UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 12 aprile 2025

GLI ASSOLUTISMI SI EQUIVALGONO
di Luigi Mazzella
 



Per chi condivida (ce n’è  qualcuno/a?) la mia teoria dell’irrazionalità dominante nella vita (pubblica e privata) Occidentale come conseguenza inevitabile dell’abitudine contratta a “credere” anziché a “pensare” (e ciò a causa di una ‘cultura[?]” costituita sostanzialmente da tre assolutismi religiosi e due politici) non c’è da meravigliarsi di due recenti eventi: 1) la posizione assunta dai vescovi cattolici americani a dichiarato sostegno di Israele nella repressione a Gaza: 2) l’incontro, più che cordiale, complice di Orban con Netanyau. Ciò che meraviglia gli imperterriti sostenitori della cosiddetta “civiltà” della parte ovest del pianeta dovrebbe ritenersi, invece, una conseguenza prevedibile e scontata di ogni conflitto tra assolutismi diversi: chiunque vinca la situazione di illibertà, di repressione, di violenza, di aggressività criminale resta la stessa. Si tratta, in buona sostanza, dell’effetto di una stessa “mentalità” in cui le “sfumature” diverse servono solo ad alimentare il conflitto.
Domanda: Si può veramente credere che vi sia differenza tra il genocidio imputabile ai sionisti a danno dei Palestinesi a Gaza e quelli perpetrati nei secoli dai cristiani in Terrasanta, in America (centrale ma non solo), in Africa? È credibile che gli attentatori e i tagliagole islamici siano mossi da istinti diversi e più feroci di quelli degli altri due fideismi mediorientali? O Cortes docet? È ipotizzabile  che gli assassini nei lager nazisti possano distinguersi da quelli compiuti dai comunisti nei gulag, nelle foibe e via dicendo?
Risposta: No! Gli assolutismi, siano essi religiosi o ideologici, sono espressione dello stesso cancro che mina l’esistenza di un pensiero libero e incondizioinato: smuovono, nel profondo,  l’emotività e mettono la sordina al raziocinio. L’unico modo di agire che consenta di “ragionare”nella valutazione di ogni azione umana è di liberarsi  dei paraocchi della fede o della ideologia.
L’Occidente sarà veramente un continente vivibile quando non sarà più costituita dai Netanyau, dai Borgia, dai tagliagola dell’Islam, da Hitler, da Stalin, da Mussolini e Fidel Castro e anche dai Biden, Trump, Macron, Starmer, Von der Leyen, Peron, Orban: tutte anime pie e utopiste, che vogliono il bene dell’umanità e lo realizzano mandando “anzitempo all’Orco” i loro contemporanei a godere di non provate celestiali dolcezze.
Alla fine della guerra, a Roma, le scritte che asserivano che si stavameglio quando si stava peggio, cominciavano in dialetto locale con l’espressione “A ridatece…
Erano slogan ingannevoli e mendaci: da duemila anni si stava malissimo e ogni promesso, agognato “bene” non rappresentava altro che un male peggiore! Consentitemi allora, in base al principio del “repetita juvant”, di insistere nel mio personalissimo (e non seguito) slogan: Aridateci i Democrito, i Parmenide (perdonando gli Eraclito per l’idea malsana sulla “guerra”), i sofisti, e tutti i presocratici (rectius: pre platonici) e soprattutto Epicuro che ci invitava ad amare la vita e a viverla piacevolmente in libertà e in pace senza nuocere agli altri.

IN PIAZZA PER LA PALESTINA




FIGLIOLIA A BUSTO ARSIZIO




venerdì 11 aprile 2025

CONVERSAZIONI DI ESTETICA
Alla Fondazione “Corrente” di Milano


Cliccare sulla locandina per ingrandire


TRUMP LUCIDO FOLLE?



Londra. Caro Direttore, ci andrei più cauto sul “personaggio” Trump e la sua squadra di governo di quanto fa su “Odissea” Luigi Mazzella, per lo meno sulle sue reali intenzioni in fatto di guerra. Finora la guerra fra russi e ucraini va avanti senza che abbia fatto realmente qualcosa. Tra l’altro continua a fornire armi e sostegno all’Ucraina. E del Medioriente non parliamone: il massacro di Israele ai danni dei palestinesi continua con il suo aperto appoggio politico e militare. Non mi pare che si sia discostato molto dalla precedente amministrazione Biden in fatto di favori alla lobby delle armi, anzi. Ricatta l’Europa con la minaccia del disimpegno, li obbliga a comprare armi dagli Usa e di smantellare missili in Europa ed a sciogliere la Nato non se ne parla. A me pare piuttosto un furbo lucido folle, come lo hanno definito su “Odissea” nei loro scritti Romano Rinaldi e Alfonso Gianni, citando Shakespeare, e che pensa semplicemente ai suoi interessi.
Fabio Poli

IL PROVOCATORE 
di Luigi Mazzella



Trump sbertuccia i leader politici europei.
 
È molto probabile  che Donald Trump continui nella sua opera di persistente provocazione e di provocatorio sbertucciamento dei cosiddetti “leader politici europei” di cui chiaramente non ha alcuna stima e che il prossimo passo possa essere quello di concedere a Giorgia Meloni lo “zero a zero” sui dazi. E ciò, mentre  Ursula Von der Leyen ed Emmanuel Macron  dovranno attendere i previsti “novanta” giorni per conoscere, con le loro minacce di “bazooka” sul tavolo e amenità consimili, il destino di “daziati” o di “graziati”. A dispetto della “grancassa”, battuta senza risparmio di ripetuti colpi dai filo-Democratici del sistema mass-mediatico Occidentale (una maggioranza strabordante), l’irridente neo-eletto Presidente americano, pur caduto nel tranello del “Carneade Navarro” (sbugiardato, senza troppa e garbata “diplomazia”, da Elon Musk), è riuscito a dimostrare che il Re (id est: l’Europa) è inesorabilmente “nudo”, anche se non ha perso nessuna delle caratteristiche che ne hanno fatto nei secoli il padre (id est: la madre)  dei più imperterriti e pertinaci guerrafondai del globo, i suoi connazionali statunitensi. Naturalmente, il neo-eletto Presidente Donald ritiene di non avere nulla a che fare con l’America dei Democratici, servi interessati della CIA, del Pentagono e dell’industria della armi oltre che con quelli che ancora la votano (e che, secondo le sue previsioni, saranno sempre meno perché non gli sarà difficile dimostrare per tabulas le connivenze della cricca di potere da lui sconfitta con il mondo del malaffare politico (e non solo). È verosimile che, nel propositum in mente retentum di Trump, il “riarmo” fortemente voluto dalla “pulzella” di Bruxelles, possa essere la  premessa di una ennesima guerra interna al vecchio Continente che, a suo giudizio, con i suoi comportamenti aggressivi e manie di grandeur è all’origine di ogni confusione e corruzione dell’Occidente. Non è da escludere che la sua segreta speranza siasoprattutto che Germania, Francia e Inghilterra possano darsi reciproche e forsennate botte (come suol dirsi “di santa ragione”) dando agli Stati Uniti dei Repubblicani alla Trump l’occasione di assistere alla tenzone fuori dal ring (senza intervenire, quindi) per salvaguardare e continuare  il progetto di “America first”.
Per l’Italia è difficile fare previsione. Nel suo passato, c’è sempre stato, al vertice dei suoi governi, un “sacco di mattoni” (per usare la terminologia di Musk) che ha pensato di “sedersi al tavolo della pace” (per finire, magari, sul lato sbagliato e mollare, come la Storia insegna, qualche ulteriore parte del suo territorio). Il livello culturale dell’attuale classe dirigente, cresciuta ai canti di “Noi vogliam Dio per nostro padre”, “All’armi siam fascisti” e “Bandiera rossa”e l’assenza pressoché totale di gente che ha un pensiero libero e si muove seguendo la ragione non lascia sperare molto. Non manca, ovviamente, chi irrazionalmente sostiene che c’è uno “stellone” che interviene al momento giusto a salvare il “Bel Paese”. Chi non vuole discostarsi dall’uso del raziocinio parla di tendenza incoercibile degli Italiani al “girellismo” più spregiudicato che salva il Paese, come suol dirsi con gergo calcistico, “in corner”. 
Domanda: Chi potrà  essere il “voltagabbana” di turno? Almeno un po’ di coraggio dovrà averlo: non dovrà temere i bazooka messi sul tavolo dalla Von Der Leyen e sapere di dover fare a meno dell’ombrello nucleare di Macron e di Starmer.  
 
 

 

 

 

 

 

BIENNALE
Rinasce la storica Rivista “La Biennale di Venezia”


Cliccare sulla locandina per ingrandire


 

giovedì 10 aprile 2025

I PERCHÉ DELLA GUERRA DEI DAZI  
di Alfonso Gianni



Se si potessero tradurre in un grafico le innumerevoli e contradditorie dichiarazioni ed azioni di Donald Trump, ne risulterebbe probabilmente un tracciato simile a quello di una pallina in un flipper. Uno zigzagare improvviso e imprevedibile, da una parte all’altra, un salire e scendere senza una direzione definitiva e coerente, ma sempre con il massimo di energia nella spinta. Tutto ciò non significa affatto che siamo di fronte a un pazzo come viene descritto in frequenti banalizzazioni, o quantomeno faremmo bene a indagare il metodo che vi è quella follia, seguendo il consiglio implicito nel famoso detto shakespeariano (“there’s method in his madness”). In altre parole Trump sta non solo implementando un credo ideologico e ferocemente classista, ma sta seguendo a modo suo un piano che è alla base di quella che ormai possiamo chiamare trumponomics. Del resto l’autorevole The Economist, oggi tra i più critici, come il Wall Street Journal, sulle scelte trumpiane, non molto tempo fa titolava prudentemente che la “Trumponomics potrebbe non essere così male come molti si aspettano”[1]



Ma certamente il 2 aprile 2025 Trump ha delineato con la consueta ruvidezza una svolta drastica nella politica estera, economica e finanziaria degli Usa, buttando per aria regole e intese che riguardavano il commercio mondiale e creando conseguentemente forti turbolenze sui mercati finanziari. Non era mai successo, almeno in questi termini e in queste proporzioni nel secondo dopoguerra, anche se i primi segnali si erano avvertiti durante la prima presidenza di Trump. Al punto che emergono incrinature tra Musk e il tycoon, avendo il primo interessi assai concreti da tutelare in diverse parti del mondo, mentre la popolarità di Trump è in discesa rapida anche in Occidente. Nel nostro paese, ad esempio - ove la Meloni cerca di restare aggrappata al Presidente Usa, in un gioco di spericolato equilibrismo nei confronti della Von der Leyen, mentre Salvini si propone come il più autentico sostenitore della linea d’oltreoceano - recenti sondaggi, che certo non sono verità assolute, ma spesso indicano tendenze reali, testimoniano un rapido crollo di fiducia da parte de inostri  cittadini nei confronti di Trump.[2] Intanto le Borse segnano pesanti passivi sia in Europa che in Asia; Wall Street sale e soprattutto scende a seconda delle voci, vere o false che siano, che si inseguono nell’arco della giornata e persino l’oro che aveva toccato vette inconsuete le sta abbandonando rapidamente.[3]
Un simile sconvolgimento non era certamente imprevedibile. Anzi era messo nel conto da Trump e dai suoi consiglieri economici. Vi è infatti una ragione di fondo che sta dietro le sue mosse ed un piano specifico.



Il già citato Wall Street Journal aveva definito “stupida” la guerra commerciale intrapresa da Trump. Ma non è così. Ce lo suggeriscono due studiosi americani, l’uno operante a San Francisco, l’altro a Pechino, i quali ci avvertono che le guerre commerciali sono in realtà guerre di classe.[4] Il perché è semplice. I dazi e i contro dazi aumentano inevitabilmente i prezzi delle merci in una economia integrata che tale rimane malgrado il rinculo della globalizzazione; quindi l’inflazione riparte e a farne le spese sono i ceti, le classi meno abbienti e interi popoli di quello che ormai siamo soliti chiamare (con una definizione di carattere più politico ed economico che non geografico) il Sud globale. Non è quindi come dice Jeffrey Sachs, pur all’interno di una intervista piena di buone cose, “che sarà una battaglia lose-lose, tutti hanno da perdere”[5]. Non tutti. Il fatidico 1% ne trarrà ulteriore vantaggio e le diseguaglianze già così enormi si approfondiranno ulteriormente. “È il momento di arricchirsi” ha detto Trump, inconsapevolmente – credo – ricalcando quasi il celebre invito lanciato, in tutt’altra condizione, da Deng Hiaoping. Il progetto di fondo di Trump è esattamente quello non solo di vincere la lotta di classe – cosa già avvenuta, come ci ha detto Warren Buffet – ma di stravincerla, anche a costo di calpestare quella middle class e quelle parti di classe operaia della Rust Belt (“la cintura della ruggine”, ovvero le zone deindustrializzate) che pure lo hanno votato.[6]



Questo disegno di fondo, per riuscire, ha bisogno di un piano, per quanto rischioso, che si muova a livello internazionale. Questo gli è stato fornito in un  paper – “A user’s Guide to Restructuring the Global Trading System” - elaborato nel novembre del 2024 dal suo principale consigliere economico Stephen Miran.[7] Il nocciolo della questione è subito esplicitato nelle prime righe del testo “La radice degli squilibri economici risiede nella persistente sopravvalutazione del dollaro che impedisce l’equilibrio del commercio internazionale e questa sopravvalutazione  è guidata dalla domanda anelastica di attività di riserva. Con la crescita del Pil globale diventa sempre più gravoso per gli Stati Uniti finanziare la fornitura di attività di riserva e l’ombrello della difesa, poiché i settori manifatturiero e commerciale sopportano il peso dei costi”. Il primo step di questo percorso è appunto rappresentato dall’aumento dei dazi. Miran si rende perfettamente conto che questo può portare in un primo momento, per l’aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione, a un rafforzamento del dollaro, anziché ad un suo indebolimento come sarebbe da lui stesso auspicato quale obiettivo di fondo di tutto il piano. Infatti lo scrive nella pagina conclusiva del paper: “In ogni caso, poiché il presidente Trump ha dimostrato che i dazi sono un mezzo con cui può estrarre con successo leva negoziale (ed entrate) dai partner commerciali, è molto probabile che i dazi vengano utilizzati prima di qualunque strumento valutario. Poiché i dazi sono positivi per il dollaro statunitense, sarà importante per gli investitori comprendere la sequenza delle riforme del sistema commerciale internazionale. È probabile che il dollaro si rafforzi prima di invertirsi, se ciò avviene”.



Ma nessuna paura, fa capire Miran, perché gli Usa hanno altre frecce al loro arco. Certamente, spiega, “storicamente gli accordi multilaterali sulla valuta sono stati il mezzo principale per attuare cambiamenti internazionali nel valore del dollaro”. Come fu con il Plaza Accord del 1985, ove Usa, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito si sono coordinati per indebolire il dollaro, frenandone poi l’eccessiva discesa con il successivo Louvre Accord del 1987. Ma allora il quadro era decisamente diverso. Ad esempio mancava un player, oggi diventato un protagonista e un antagonista, dal punto di vista statunitense, sulla scena mondiale, quale è la Cina. È difficile oggi immaginare un accordo monetario multilaterale, una sorta di Mar-a-Lago Accord, dal nome della residenza in Florida di Trump. Allora, dice Miran, bisogna ricorrere al metodo del bastone e della carota: “Innanzitutto c’è il bastone delle tariffe. In secondo luogo c’è la carota dell’ombrello della difesa e il rischio di perderla”. Ecco quindi che il disegno strategico per riacchiappare la centralità e il dominio del dollaro nel commercio e nei mercati globali, e con esso la diminuzione del deficit commerciale e dell’enorme debito degli Usa, si intreccia indissolubilmente con la costruzione di un sistema di guerra che funzioni da ricatto e minaccia permanenti. E che, per avere efficacia, non può basarsi solo su guerre latenti, ma su guerre effettivamente guerreggiate e possibilmente infinite se viste nel loro insieme, al di là dei singoli luoghi dove possono accendersi e (provvisoriamente) spegnersi. I pericoli di contro dazi, almeno nel campo dove ancora ha determinante voce in capitolo la declinante potenza di Washington – ad esempio l’Europa – sarebbero così eliminati o almeno fortemente attutiti dalla capacità di manovrare il bastone e la carota. Da qui la necessità di scavalcare ogni sistema di intermediazione a livello mondiale, come quelli nati alla fine della seconda guerra mondiale così come quelli che hanno cercato di governare la globalizzazione nel suo periodo più aureo, cioè l’ultimo ventennio del secolo scorso, e di trattare con i singoli Paesi ponendoli di fronte ad una scelta secca: o nella sostanza accettate i dazi oppure aumentate le spese per la difesa militare della Nato.



Nello stesso tempo Miran si pone il problema di come convincere le banche centrali di Cina, Giappone ed Europa a vendere le riserve di dollari in eccesso da esse possedute comprando sui mercati le rispettive valute nazionali. Per questa via il dollaro dovrebbe perdere valore e quindi ne trarrebbe profitto la competitività delle merci statunitensi. Non facile, come è evidente, soprattutto tenuto conto delle elevatissime riserve in dollari della Cina. Non solo, ma come evitare che la forte vendita dei titoli Usa (i Treasury) possa provocare una corsa alla liquidazione di attività in dollari, quindi un rialzo dei rendimenti, ottenendo un effetto collaterale del tutto indesiderato (viste le pressioni di Trump sulla Fed su questo tema) e cioè che i tassi di interesse salgono anziché scendere? C’è un altro coniglio nel capace cappello di Miran pronto ad essere estratto: i cosiddetti titoli Matusalem. Ovvero le banche centrali verrebbero incoraggiate a scambiare titoli a breve termine con quelli a lunghissima scadenza, fino a 100 anni, garantendo al contempo alle banche di approvvigionarsi della liquidità a loro necessaria senza essere costrette a vendere i bond in perdita.[8]



Questo è dunque il disegno e questo il piano di attuazione. Non siamo quindi di fronte ad atti di sconsiderata follia. Ma ciò non significa che non creino contraddizioni o che siano imbattibili. Certamente ci vorrebbe ben altra consapevolezza e altro spirito di quelli messi in campo qui da noi e in Europa. Mi riferisco sia ai propositi dei vari governi, sia a quanto è emerso a livello Ue. La strategia dei contro dazi rischia di essere facilmente schiacciata dalla logica della trattativa con ogni singolo paese da parte degli Usa e dal maneggio alternato del bastone e della carota. Oggi più che mai l’indipendenza dell’Europa dal disegno di Trump di riconquistare ciò che l’America sta perdendo, ovvero il ruolo di baricentro dell’economia e della politica mondiale, il famoso “secolo americano”, risiede nello spezzare il sistema di guerra, così consustanziale, come abbiamo visto, al disegno economico e politico degli Usa, quindi farsi portatrice di un progetto di pace che in primo luogo si opponga al riarmo, alla cosiddetta difesa comune, ai progetti di un esercito europeo. Nello stesso tempo la via di uscita è quella di volgersi dal punto di vista commerciale ed economico verso i Brics, verso i paesi del Global South, attuando accordi su basi paritarie. Un percorso che va compiuto contemporaneamente. Difficilissimo, lo so. Ma ogni altra strada è preclusa o porta alla rovina. Almeno cominciamo a muovere i primi passi in questa direzione.

 
Note
[1]. “Trumponomics would not be as bad as most expect. Opposition would come from all angles” The Economist, 11 luglio 2024.
 
2. Si veda Renato Mannheimer “Crolla la fiducia verso Trump. Si amplia anche la frattura fra l’Europa e gli Stati Uniti” in ItaliaOggi, 8 aprile 2025.
 
3. Il Sole 24 Ore del 9 aprile 2025 sintetizza così la situazione nel titolo a cinque colonne di prima pagina: “Borse nel caos, crollano Europa e Asia, Wall Street sull’ottovolante, oro in caduta”.
 
4. Matthew C. Klein, Michael Pettis Le guerre commerciali sono guerre di classe. Come la crescente diseguaglianza corrompe l’economia globale e minaccia la pace internazionale, Einuadi, Torino 2021.
 
5. Vedi Eugenio Occorsio “È come una guerra che tutti perderanno” intervista a Jeffrey Sachs, in Affari&Finanza del 7 aprile 2025.
 
6. Una trattazione più estesa di questi aspetti della politica di Trump è contenuta nel mio editoriale “Il nichilismo di Trump” in Alternative per il Socialismo n.75, Castelvecchi, Roma pp. 326, che è stato ospitato in questo stesso blog la scorsa settimana.


7. Il testo in inglese è reperibile al link: https://www.hudsonbaycapital.com/documents/FG/hudsonbay/research/638199_A_Users_Guide_to_Restructuring_the_Global_Trading_System.pdf 


8. Si veda anche, su questi ultimi temi, Luigi Pandolfi “Matusalem bond, i prestiti a 100 anni, l’arma letale per coprire il debito Usa” in il manifesto del 3 Aprile 2025.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

STUPIDO COME UN SACCO DI MATTONI    
di Luigi Mazzella


Peter Navarro

La vittoria di Donald Trump non ha scalfito (e dovevo ritenere prevedibile che non lo potesse) la mia teoria secondo cui la cosiddetta “cultura Occidentale”, imperniata su tre assolutistiche credenze religiose del tutto   inverificabili e due utopie politiche, esse sì  realizzate ma in forma tragicamente disastrosa, non sia idonea  in alcun modo a eliminare l’irrazionalità, spesso cieca, della nostra vita pubblica e privata. Intendiamoci: queste credenze, che oggi nel Terzo Millennio, appaiono (Solo ad alcuni, peraltro) cervellotiche, si sono affermate e diffuse a macchia d’olio prima nel Vecchio e poi nel Nuovo Continente per la necessità (umana, troppo umana) della massa: a) di credere in qualcosa di “superiore” o b) di seguire gli insegnamenti di Maestri considerati “sommi”; in entrambi i  casi per non sentirsi “smarriti” sulla Terra e indifesi soprattutto di fronte ai pericoli della Natura o alle sopraffazioni dei ricchi visti come individui “superpotenti.
La situazione attuale, comunque, è quella che è! Se si credono reali le cose che, in maniera deterministica, riescono a immaginare menti dominate dalla paura della vita e psiche turbate da incontrollabili fattori emotivi, l’effetto della distorsione  della visione è, mutatis mutandis, il medesimo che consegue all’uso dell’alcol o di sostanze stupefacenti: scenari, falsi, irreali prendono il posto di quelli veri. Naturalmente gli abbagli non escludono che certe intuizionipersonali possano, episodicamente, corrispondere alla verità dei fatti e delle cose. Così è avvenuto, infatti, a mio parere, per il neo eletto Presidente Statunitense. Egli ha capito che, se nel corso del  suo precedente mandato, il Pentagono aveva risposto con uno sberleffo al suo ordine di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan e che se la CIA, l’NSA, l’FBI, i giudici avevano sempre mostrato (se non ostentato) ostilità ai suoi metodi non conformistici di governo, non vi sarebbe stata a suo beneficio, come dicono a Roma, “trippa pe’ gatti” e che non avrebbe cavato dal buco “il ragno” infiltrato nelle maglie delle pubbliche istituzioni dal Partito Democratico degli Obama  & co.



L’intuizione del “Donald” si era estesa al fatto che, pronube e artefice la CIA, tutti i servizi Occidentali d’intelligence erano stati deviati e, con le “arti” loro proprie avevano favorito la crescita della Sinistra nel vecchio Continente. Di conseguenza il Partito Democratico (in Italia passato dalle mani di Berlinguer a quelle di Napolitano) da lui sconfitto negli States era in grado di dare i suoi colpi di coda in Europa, dove “imperava” come potente commissaria una teutonica e granitica “pulzella” dal cognome Albrecth (pre matrimoniale) tutt’altro che rassicurante. Fin qui la “buona novella”. È noto, però, che le intuizioni possono elidere taluni effetti negativi dell’irrazionalità ma non debellarla in toto.
E, difatti, essa è ricomparsa nello  sventurato Occidente sotto la forma fantasmagorica (ed imprevista) dei Dazi! Come mai?
Nel “regno dell’irrazionalità” un ruolo importante è svolto dal fattore emotivo e Trump ha sempre avuto e mostrato con ingiusticabile orgoglio, atteggiamenti da uomo passionale. Pur non essendo in grado di valutarne la credibilitàaccademica e scientifica, si è legato all’ ex consigliere economico di Barack Obama (che quanto a propensioni per il litigio e per la guerra non è stato “secondo” a nessun Presidente Statunitense), di nome Peter Navarro, inventore di sinonimi e anagrammi di docenti da portare a sostegno delle sue teorie.
Il professore universitario, ascoltato e seguito da Trump, mostra, con i suoi scritti, di essere visceralmente ostile alla Cina (che immagina come la Nazione capace di distruggere la cosiddetta “civiltà occidentale”). Dell’irrazionalità degli abitanti della nostra parte del Pianeta, quel “luminare”, probabilmente  accecato dall’avversione etnica, non scorge invece i difetti. Per imporre il pazzesco dazio del 104% alla Cina e per nascondere tale suo vero e ultimo intento, Trump ha dovuto mettersi  contro il mondo intero, suscitando un vespaio che ha preoccupato Elon Musk, uomo di straordinarie capacità intellettive e realizzative che, anch’egli sorpreso dall’exploit Trumpiano, ha qualificato Peter Navarro “imbecille come un sacco di mattoni”.

COMUNICATO ANPI CRESCENZAGO


 
Corteo nazionale del 12 aprile 2025 a Milano per fermare il genocidio del popolo palestinese, per riaffermare il diritto di esistenza della Palestina libera e indipendente, per dire NO alle guerre in corso nel mondo, per dire NO alle armi e al riarmo che portano morte e sottraggono risorse a diritti e servizi sociali. Per la Pace, la libertà e la dignità di ogni persona e di tutti i popoli, ripudiare, disertare, abrogare la guerra. Si chiede che tutta l’ANPI partecipi con i Palestinesi al corteo nazionale del 12 Aprile a Milano (Partenza Piazza Duca d’Aosta, stazione centrale, h. 14.30) per difendere la libertà, l’indipendenza, l’esistenza stessa del popolo palestinese, i diritti umani, il diritto internazionale.

La sezione ANPI Crescenzago ribadisce l’appello che il Comitato nazionale di ANPI rivolge “a tutte le forze democratiche, alle istituzioni, ad ogni persona di buon senso e di buona volontà, perché in ogni modo e in ogni luogo si operi per contrastare la violentissima ripresa dello sterminio dei palestinesi di Gaza da parte delle forze armate israeliane su ordine del loro governo […] in uno sconcertante silenzio internazionale”, e con la corresponsabilità degli Stati Uniti d’America, dell’Europa e del Governo italiano. Nell’appello si invitano “con forza le istituzioni italiane e europee ad assumere ogni misura per contrastare questo massacro, compresa la cessazione di invio di armi, la sospensione di ogni accordo commerciale con Israele […]”.

Questo appello è una giusta e drammatica chiamata alla mobilitazione, a cui devono seguire atti conseguenti. Coerentemente, ANPI Crescenzago ribadisce il proprio impegno a sostenere la causa palestinese e conferma la propria adesione e partecipazione al corteo nazionale del 12 aprile.
 

 

  

ARTE DELLA RESISTENZA A “CORRENTE”




FILIPPO SENATORE ALLO “SPAZIO COOP”




mercoledì 9 aprile 2025

SUL CONCETTO DI DIFESA
di Angelo Gaccione


 
Liberarsi del perverso e mortifero concetto di difesa.  
 
Difesa: non c’è parola più abusata di questi tempi. Politici europei di ogni grado e livello, gazzettieri che fanno il controcanto, professori universitari, e persino intellettuali tutt’altro che sprovveduti ne decantano il potere taumaturgico, la potenza salvifica. L’innamoramento per il concetto di difesa è trasversale, non è patrimonio esclusivo delle destre fasciste e guerrafondaie, dei nazionalisti e militaristi a tutto tondo per i quali la guerra è sempre stata “sola igiene del modo” come gli cantava il poeta. Progressisti e liberali (con le dovute eccezioni, ovviamente) la pensano allo stesso modo in fatto di difesa, e non si rendono conto che difesa e guerra non sono un binomio, sono semplicemente la stessa cosa. Ci si può ingenuamente domandare come sia possibile che delle menti argute prendano un abbaglio così macroscopico e cadano in questa trappola tanto evidente e tanto rimarchevole sul piano dei fatti e degli eventi tragici della storia. “Non siamo affatto per la guerra, ma la difesa è indispensabile” dicono progressisti e liberali in buona fede, ed immediatamente assumono la lingua dei bellicisti. Ne introiettano la sostanza. Nel loro intimo sono sinceramente pacifisti, ma vogliono la difesa perché il mondo è quello che è.


 
Perché ci sia la difesa occorre un esercito, possibilmente più potente di quello del loro nemico: dunque ci vuole un esercito europeo. E perché un esercito europeo possa garantire la difesa occorre dotarlo di mezzi di distruzione superiori o pari a quelli del nemico. Va da sé che se il nemico ha migliaia di ordigni nucleari, la “dottrina della difesa” richiede che anche tu dovrai dotartene, anche a costo di affamare i tuoi compatrioti con una spesa gigantesca e inderogabile che la difesa richiede. Tu ti difendi dal nemico e il nemico si difende da te. Tu non cerchi la guerra, vuoi solo difenderti. Il nemico non dice apertamente di volere la guerra, ma si è armato per garantirsi la difesa, esattamente come te. Tu non ti fidi di lui e lui non si fida di te. Questa rincorsa alla difesa, cioè alla guerra, diventa necessaria come la dose di eroina per il drogato e non può che aumentare sempre di più. Perseguendo questa rincorsa alla difesa, cioè alla guerra, la guerra diventa sempre più probabile, poi, alla prima crisi, decisamente inevitabile, necessaria. Come abbiamo visto, la difesa getta le basi per la guerra e l’avvicina inesorabilmente. Rinunciare alla difesa equivale, dunque, a rinunciare alla guerra.


 
Non abbiamo accennato, finora, al dato epocale in cui ci troviamo a vivere. Siamo in piena era nucleare con decine di Stati in possesso di ordigni di distruzione in grado di cancellare tutti gli esseri viventi e le piante, di causare una apocalisse ambientale. Il loro impiego non solo provocherebbe l’inverno nucleare per decenni, ma contaminerebbe il pianeta per secoli e secoli rendendolo invivibile. Poiché nessuna difesa della vita è possibile, in caso di uso di tali armi, ne discende che la difesa è una parola vuota, un mito che espone l’umanità alla sua scomparsa. Sparirebbero sia gli artefici e i sostenitori della difesa con i loro beni e i loro privilegi; spariremmo noi disarmisti e pacifisti; sparirebbe tutto il patrimonio architettonico, artistico, scientifico e culturale che la civiltà ha tanto faticosamente impiegato a realizzare. Se questo è l’esito della difesa, cioè il ritorno al buio primordiale senza la presenza di alcuna forma di vita sulla terra, dobbiamo chiederci se è questo che vogliamo. Se vogliamo davvero preparare la fine dell’avventura umana. Non sarebbe meglio rovesciare questa logica di morte impiegando risorse e sforzi per ricostruire, attraverso una diplomazia degna di questo nome, rapporti internazionali di confronto e di collaborazione come avviene sul piano scientifico, culturale, sanitario, e durante le calamità naturali? È questo il ruolo che dovrebbe assumere l’Europa se fosse saggia, non perseguire un riarmo foriero di ulteriori rovinosi pericoli. Ed è questo che noi disarmisti auspichiamo.



Difesa e riarmo ci obbligano ad uno sperpero insensato di gigantesche quote di ricchezza; sono una continua tentazione muscolare per i governi e una pericolosa scorciatoia per le crisi. L’impiego delle preziose conoscenze acquisite dal personale militare per la tutela dei territori, la cura dell’ambiente, come presidio di protezione civile - unito a una credibile diplomazia pacifica - sarebbero garanzia di vera sicurezza e difesa. Non metteremmo in pericolo la vita di un solo uomo e saremmo percepiti come un continente di pace. Il nostro bellissimo Paese potrebbe indicare la città di Assisi, città mondiale della pace, come sede permanente per la risoluzione delle divergenze internazionali. Lo abbiamo suggerito più volte e lo ribadiamo. Come italiano e uomo di cultura ne sarei fiero. Se l’Europa vuole salvarsi è questa la strada; quella della difesa e dell’esercito europeo non farà che alimentare la diffidenza, accelerare i pericoli che già corriamo, lavorare alla sua fine e alla nostra. Riflettiamoci, prima che sia troppo tardi.

 

 

 

 

 

  

martedì 8 aprile 2025

A TRIESTE DOMANI
Alle 11.30 presenza solidale in Tribunale



Esortiamo tutti e tutte ad essere presenti domani (mercoledì 9 aprile) alle 11.30 al tribunale di Trieste, nell'aula 113 pianoterra, in solidarietà a due persone processate per una presunta violenza commessa ad un giornalista di Tele Quattro, durante una manifestazione contro il green pass nel dicembre 2021. Solamente per aver messo la mano davanti all'obbiettivo della video camera che li stava arbitrariamente filmando, la procura li ha portati a giudizio per violenza privata. La vera violenza è invece quella che fanno i giornalisti di regime, con la loro propaganda spacciata per informazione, ieri sul Covid oggi sulla guerra. Da parte nostra invece, non dobbiamo lasciare nessuno solo difronte alla repressione di regime, rilanciando unità e solidarietà!

Coordinamento No Green Pass e Oltre

OCCUPATA L’UNIVERSITÀ STATALE







ANNIVERSARIO DI UN MASSACRO
di Tayeed Dibiee

 
 

Nell’aprile 2002 a Nablus Israele ha compiuto un ulteriore massacro.
In quell’occasione Israele non ha commesso un massacro solo contro la popolazione della città, ma anche contro il patrimonio, la storia e le antichità palestinesi nella Città Vecchia. Ha deliberatamente preso di mira edifici storici, alcuni dei quali risalgono all’epoca romana, poiché la Città Vecchia fu costruita sul suo sito attuale 2.000 anni fa. Fu un’aggressione in cui Israele uccise un gran numero di civili, tagliò l’acqua, l’elettricità e le linee di comunicazione e assediò la città, impedendo l’entrata e l’uscita di persone e merci da e verso la stessa. Numerosi feriti sono rimasti uccisi nella moschea di Al-Baik nella Città Vecchia, utilizzata come ospedale da campo, dopo che l’occupazione ha impedito alle ambulanze di entrare nella Città Vecchia per soccorrerli. Le urla dei feriti riempivano la moschea e i cadaveri dei morti riempivano il cortile esterno. L’odore della morte pervadeva la Città Vecchia, con cadaveri nelle strade, l’odore della polvere da sparo che riempiva nasi e petti, le macerie degli edifici che bloccavano le strade, distruzione ovunque, i bombardamenti che assordavano le orecchie, si sentivano le urla della gente, il rumore dell’acqua che fuoriusciva dai serbatoi perforati dai proiettili o dalle schegge dei missili, il rumore degli edifici che crollavano. Le persone hanno vissuto i giorni più bui della loro vita. Eppure si sollevarono rapidamente, scrollandosi di dosso la polvere della guerra e della morte che Israele aveva seminato ovunque. Con le loro mani e grazie all’iniziativa degli abitanti della città, le macerie sono state rimosse, le strade sono state aperte e gli aiuti sono stati distribuiti alla popolazione, anche se alcuni edifici non sono stati ricostruiti. Gli antichi edifici storici non possono essere riportati al loro antico splendore. Abbiamo perso un’eredità storica insostituibile.



E ora, 23 anni dopo, sembra che tutto ciò sia stato solo una piccola prova di ciò che Israele sta facendo oggi a Gaza. All’epoca l’occupazione sosteneva di voler eliminare il terrorismo, proprio come sostiene oggi. Tuttavia, Israele vuole eliminare il popolo indigeno palestinese dalla sua terra ancestrale e per riuscirci usa il pretesto di eliminare il terrorismo. Tutto ciò che ha fatto dalla sua fondazione nel 1948 non è altro che una serie di politiche sistematiche che prendono di mira l’esistenza palestinese, a vantaggio del progetto espansionistico imperialista sionista che cerca di raggiungere la sua regola aurea (più terra e meno arabi).
 

 

 

 

Privacy Policy