ebraica del 1938: “non vedo nulla di amorale nel
trasferimento forzato dei palestinesi” (fuori dalla Palestina). Occorre in
breve interrogarsi sulla natura dello stato di Israele. Incidentalmente ne
consegue che se siamo di sinistra ciò significa interrogarsi, in generale,
sulla natura dello stato e delle condizioni da cui nasce la società civile ad
esso necessaria. Perché interrogarsi sulla propria storia senza preconcetti,
crimini di ieri e di oggi compresi, e su quella storia e su quei crimini fare i
conti, è l’unico modo per costruire convivenza tra le due comunità. Non
sappiamo se in differenti stati o in un unico stato. Questo saranno, speriamo,
ebrei e palestinesi a deciderlo, su un piano di parità.
Da
questa parte del mondo invero, anche noi occidentali dobbiamo fare i conti fino
in fondo con le nostre responsabilità e indagare il ruolo che l’occidente ebbe
nel processo che portò il nazifascismo al potere e pure, per il tema dibattuto
in queste righe, alla costituzione dello stato d’Israele.
E
anche dovremmo poter dire che la memoria della Shoah e il giorno della
memoria, come la banalità del male che tutt’oggi continua a permeare la vita
sociale, non riguarda solo gli ebrei.
Mentre
il giorno della memoria dovrebbe essere patrimonio di un antifascismo militante
e vitale dell’oggi, che rifiuti e combatta ogni genocidio, ogni apartheid,
ogni pulizia etnica, ogni guerra, ogni galera a cielo aperto da qualunque paese
sia commesso, ieri come oggi. Perfino da Israele.
Forse
il titolo dell'iniziativa dell'Anpi di Bagno a Ripoli poteva essere: “Mai più:
ieri la diaspora degli ebrei, oggi quella dei palestinesi”, mutuando le parole
di Pertini, che nel 1983 ebbe a dire: “Adesso stiamo assistendo alla diaspora
dei palestinesi. Una volta furono gli ebrei che furono cacciati dal
medio-oriente e dispersi nel mondo. Adesso sono invece i palestinesi. Ebbene io
affermo ancora una volta che i palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una
patria e a una terra come l’hanno avuta gli ebrei, gli israeliti”.
E
riferendosi al massacro di Sabra e Chatila: “il responsabile di quel
massacro orrendo è ancora il governo in Israele (Ariel Sharon) e quasi va
baldanzoso di quel massacro mentre dovrebbe essere bandito dalla società”.
Parole, quelle di Pertini, di un antifascismo militante, cristallino, che è
strumento vivo per interpretare l’oggi e il domani e che non teme i
parallelismi, diaspora palestinese come diaspora ebrea. Senza equilibrismi.
Siamo
impotenti nel constatare come la
Palestina e Israele non conoscano pace e nel constatare che se anche un
lembo piccolo piccolo come la Palestina non vive in pace, anche gli ebrei non
vivranno mai in pace (sebbene tutta la
forza militare a disposizione, anzi è vero l'inverso!) e nessun popolo vivrà in
pace perché la pace, come in un ordito e in una trama di relazioni sociali, non
vive di rapporti di forza ma di sano conflitto, essenza del dialogo, da cui
nasce confronto e trasformazione reciproca sorprendente. La pace la costruisce
chi ama la pace. Significa dedicarci a creare campi di comprensione invece
che campi di battaglia (T. Terzani), disobbedendo la legge dell’odio, del
taglione, quale unica risposta per affermare la propria esistenza.