UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 9 febbraio 2015

PER RIMANERE UMANI
TEATRO
Locandina dello spettacolo (cliccare sopra per ingrandimento)

Ricordiamo ai lettori di “Odissea” che nelle date di venerdì 13 e sabato 14 Febbraio al “Teatro Filodrammatici” va in scena “Io Camille”, scritto dalla nostra collaboratrice Chiara Pasetti, per la regia di Angelo Donato Colombo, con Silvia Lorenzo in scena nel ruolo di Camille Claudel, Massimo Popolizio voce fuori scena nel ruolo di Auguste Rodin e voce fuori scena di Anna Bonaiuto. Ispirato alla vita tragica e dolorosa di Camille Claudel, questa piéce è un appuntamento da non mancare.
[Cliccare sulla locandina dello spettacolo qui riportata per l’ingrandimento,
troverete tutti i riferimenti necessari: orari, luogo e prezzi. Buona visione]

Silvia Lorenzo
INCONTRI
Camille Claudel: la donna, l’artista.

Chiara Pasetti e Angelo Colombo saranno all’Università Statale di Milano (Via Festa del Perdono) mercoledì 11 febbraio, in Aula Crociera Alta, dalle 10.30 alle 12.30, per raccontare la vita e l’arte di Camille Claudel e le scelte drammaturgiche e registiche compiute per il loro lavoro Io. Camille. Ingresso libero e gratuito. Si ringraziano il professor Piero Giordanetti e la dottoressa Chiara Ottolini per questo incontro.

La facciata dell'Università Statale di Milano

domenica 8 febbraio 2015

Allarme tubercolosi tra il personale Usa di Sigonella
di Antonio Mazzeo

Allarme a Sigonella per un caso sospetto di tubercolosi in un giovane studente, figlio di un dipendente delle forze armate statunitensi che operano nella stazione aeronavale siciliana. Il 3 febbraio scorso lo staff medico di US Navy ha ordinato l’isolamento di un allievo frequentante la Sigonella Middle High School. Secondo quanto dichiarato dal portavoce della base Usa, il luogotenente Paul Newell, i medici della Marina sono in attesa dei risultati dei test effettuati sul paziente per confermare la diagnosi di tubercolosi, “ma stanno procedendo comunque con i protocolli sanitari previsti per la malattia”.
In una nota postata sulla pagina ufficiale Facebook di Nas Sigonella, il comandante della base Christopher J. Dennis e il responsabile dell’ospedale navale J.A. Lamberton, scrivono che “l’isolamento e altre azioni preventive sono stati ordinati immediatamente in coordinamento con le specifiche autorità pubbliche Usa e italiane, per assicurare la salute e la sicurezza di tutti gli studenti e dello staff della nostra scuola media superiore e di tutta la comunità che vive e opera a Sigonella”.
“La tubercolosi è causata da un batterio e si diffonde per via aerea”, prosegue la nota di US Navy. “E’ comune nelle nazioni in via di sviluppo ed è rara, ma non insolita, in Europa occidentale, dove è spesso associata alla popolazione migrante. L’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato 0,5 nuovi casi di tubercolosi ogni 100.000 abitanti in Italia nel 2013”.
“La potenziale esposizione alla tubercolosi non significa però che causi automaticamente l’infezione”, aggiungono gli alti ufficiali di US Navy. “I sintomi della tubercolosi in forma attiva includono insonnia, affaticamento, tosse persistente e perdita di peso. Poiché ci troviamo in mezzo alla stagione invernale e influenzale, molti di noi potrebbero avvertire alcuni di questi sintomi. La loro presenza non significa pertanto che abbiamo contratto la tubercolosi, ma che siamo in presenza solo di una malattia da raffreddamento”. Nell’invitare i dipendenti di Sigonella a mantenere la calma, il Comando di US Navy suggerisce di rivolgersi ai medici del pronto soccorso nel caso di sintomi “sospetti”.
Quello di Sigonella è il secondo caso di tubercolosi che viene registrato questa settimana nelle scuole gestite dal Dipartimento della difesa Usa (DODDS) in Europa. Il comando medico di US Army ha reso noto che un impiegato del DODDS di Wiesbaden, Germania, programmatore informatico, è stato trasferito all’estero per intraprendere un ciclo di cure contro la malattia. “Anche in questo caso non abbiamo ancora la conferma che si tratti realmente di tubercolosi, ma comunque non c’è ragione di credere che gli eventi registrati a Wiesbaden e Sigonella siano relazionati”, ha affermato Bob Purtiman, portavoce di DODDS-Europe.

Il rischio tubercolosi a Sigonella non è comunque una novità. Il 25 agosto 2013, il Comando della base siciliana aveva segnalato pubblicamente che nel precedente mese di giugno un altro studente della scuola media superiore della base Usa era risultato positivo al test di esposizione alla tubercolosi e che nei suoi confronti era stato avviato il trattamento di cura. Allora, il personale docente e gli studenti di Sigonella frequentanti l’anno scolastico 2012-13 e tutte le persone entrate in contatto con lo studente infermo furono invitati a recarsi al presidio ospedaliero per svolgere una serie di test sulla tubercolosi.

sabato 7 febbraio 2015

ECUADOR. LIBERTÀ PER JAVIER
No alla miniera di Intag, Ecuador
 #LibertadparaJavierRamirez


Nel sottosuolo delle foreste primarie dell’Ecuador c’è il rame. Se verrà estratto, i fiumi limpidi, la biodiversità e numerose comunità verranno distrutte per sempre. Gli abitanti della zona si oppongono da anni. Javier Ramírez è uno di loro e si trova in carcere, per opporsi alla miniera. Chiediamo la sua liberazione.  
Javier Ramírez è in carcere per difendere la natura dalla miniera a Intag.
Javier Ramírez è agricoltore, difensore della natura e dei diritti umani a Intag, Ecuador.
L’imposizione del progetto minerario nella zona subtropicale di Intag significa violazioni di diritti umani fondamentali, come nel caso dell’invasione della zona da parte delle forze di sicurezza dello Stato, intimidazioni, repressione e criminalizzazione di chi protesta. Un chiaro esempio è l’arresto infondato e illegale di Javier Ramírez che lo ha portato in carcere da aprile 2014. È il presidente della comunità Junin, che sparirebbe con l’estrazione mineraria. Da 10 mesi si trova nel carcere di Ibarra, Imbabura. Questa settimana ci sarà il processo e il 10 febbraio 2015 si emetterà la sentenza, potrebbe arrivare fino a 6 anni di reclusione. È accusato di aggressione a un funzionario, ma in quella data e luogo lui non era nemmeno presente. Noi di Salviamo la Foresta siamo certi della sua innocenza. Salviamo la Foresta, insieme a 140 organizzazioni, chiede la libertà di Javier Ramírez  senza una risposta soddisfacente da parte delle autorità ecuadoriane e cilene, alle quali ci rivolgiamo allo stesso tempo, dato che la compagnia statale Codelco vanta un' importante quota di partecipazione nel progetto. Il progetto minerario Llurimagua minaccia le comunità e le foreste primarie, le sorgenti d’acqua della zona di Intag, nella zona di Cotacachi. Queste foreste, tra le più biodiverse del mondo vivono giaguari, orsi con gli occhiali, galletti delle rocce e scimmie ragno, queste ultime in grave pericolo di estinzione.
Come cambia la geografia delle basi USA in Europa
di Antonio Mazzeo
Onore ai pacifisti

Al Pentagono è nota come European Consolidation Initiative (ECI), l’iniziativa finalizzata a rimodulare la presenza militare statunitense in Europa per contrastare più fattivamente la Russia di Putin. Il programma prevede la chiusura di una quindicina tra basi e installazioni Usa in Belgio, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda e Portogallo, una modestissima riduzione del personale di stanza nel continente di 1.200 unità e il ridislocamento di altri 6.000 militari principalmente in Est Europa. Dalle basi statunitensi saranno licenziati 1.100 dipendenti civili e l’European Consolidation Initiative consentirà a Washington, stime alla mano, un risparmio di 500 milioni di dollari l’anno.
“Non si tratta di un ridimensionamento della capacità militare degli Stati Uniti in Europa, ma di una trasformazione necessaria che aiuterà a massimizzare le nostre capacità militari a favore dei nostri importanti partner europei e della Nato”, ha spiegato il segretario alla Difesa, Chuck Hagel. Parte dei risparmi che deriveranno dalla riduzione delle installazioni sarà utilizzata per finanziare l’European Reassurance Initiative, l’iniziativa statunitense di “contenimento” delle forze armate di Mosca e di rafforzamento del dispositivo “difensivo” di Ucraina, Polonia e Repubbliche Baltiche. La disattivazione delle prime strutture militari prenderà il via quest’anno, congiuntamente al trasferimento “a rotazione” di reparti e velivoli da guerra Usa nei poligoni addestrativi e in alcune basi aeree e terrestri dell’Europa orientale. Già nel corso del 2014 alcune compagnie dell’esercito, dotati di carri armati e mezzi pesanti, erano state trasferite in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, mentre alcuni cacciabombardieri e aerei da trasporto dell’US Air Force erano stati dislocati nelle basi aeree polacche.
Secondo il Pentagono l’European Consolidation Initiative sarà completata entro il 2022 e comporterà anche un lieve aumento del numero dei militari Usa in Italia, Germania e Spagna. Nello specifico, il piano prevede di trasferire in Italia il 606th Air Control Squadron dell’US Air Force, uno squadrone di 300 uomini specializzato nella sorveglianza aerea, sino ad oggi ospitato a Spangdahlem (Germania). Uomini e mezzi giungeranno nella base aerea di Aviano (Pordenone), dove nel 2013 è stata disattivata un’unità similare dell’aeronautica statunitense (il 603rd Air Control Squadron). Il Pentagono sta pure valutando l’ipotesi di dislocare stabilmente ad Aviano, a partire del 2025, un gruppo di volo dotato dei nuovi cacciabombardieri a capacità nucleare Joint Strike Fighter F-35. Sempre in Italia, l’esercito Usa prevede di ridimensionare il Centro ospedaliero militare di Vicenza (Vicenza Health Center), disattivare transitoriamente parte del deposito di stoccaggio munizioni esistente tra Pisa e Livorno e dismettere alcune infrastrutture minori ospitate a Camp Darby (Livorno). L’US Army sarebbe intenzionata infine ad abbandonare le Sea Pines Recreational Facilities, il grande centro ricreativo utilizzato dal personale militare e civile di Camp Darby, ammodernato appena sei anni fa. Nel 2013 l’US Army aveva disattivato a Camp Ederle (Vicenza) il 464th Military Police Platoon e a Livorno il 511th Military Police Platoon.


Molto più articolato il programma che ridefinirà la presenza statunitense in Germania. Nel grande aeroscalo militare di Ramstein, uno dei più trafficati al mondo, giungeranno 15 velivoli KC-135 “Stratotanker” dell’US Air Force e 700 militari circa del 100th Air Refueling Wing, il reparto che assicura le operazioni di rifornimento in volo dei velivoli Usa e Nato, attualmente ospitato nella base britannica di Mildenhall. Nella stazione aerea di Spangdahlem saranno ridislocati invece 10 convertiplani CV-22 “Ospreys” (velivoli “ibridi”, metà elicotteri e metà aerei), 10 velivoli da trasporto MC-130J e il personale dipendente del 352nd Special Operations Group, il gruppo per le operazioni speciali dell’aeronautica di stanza anch’esso a Mildenhall. Dopo aver soppresso nel 2012 due brigate di fanteria (la 170th ABCT di Baumholder e la 172nd ABCT di Grafenwöhr) e le caserme di Bamberg e Schweinfurt, l’US Army prevede di chiudere in Germania altri centri operativi: i commissaries ospitati a Stoccarda in tre caserme dei Comandi delle forze Usa in Europa e in Africa (con il contestuale potenziamento dei magazzini della “Panzer Kaserne”, sede dei comandi generali dell’esercito); i commissaries di Illesheim e Sembach; la stazione di Mainz-Kastel; la caserma Husterhöh a Pirmasens ; il magazzino di Weilimdorf; l’acquedotto di Baumholder (che sarà trasferito alle autorità civili locali). Saranno parzialmente ridimensionate le “Pulaski Barracks” nell’area di Kaiserslautern e l’“Artillery Kaserne” di Garmisch, mentre sarà trasferito il Comando generale della Defense Information System Agency per l’Europa (DISA-Europe) da Stoccarda a Kaiserslautern. Saranno poi ridislocati l’ufficio distrettuale dei dipendenti del Dipartimento della Difesa a Grafenwöhr e il centro di distribuzione postale dal terminale aeroportuale di Francoforte al deposito munizioni di Germersheim, che diverrà un “centro di distribuzione d’eccellenza” dell’esercito in Europa. Sempre in Germania l’U.S. Army Medical Materiel Center-Europe, il presidio medico per l’Europa centrale dell’esercito, sarà trasferito a Kaiserslautern, mentre l’U.S. Army Corps of Engineers trasferirà il proprio quartier generale dall’Amelia Earhart Hotel di Wiesbaden a Landstuhl, in un’infrastruttura attualmente adibita ad ospedale militare (quest’ultimo sarà dislocato entro il 2022 in alcune caserme di Landsthul in via di realizzazione). Saranno infine ristrutturati e potenziati alcuni servizi per il personale dell’esercito e dell’aeronautica Usa e il centro di distribuzione idrica di Grünstadt. 

Secondo Washington, entro la fine del 2020 il personale di US Army in Germania sarà ridotto di 95 militari, 147 civili e 65 dipendenti di nazionalità tedesca, mentre entro il 2023 altri 405 militari, 1.360 civili Usa e 1.207 dipendenti locali saranno ridislocati tra le basi esistenti.
In Portogallo, il Pentagono prevede di ridurre di 500 unità il contingente di US Air Force ospitato dalla Seconda guerra mondiale nello scalo aereo di Lajes, nelle Azzorre. In Belgio verranno abbandonati i siti presi in leasing a Bruxelles, mentre saranno potenziate le infrastrutture militari di Sterrebeek. In Olanda, le forze armate Usa lasceranno la cittadina di Schinnen per consolidare le proprie facilities a Brunssum. Consistenti tagli del personale militare Usa sono previsti invece in Gran Bretagna (-2.000 unità in cinque anni). Entro il 2019 sarà chiusa la base aerea di Mildenhall e ancora prima l’US Air Force lascerà le installazioni di Alconbury e Molesworth e i 1.200 militari ospitati saranno riposizionati a Croughton. Il trasferimento a Ramstein dei 3.200 avieri statunitensi di stanza a Mildenhall sarà parzialmente compensato nel 2020 dall’arrivo nello scalo di Lakenheath di un contingente 1.200 unità che supporterà le missioni del primo Joint Strike Fighter Group dell’US Air Force che avrà a disposizione due squadroni di cacciabombardieri F-35.
In Spagna, la Marina Usa prevede di stazione in maniera permanente quattro fregate lanciamissili della classe “Arleigh Burke” nel porto di Rota. Il mese scorso, Washington ha pure richiesto alle autorità iberiche l’autorizzazione ad estendere di un altro anno la presenza nella base aerea di Morón de la Frontera (Siviglia) della SP-MAGTF Crisis Response Force, la forza di pronto intervento del Corpo dei Marines, composta da 500 uomini, due aerei KC-130 per il rifornimento in volo e sei convertiplani V-22 “Osprey”. La SP-MAGTF è stata attivata nell’aprile del 2013 per concorrere alle operazioni Usa nel continente africano “nella protezione dei cittadini, delle installazioni e del personale statunitense” e può contare su una base di supporto avanzata in Sicilia, a Sigonella. Il Dipartimento della Difesa punterebbe ad aumentare nei prossimi mesi del 50% il numero dei componenti della task force dei marines.

Quando l’European Consolidation Initiative sarà a pieno regime, le truppe americane in Europa si attesteranno sulle 67.000 unità.
ODISSEA E LA VISIONE URBANA                                                                                                 
Continua il dibattito di “Odissea” sull’uso della città e i suoi arredi
Risponde OTTAVIO ROSSANI


1.È opinione comune che a Milano, come del resto in molte città italiane grandi e piccole, a partire dagli anni Settanta del Novecento, sono stati realizzati una serie di manufatti urbani ibridi piuttosto discutibili, ed inseriti in contesti non pertinenti o assolutamente dissonanti. Mi riferisco in particolare alle “capannette scheletriche” realizzate da Gae Aulenti in Piazzale Cadorna, che dovrebbero dare l’idea di un Foro, ma di cui quasi nessuno capisce il senso e la funzione; ai tubi attorcigliati dello svedese Claes Oldenburg (che simboleggiano un gigantesco ago, metafora del lavoro artigianale) nello stesso luogo, che non si capisce cosa ci facciano lì, a pochi passi dal Castello Sforzesco. Qual è la sua opinione in merito?
È vero. Molte volte a Milano sono state “apposte” in piazze e strade elementi di arredo urbano che avrebbero voluto essere opere artistiche, e in realtà si sono rivelate scempi del paesaggio. Credo che non ci debba porre il dilemma se il nuovo sia artistico o adeguato all’ambiente. Le opere di abbellimento, di arredo, di ornamento o sono arte o non lo sono. Credo che l’arte si riveli da sé, come del resto la musica o  la poesia. È logico che se si vuole adornare un ambiente urbano si deve commissionare l’opera a un artista contemporaneo (o semplicemente a un artigiano). Purtroppo non c’è mai la garanzia che tale opera sia veramente arte o un tentativo non riuscito. L’arredo di piazza Cadorna a firma di Gae Aulenti in effetti sembra opera mal riuscita. Rispetto all’ambiente si sente una certa stonatura. Anche se l’ago e filo di Oldenburg come idea non era male. Diverge forse l’imponenza dei due manufatti? Chissà. Resta il dubbio che magari ci vuole tempo all’occhio dell’uomo per abituarsi al nuovo, e perfino al brutto. Certo, mi è capitato spesso di vedere opere contemporanee arredare angoli e piazze di Parigi che ben si allineano alle targhe belle epoque della metropolitana. Il Beaubourg, modernissimo, si è subito amalgamato all’ambiente circostante di architettura sette/ottocentesca. Capacità creativa? Forse chi lavora per Parigi è più ispirato? Il dubbio rimane.
2.Definito da più parti particolarmente invasivo rispetto al piccolo slargo che lo contiene (di per sé alquanto armonico), il monumento alla memoria dell’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini di Aldo Rossi in via Croce Rossa (fermata Montenapoleone della Metropolitana Gialla linea 3), appare in effetti completamente decontestualizzato e dissonante, tanto che il giornale “Odissea” ne ha suggerito la rimozione per rimontarlo in un contesto più coerente, e di creare al suo posto un’aiuola fiorita da affidare alle cure dell’Emporio Armani che si affaccia sulla piazzetta. Come giudica lei quest’idea?
Il suggerimento potrebbe anche essere buono. Ma mi sembra riduttivo per caratterizzare la piazzetta. Il monumento a Pertini è effettivamente molto semplice, in forma di parallelepipedo, anche incomprensibile nella sua simbologia: alcuni scalini, leggera prospettiva, linee diritte. Eppure la sua concezione modernissima pur stridendo si adagia con morbidezza nello spazio e attira lo sguardo sorpreso del passante, che si chiede che cosa è, che cosa significa. Poi quando si conosce il senso, ci si abitua presto a unificare il monumento fisico al suo valore simbolico di rettitudine, senso dello Stato, rispetto del diritto, passione e fermezza, e speranza nei giovani dell’uomo che deve celebrare. Non lo sposterei altrove.
3.L’architetto e urbanista Jacopo Gardella in un lungo e documentato saggio pubblicato di recente su “Odissea” nella Rubrica “La Carboneria” (www.libertariam.blogspot.it), accusa principalmente amministratori pubblici e istituzioni, di quella che lui chiama “una mancata idea di città”. L’assenza di regole certe e buone per un sano governo del territorio e la sua progettualità (che da amministratori e istituzioni dovrebbero derivare), ha prodotto il caos urbano, le speculazioni e le incoerenti e dannose realizzazioni che oggi ci ritroviamo sotto gli occhi. “Colpevoli i politici e gli amministratori pubblici, ma altrettanto colpevoli i committenti ed i finanziatori privati”,  scrive Gardella. E come dargli torto? Se si guarda a quello che è successo sui terreni dell’ex Fiera Campionaria con“City Life”, sull’area di Porta Garibaldi, ecc., si rimane sconcertati. Questo delirio di grattacieli incoerenti, storti e storpi, spuntati dal nulla e senza uno straccio di progettualità complessiva, rende quei luoghi artificiali, privi di anima. Ci si è illusi che un supermercato (seppure bello vasto) interrato sotto Piazza Gae Aulenti, bastasse ad animare il luogo. È vero, i grattacieli funzionano come una calamita visiva attirando l’attenzione di chi transita da quelle parti, ma appaiono come corpi separati, luoghi blindati; mentre la Stazione ferroviaria, vale a dire il nodo strategico dell’area, ha perso ogni centralità, è divenuta marginale. Lei che opinione se ne è fatta? 
Io penso che i grattacieli in sé non sono una iattura. Devo anche dire che quelli realizzati attorno a Porta Garibaldi non sono brutti. Anzi, comunicano un senso di dinamismo continuo, non solo verso l’alto. Certamente, va sottolineato il disinteresse mostrato dal Comune a imbrigliare i nuovi grattacieli in una dimensione urbana più articolata e completa di servizi per i cittadini. Ma questa è una pecca che le amministrazioni comunali si portano addosso sin dalla Giunta Formentini, che pomposamente ha archiviato l’epoca della “Milano da bere” tanto vituperata, che però aveva uno spirito milanese, al di là di corruzioni e stramberie. Negli ultimi anni Milano è stata stravolta nella viabilità, con restringimenti dei vialoni che la caratterizzavano a vantaggio di posti auto a pagamento che hanno impoverito le visuali e il verde. Ed è stata soprattutto impoverita di spazi verdi. Certo, gli spazi sono stati tirannizzati dalle speculazioni. Non è stato quindi un valido lavoro per la scrittura della nuova identità di Milano, che risulta appunto un po’ ibrida. Ma ancora si potrebbe anche riparare qualcosa, se si volesse mettere mano a un progetto di razionalizzazione degli spazi rimasti. Completare il percorso di piste ciclabili, per evitare che i ciclisti invadano i marciapiedi, come ora fanno, senza che un vigile intervenga per multare gli abusivi che non rispettano le regole di circolazione in città. Ma come possono rispettarle, se i primi a pedalare sui marciapiedi sono i vigili urbani?
4. Se dovesse eliminare uno dei tanti controversi manufatti presenti in città, quale eliminerebbe subito e perché?
Nessuno. Cercherei di approntare attorno ad essi la più adeguata ambientazione circostante con supporti di strade decorate e un po’ di verde (aiuole o alberi) dove ancora possibile.


venerdì 6 febbraio 2015

CONSOLATO UCRAINO DI MILANO
UNA MOSTRA CHE OCCORRE VEDERE
PER NON DIMENTICARE
Cliccare sul manifesto per vederlo in formato grande.



In Italia la prescrizione è una farsa: ecco i casi più eclatanti
Solo gli stupidi possono dar credito a quello osceno agglomerato chiamato gruppo dirigente del Pd, e al suo capo: il parolaio di Firenze, oggi presidente del Consiglio. I fatti, nella realtà, sono questi. Sarà bene prenderne atto.

Solo per arrivare a una sentenza di 1° grado in Italia occorrono in media 500 giorni.
Il risultato è che si hanno circa 165.000 prescrizioni all'anno. Si pensi solo ai tantissimi processi per corruzione: solo poche decine condannati scontano la pena perché tutti gli altri godono della prescrizione. Un enorme costo per lo Stato, stimato dalla Cassazione in 84 milioni di euro.
Chiediamo una prescrizione vera, che sia garanzia di tutti e non privilegio di chi sfrutta le pieghe del codice per sfuggire alla sentenza. La prescrizione è un diritto ed esiste in molti Paesi ma In Italia è diventata un modo per difendersi dai processi e questo non è tollerabile. 

STRAGE DI VIAREGGIO: A RISCHIO PRESCRIZIONE
Sono passati quattro anni e mezzo dal disastro ferroviario di Viareggio e a giugno scadranno per effetto della prescrizione i reati di incendio colposo, disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose plurime, al quale si aggiungono i capi di imputazione relativi alla violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.


DISASTRO ETERNIT: 1 PRESCRITTO
È iniziato nel 2009 il processo contro l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ex presidente del consiglio di amministrazione della compagnia, che insieme al direttore dell'azienda negli anni Sessanta, Louis De Cartier de Marchienne (deceduto nel 2013 a 92 anni), sono ritenuti gli unici responsabili delle morti per mesotelioma avvenute tra i dipendenti delle fabbriche di Eternit. Nel 2012 il Tribunale di Torino ha condannato di primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione per "disastro ambientale doloso permanente" e per "omissione volontaria di cautele antinfortunistiche". Nel 2013 la pena è stata "parzialmente riformata" e aumentata a 18 anni. Il 19 Novembre 2014 la Corte di Cassazione ha annullato la condanna dichiarando prescritto il reato.


DISASTRO DI PORTO MARGHERA: 5 PRESCRITTI
Per decenni le industrie chimiche della zona hanno riversato sostanze nocive e inquinanti nella laguna provocando gravi danni all’ambiente e decine di casi di tumore tra gli abitanti. L’inchiesta è iniziata nel 1996 e ha portato al rinvio a giudizio vari dirigenti ed ex-dirigenti della Montedison e della Enichem con l’accusa di strage, omicidio e lesioni colpose multiple. Nel 2001 sono stati tutti assolti in primo grado ma in secondo grado c’è stata la condanna per cinque ex dirigenti Montedison a un anno e mezzo di reclusione per omicidio colposo nei confronti di un operaio morto nel 1999. I cinque hanno però usufruito della prescrizione per sette omicidi colposi precedenti e altri dodici casi di lesioni colpose, scarichi inquinanti nella laguna e omessa collocazione di impianti di aspirazione. Gli stessi ex dirigenti sono stati assolti, "perché il fatto non costituisce reato", dall’accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro fino a tutto il 1973. In ogni caso, ai condannati è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena. Nel 2006, la Cassazione ha confermato la sentenza di appello.


CASO LICIO GELLI: PRESCRITTO
Questa è villa Wanda, dimora aretina di Licio Gelli. L'ex "maestro venerabile" della Loggia P2, 95 anni, ha potuto tornare a disporre liberamente dei 32 vani e degli 11.000 mq di giardino della villa perché i reati fiscali che avevano portato nel 2013 al sequestro preventivo dell'immobile sono stati da poco dichiarati prescritti e si è proceduto al dissequestro.


PROCESSO MILLS: 1 PRESCRITTO
Accusato di corruzione in atti giudiziari per le mazzette da 600 mila dollari versate al testimone inglese David Mills, in cambio del silenzio su alcuni conti offshore, l'ex premier Silvio Berlusconi si è salvato proprio grazie alla ex Cirielli (che ha abbassato da 15 a 10 anni i termini per il reato in questione). La prescrizione è intervenuta anche nei processi relativi  all'intercettazione Fassino-Consorte, della corruzione giudiziaria della Mondadori e per i falsi in bilancio della Fininvest (caso All Iberian), che lo vedevano coinvolto.


PROCESSO CASSIOPEA: TUTTI PRESCRITTI
Una delle più grandi inchieste mai realizzate in Italia nell'ambito della gestione illecita dei rifiuti è partita nel 1999 portando a galla un traffico di rifiuti speciali che da Toscana, Piemonte, Veneto venivano trasportati e illecitamente smaltiti in Campania, Calabria e in Sardegna. Risultavano coinvolte almeno una quarantina aziende tra centri di stoccaggio, società commerciali e di gestione discariche, società di autotrasporto. Nonostante i ben 97 rinvii a giudizio per imprenditori, faccendieri e mediatori con accuse di associazione a delinquere finalizzata a disastro ambientale e all’avvelenamento delle acque, realizzazione e gestione di discariche abusive, il processo, partito nel 2003, è proceduto con enorme lentezza e nel 2011 è scattata la prescrizione dei reati ambientali contestati.

PROCESSO PENATI: PRESCRITTO
Anche l'ex braccio destro di Bersani, Filippo Penati, è stato oggetto di prescrizione nell’ambito del processo relativo al "sistema-Sesto" (una rete di tangenti per la spartizione di alcune aree industriali). Accusato di aver intascato mazzette per oltre due milioni di euro, aveva in un primo momento dichiarato di voler rinunciare alla legittima prescrizione, ma poi è tornato sui suoi passi e il processo è proseguito solo per accuse più recenti, che sembrano più difficili da dimostrare.


DISCARICA DI PITELLI: PRESCRITTI
La discarica di Pitelli (La Spezia) è stata attiva dalla fine degli anni Settanta fino agli anni Novanta. Poi chiusa e posta sotto sequestro dall'autorità giudiziaria in seguito al ritrovamento di rifiuti pericolosi. L’inchiesta è stata avviata nel ‘96 e il processo per disastro ambientale nel 2003. Nel 2011, a 15 anni dal primo sequestro, dopo che la prescrizione ha fatto decadere la gran parte dei reati ambientali contestati, gli 11 imputati sono stati assolti.


CASO PALENZONA: PRESCRITTO
Fabrizio Palenzona, big della finanza, autostrade e costruzioni, ha goduto della prescrizione nel processo che lo vedeva accusato di aver intascato almeno un milione di euro su una rete di conti di famiglia tra Svizzera e Montecarlo, mai dichiarati al fisco e scoperti grazie alle indagini sulle scalate bancarie del 2005.

CASO MOSE: A RISCHIO PRESCRIZIONE
Nonostante la cronaca quotidiana non riporti più molti dettagli sulle vicende giudiziarie dello scandalo, sembra che per la maggior parte dei coinvolti nel caso Mose il quadro indiziario regga. In particolare il processo all’ex sindaco Giorgio Orsoni rischia di portare a una scadenza dei termini poiché gli episodi di finanziamento illecito dei partiti che gli vengono contestati risalgono a oltre cinque anni fa. Dopo sette anni e mezzo, si sa, scatta la prescrizione e anche se in primo grado l'imputato fosse condannato, l'appello potrebbe sforare i tempi.


PROCESSO GERONZI: PRESCRITTO
La prescrizione è scattata nel 2004 anche per il manager Cesare Geronzi che insieme a altri banchieri era imputato in un processo per aver rilasciato false dichiarazioni alla Banca d'Italia, relative ai bilanci proprie società.

PROCESSO ARTEMIDE: 8 PRESCRITTI
Nel 1999 è iniziato il processo presso il Tribunale di Castrovillari nei confronti di 11 imputati ritenuti responsabili dell’interramento di circa 30mila tonnellate di rifiuti nella piana di Sibari. Nel 2008 il Tribunale ha assolto i tre principali accusati “perché il fatto non sussiste”, dichiarando il “non doversi procedere” nei confronti di altri otto indagati per disastro ambientale per intervenuta prescrizione.


CASO IORIO: PRESCRITTO
L’ex governatore del Molise, Michele Iorio, ha beneficiato degli effetti della prescrizione solo all’ultimo grado di giudizio, in Cassazione, dove la condanna a 18 mesi per abuso d’ufficio da parte del tribunale di Campobasso è sfumata.


INTER E JUVENTUS: PRESCRITTE
Non tutti sanno che anche due tra le squadre di calcio più amate sono state graziate in qualche modo dalla prescrizione. In particolare, per quanto riguarda il processo sul doping che ha coinvolto la Juventus, sono stati prescritti nel 2007 Riccardo Agricola e Antonio Giraudo, il medico e l' ex amministratore delegato bianconeri, accusati nel ‘98 di frode sportiva.  Mentre l’Inter ha potuto mettere una pietra sopra sulla cosiddetta Calciopoli bis del 2006, quando la società nerazzurra e l'allora presidente Giacinto Facchetti furono accusati di "condotte finalizzate ad assicurare un vantaggio in classifica".

Redazione di Libera

martedì 3 febbraio 2015

Se sia possibile una cittadinanza globale
di Giovanni Bianchi

Perché?
Perché il vero problema non è il rapporto con l'Islam, ma se sia possibile una cittadinanza globale e democratica. L'Islam infatti non è una faccenda che competa solo ai musulmani e agli arabi, dal momento che è ancora una volta la realtà di questa globalizzazione a imbarazzarci. Insieme al lavoro culturale (Freud) e politico che essa richiede. Un lavoro che viaggia lungo i confini delle etnie e delle identità, tutte chiamate a un inevitabile meticciato dalle continue migrazioni imposte dal capitale finanziario e dal bisogno di una cittadinanza più piena e più libera nelle masse. Per cui l'unica analisi e l'unico pensiero in grado di non divagare sono quelli che si candidano ad aprire una nuova prospettiva, confrontandosi coraggiosamente con lo spirito del tempo e altrettanto coraggiosamente criticandolo. Quel che importa è dunque la costruzione di una nuova soggettività globale, che non è uniformità, ma come unità e convivenza delle identità, dal momento che dovrebbe essere chiaro che la soggettività non può essere confusa con il soggettivismo. "Interpretare infatti è l'atto stesso attraverso cui il soggetto si costituisce. Indipendentemente dal contesto in cui mette in gioco una tale operazione".

Eppure
Eppure, come già nel dodicesimo e tredicesimo secolo, una grande contaminazione riguarda le culture. C'è sempre un Averroè che si occupa di commentare Aristotele. E una qualche Cordoba si trova in Europa. Quel medesimo capitalismo che ha armato i talebani in Afganistan, suggerendo una via bellica e poi terroristica agli allievi delle Scuole Coraniche, è il medesimo che ha tentato di insinuarsi nelle loro psicologie con gli agi del consumismo. I giovani che partono dalle periferie di Parigi per un indottrinamento che non è certo emulo degli Esercizi Spirituali ignaziani, non sono evidentemente destinati a passare il resto della vita nei campi di addestramento militare e non sono prevedibilmente tutti intenzionati al martirio. È questo il possibile destino di una minoranza davvero esigua tra gli islamici. La nuova globalizzazione -così com’è- seduce la quotidianità. Ben più di un miliardo di islamici in tutto il mondo pensano verosimilmente di continuare a vivere pacificamente la propria religione senza evitare i contatti con le cose buone e i comportamenti progressivi dell’Occidente. Tra gli immigrati solo una parte frequenta la moschea. Ma c'è di più: qualche pronipote di Averroè ha incominciato a riflettere e a scrivere. Il riferimento non è l'aristotelismo, ma l'illuminismo francese. Non ha fin qui infatti registrato soverchia attenzione né pubblicità la Dichiarazione di non sottomissione (a uso dei musulmani e di coloro che non lo sono) di Fethi Benslama, il cui riferimento più esplicito non è il filosofo di Stagira, ma Lacan.
La dichiarazione si presenta infatti come un invito pressante al pensiero, alla parola, alla ricerca, in un'epoca di passioni prevalentemente tristi. In un'epoca tuttavia nella quale il problema del soggetto continua ad essere centrale nel nostro essere e voler essere umani. Nella quotidianità individuale e collettiva, personale e generazionale: che non può darsi senza la presenza -auspicata o esorcizzata- della politica e di una politica responsabile (cioè in grado di decidere) perché consapevole della situazione. Un appello a rimanere svegli (Sentinella, quanto resta della notte?) contro le suggestioni che continuamente ci sviano perché ciò non accada. È davvero quello che abbiamo di fronte il peggiore dei mondi a venire? Dopo la strage di Parigi e dopo la grande manifestazione in difesa della libertà d'espressione, è ancora possibile e in che modo immaginare una convivenza fra culture e religioni diverse? Come concepire il valore della laicità e  come ripensare il ruolo delle religioni nello spazio privato e nello spazio pubblico? Una cittadinanza democratica e globale è il sogno patetico delle anime belle residue?

Le posizioni in campo
Osserva Massimo Cacciari in “Avvenire” di domenica 18 gennaio 2015 che "nelle culture europee la parola "libertà" rinvia immediatamente all'idea di incondizionatezza, alla quale ogni nostra azione viene commisurata. Dentro di noi possiamo essere consapevoli dell'impossibilità di realizzare pienamente quest'idea, eppure non rinunciamo a vivere come se la nostra libertà fosse già, per l’appunto, incondizionata".
Per il sociologo di origine algerina Khaled Fouad Allam sarebbe invece in atto uno scontro fra due tipi di sacralità: uno tradizionale, di cui i terroristi si dicono paladini, e un altro laico e profano. Troppi buchi neri separano ancora Islam e Occidente.
E infatti per Allam "la libertà occidentale presuppone un universalismo illuminista, di matrice settecentesca, che è stato ormai soppiantato da un universalismo di tutt'altro tipo, che definirei "post-occidentale".Non sto dicendo che l’Occidente è finito,  sia chiaro, ma che il contesto è più ampio, più complesso. Non ci si può accontentare di invocare un Islam più laico e, quindi, più libero. Il vero problema è, ancora una volta, quello della secolarizzazione, che per l’Europa non si limita alla rivendicazione del principio di uguaglianza, ma comporta un divorzio profondo fra l’io e la dimensione religiosa, in un percorso di soggettivizzazione per cui la religione, per quanto importante, non è comunque più importante di altri valori. Gli attentati di Parigi, come sappiamo, hanno preso di mira proprio questo sistema di idee e, nel contempo, hanno reso evidente il dramma dell'Islam di oggi".
A questo punto le posizioni possono divaricare proprio intorno al tema epocale della secolarizzazione. Chi la pensa in piena salute e chi al tramonto. Chi, come Paolo Sorbi, usando una celebre distinzione martiniana, fa osservare che un conto è la secolarizzazione, un altro è la secolarità, che comporta il confronto con il principio di realtà. Con l'osservazione generale che la secolarizzazione è un fenomeno globale, dal quale però per il momento l'Islam è rimasto escluso.
Per l'islamista Paolo Branca vale la convinzione che l'Islam sia un organismo in sé sano, ma che ha al suo interno un tumore da estirpare. E aggiunge: " Mi riferisco al cancro del terrorismo, si capisce, e mentre dico questo so benissimo che a far galoppare le metastasi sono stati i milioni e milioni di petrodollari erogati dai governi dell'area mediorientale".
E’ nel groviglio così descritto che le frontiere simboliche si trasformano in frontiere etniche –  nella ex Jugoslavia come in Ruanda – e come sta accadendo in tante parti del mondo.
La semplice e pur intensa trasmissione di nozioni, informazioni e cognizioni tecniche risulta drammaticamente insufficiente, perché nessuno arriverà mai a comprendere l'altro se non all'interno di una dimensione relazionale calda e solidale. Qui si gioca, nelle società liquide come nella crisi degli Stati Nazione, il destino dell'attuale globalizzazione. Qui dobbiamo riproporci l'interrogativo su che cosa sia una cittadinanza globale, che implica convivenza di identità diverse, e non soltanto una omologazione consumistica. Gli stili di vita letti soltanto in questo modo e a questo livello non danno conto delle profonde trasformazioni antropologiche in atto, e neppure di quelle che già si sono prodotte. Non basta girare il mondo e appartenere alla generazione Erasmus.
La contiguità del consumo non è amicizia e non costituisce di per sé cittadinanza. Così pure non basta la retorica delle affermazioni che giudicano le differenze una ricchezza. È vero, ma non è sufficiente. Anche in questo caso è possibile morire d'eccesso analitico (papa Francesco). Sperimentare percorsi d’amicizia e di solidarietà non è un problema teorico né tantomeno un vezzo retorico.

Il testo di Benslama 
Lo psicoanalista franco-tunisino Fethi Benslama non ha paura osservare che l'Islam è “la posta in gioco centrale della guerra che si svolge da ormai una trentina d'anni: una guerra il cui scopo è di potere definire ciò che "Islam" significa, onde poter parlare in suo nome. Perché parlare “nel nome di” conferisce un potere sovrano”.
L’origine del libro? Anche in questo caso Benslama non è reticente: "Il testo che segue è stato redatto su richiesta di un gruppo di lavoro composto dai firmatari del “Manifesto delle libertà”, nel quale delle donne e degli uomini chiamavano tutti quelli che si riconoscevano sia nei valori della laicità che nel riferimento all'Islam come cultura a uscire dal loro isolamento e a opporsi all'ideologia dell'islamismo". Il testo della dichiarazione inizia infatti definendo minacciosa un'invocazione che corre il mondo: "nel nome dell'Islam". E sembrerebbe perfino muoversi in una piattaforma che non ignora la visione “armata” di Huntington che aveva per tempo messo in guardia dallo scontro di civiltà. Mentre, nota ancora Benslama in apertura, "siamo stati testimoni del processo di brutale azzeramento prodotto dalle devastazioni economiche, sociali, culturali e spirituali nella maggior parte delle società islamiche". Una lunga scia si estende "in maniera pressoché ininterrotta dal Marocco all'Indonesia: massacri e assassini, torture e reclusioni, spartizioni e banditidismi, arcaiche vendette e umiliazioni, anzi, in certi casi, crimini di guerra e genocidi". E di tutto ciò l’origine non è ignota, almeno all’Autore: "Uscite da una setta che predica un puritanesimo intransigente(il wahhabismo), capace di ripudiare anche gli sprazzi di gioia, le petro-famiglie hanno diffuso, attraverso i movimenti che loro stesse hanno generato, una concezione letterale della religione, l'ossessione d’un dio oscuro che esige  sacrificio e purificazione in ogni ambito dell'esistenza umana, ritenuta fondamentalmente impura. Essi hanno innalzato la vitrea cloaca dietro la quale una parte dei giovani non ha più ormai che degli occhi irritati per guardare il mondo da quaggiù; loro hanno invertito il senso della promessa progressista: la speranza non è più rivolta verso il futuro, ma verso un passato ingiustamente passato, al quale occorre ritornare. Questi puritani d'Arabia hanno divorato l’avvenire".
Non a caso già in Algeria (molti ricordano lo splendido film sui monaci scomparsi) appare chiaro come non si trattasse soltanto del massacro di intere popolazioni civili, ma, "molto peggio, dei supplizi che testimoniavano un desiderio di distruggere degli esseri in quanto tali, dove crudeltà e sessualità si mischiavano indistricabilmente tra loro". E infatti ci sono i racconti dei sopravvissuti, nei quali i pretesi resistenti islamici hanno inflitto sofferenze insostenibili a bambini, donne, uomini, per poter godere d'un potere illimitato su di loro, fino a ridurli a brandelli di carne da macelleria, come se avessero voluto far regnare la notte d’un dio del nulla e ricondurre allo stato di cose le creature umane.
"Il supplizio dei monaci di Tibérine mostra che per loro non ha nessuna importanza la funzione e la parola, ogni gola è da sgozzare, ogni carne è buona per essere fatta a pezzi. Occorre chiedersi in questo caso, così come in altri, come una civiltà possa alimentare simili demoni sterminatori. La barbarie non può essere un fatto accidentale".
Tenendo in conto la circostanza che l'offerta d'una completa realizzazione anticipata grazie al tramite delle nozze con la morte può trovare orecchie attente e numerosi acquirenti.
A questo punto Benslama introduce la nozione di "modernismo incolto". Si tratta della "trasformazione tecnica ed economica di uno spazio di vita, senza i mezzi per rendere intellegibile il  reale di questa trasformazione, tale per cui gli umani che lo abitano diventano analfabeti del loro stesso mondo e lo subiscono come un vortice d'assurdità".
Resta ancora da osservare che attraverso il disprezzo di sé e della propria vita l'oppresso disperato si colloca sul medesimo terreno del suo oppressore. E così "si distrugge per distruggere, distrugge perché lo si distrugga".
Questo ingranaggio non è tuttavia l'esito di una fatalità, ma di una macchinazione compiuta dai governanti degli Stati detti "musulmani". Nel luogo dello Stato essi hanno insediato una macchina per produrre terrore e piacere. Il diritto e la democrazia restano ad uso "meramente endogamico". E il tutto si concentra nella "dissoluzione del politico nello spirito di corpo".
È in questo quadro -dove l'Islam non è solo il nome di una religione ma anche quello di una civiltà costituita da una molteplicità di culture e da una diversità umana irriducibile- che la richiesta che sia resa giustizia all’eguaglianza di tutti gli uomini, l'esigenza del diritto di avere dei diritti, l'appello a una democrazia a venire "non possono essere dissociati dall'immenso lavoro sulla loro cultura che i musulmani sono chiamati a mettere in atto. Ecco perché, come l'Europa non è solo una questione degli europei, così l'Islam non è una cosa esclusiva dei musulmani".
L’Islam infatti non è soltanto il nome di una religione, ma anche quello di una civiltà costituita in un mondo globale che è insieme il mondo reale e la sua rappresentazione.
Ma esso si evidenzia e fa problema anche per alcuni vistosi ritardi rispetto alla modernità: l'esclusione legalizzata, l'istituzione dell'ineguaglianza, “l'avvilimento legittimato delle donne dalla legge teologica”. Un ruolo non secondario gioca da questo punto di vista il velo, che per Benslama è "per la donna, l’antisegno da ostentare in quanto percepita come “male necessario”." Un giudizio davvero durissimo dall'interno del mondo islamico.


Che ne è dello Stato islamico?
Non meno drastico il giudizio sulle forme del politico e statuali. "Il mondo musulmano si è liberato dalle forze esterne del colonialismo per precipitare poi sotto il giogo della tirannia politica dell'unità e della sua stessa realtà interna". Fino alla tragica impasse dell'Egitto, dove l'inettitudine di Morsi ha riaperto il varco alla dittatura militare. Perché i conti non fatti con l'illuminismo pesano nella vita pubblica come in quella familiare. Così come quei conti non fatti pesano anche nel cattolicesimo.
Dove ad essere messo in gioco non è tanto l'Islam come religione quanto come cultura, dal momento che "la libertà di ciascuno non è possibile che assieme a quella degli altri".
Fa riflettere l'osservazione di Benslama: "Il fatto che nella civiltà musulmana non sia mai apparso l'equivalente, o qualcosa di simile, del concetto di cittadino, e degli effetti che ne derivano nella storia, è l’indice di una faglia sistemica che resta a tutt’oggi da analizzare, al di fuori di ogni schematismo e anacronismo". Anche se la possibilità dell'impossibile è l'orizzonte weberiano di qualsiasi politica, quelle islamiche incluse. In esse vanno precisati gli obiettivi di una laicità, che ovviamente non si propone la distruzione dell'autorità religiosa. Vanno altresì precisati gli obiettivi della libertà, come pure della fraternità: la terza e più negletta parola di un Ottantanove che -non va dimenticato- ha visto la ghigliottina al lavoro nei confronti dei preti vandeani, i cui lontani antenati avevano usato i roghi degli inquisitori contro eretici e infedeli. Ma è pur vero che le diverse religioni e le diverse civiltà imparano l'una dall'altra dai rispettivi errori e perfino dalle tragedie.







Ci risiamo: ampliamo il porto e intasiamo la riviera.
E che Santa Margherita ci aiuti.
Testo e foto di Paolo Maria Di Stefano


L’Italia e il turismo sembrano avere un rapporto visceralmente distorto. Non a caso siamo riusciti a precipitare lungo la scala del richiamo dei turisti pur disponendo, si dice, di un patrimonio culturale unico al mondo e pur potendo mettere a disposizione degli ospiti -e questo è sicuro- bellezze naturali seconde a nessuno. Io ho in materia un’opinione personale che non riesco a correggere: siamo incapaci di gestire gli scambi che concretano il mondo del turismo. E questo principalmente perché siamo improvvisatori, arruffoni, disordinati, incapaci di pianificare, inaffidabili e, soprattutto, dediti alla ricerca del profitto immediato ed alla furbizia a danno dei turisti in genere e di quelli provenienti da altri Paesi in particolare. Forse, il “pochi maledetti e subito” è una legge di comportamento legata al nostro dna, in una con quella che invita a cogliere le opportunità nell’immediato, senza preoccuparci della gestione nel lungo periodo. Che è la ragione per la quale si consente alle grandi navi da crociera di raggiungere piazza San Marco, forse in attesa di passare alla storia anche per qualche incidente di portata planetaria. Una insipienza, una incapacità, una disonestà, un opportunismo che investono tutto il nostro modo di essere, nel grande come nel piccolo. Non di tutti, ovviamente, e non sempre, ma in materia di immagine basta poco per generalizzare e decidere che è meglio (più economico, più sicuro, più soddisfacente) scegliere altre mete.


Punto e a capo.
Una ennesima situazione esemplare: il porto di Santa Margherita Ligure è di nuovo in ballo, con due progetti di ampliamento: Santa Benessere & Social, da un lato, e Porto Cavour, dall’altro. E, probabilmente, in qualche cassetto altri ne dormono, nell’attesa di un momento di distrazione degli amministratori o anche dell’arrivo di tempi ancora più propizi perché qualcuno possa arricchirsi nell’immediato, declamando argomentazioni che generano l’illusione di nuove opportunità per il futuro. E in questo caso non soltanto rivolte agli abitanti “stanziali”, ma soprattutto a tutti coloro che Santa l’hanno scoperta, creata, e animata come piccola parte di un paradiso in cui trascorrere tranquille e colorate ore di felicità. Milanesi in testa, poiché Santa Margherita Ligure è anche creatura di Milano.


L’ennesimo attentato a quel poco che rimane delle bellezze naturali italiane e, peggio, a quel che resta della riviera ligure: non proprio pochissimo, ma certamente molto vicino alla sparizione. E non soltanto per le improvvide decisioni relative alle urbanizzazioni, in genere avvenute con il solo criterio dello sfruttamento intensivo delle aree e senza rispetto alcuno per la natura (tanto che non a caso si è creato a suo tempo il lemma “rapallizzazione” e “rapallizzare”, dal significato chiaro quanto negativo da sempre, ormai), ma anche e forse soprattutto per la cieca volontà di attrarre a terra tutto ciò che può arrivare via mare.
La riviera si avvia, così, a divenire un solo grande porto turistico, da Sestri a Ventimiglia, per di più gestito da privati, e quindi sottratto alla utilità pubblica a favore della massimizzazione di un profitto per la realizzazione del quale “il privato” è disposto ad ogni compromesso. Forse per la gioia immediata dei negozianti e degli albergatori, ma certamente prologo all’abbandono da parte di tutti quelli che amano e cercano e vivono la tranquillità, la bellezza, il silenzio rotto appena dalla brezza marina, il profumo della salsedine.
Tutte cose, peraltro, già precarie anziché no.


Io credo che il problema -di Santa e di Portofino e di Camogli e della Riviera tutta- non sia quello di saturarsi di turisti rumorosi e ruminanti, fonte di inquinamento di tutti i tipi e a tutte le ore (caratteristiche del cosiddetto turismo di massa), bensì di garantire una qualità di vita di rilievo assoluto, e anche per questo lontana il più possibile dal sovraffollamento, dal traffico, dalle code, dalle centinaia di automobili ferme in ogni anfratto intese a trasformare le strade in viottoli scomodi e maleodoranti.
Tra l’altro, sono proprio queste le argomentazioni di vendita che possono premiare Santa e la Riviera: un prodotto di altissima qualità per godere del quale valga la pena di spendere qualche risorsa in più.
E il turismo di qualità vale anche, naturalmente, per coloro che dovessero giungere via  mare. I posti in porto possono essere affittati a prezzi molto più remunerativi, se a terra l’attenzione alla qualità di vita è ai massimi livelli.

E la qualità di tutto e in tutti i sensi non è mai facilmente conciliabile con il numero e con la quantità.
Il problema non è, quindi, moltiplicare le capacità recettive del porto, bensì realizzare quella eccellenza della qualità di vita capace di attrarre un turismo propenso a impegnare risorse, oltre che colto e in grado di apprezzare il meglio.
Naturalmente, di questa “eccellenza di qualità di vita” gli abitanti di Santa Margherita non solo devono sentirsi responsabili, ma devono conoscere ed attuare le caratteristiche, che spaziano dall’educazione alla cultura, anche la più sofisticata.
In questa direzione, possono essere ipotizzate una serie di attività che vanno dalla formazione turistica (recettività, movimentazione, culinaria, rapporti di ospitalità …) degli abitanti all’offerta di “occasioni culturali” (e perché no? sportive) agli ospiti, sulla scia di quanto già accade proprio a Santa con i programmi della Tigulliana, e via dicendo fino ad una serie di eventi (teatro, musica, balletto, convegni e congressi, giostre e fiere…) che vedano collaborare tutte le località della riviera in realizzazioni pianificate e organizzate, in modo tale da non elidersi a vicenda.
E qui si aggancia quello che io credo essere il problema dei problemi: il marketing territoriale. Solo un accenno: da noi, e non solo, per marketing si intende fare qualche ricerca, un po’ di pubblicità e qualche iniziativa promozionale. Che ha una sola certezza: il costo in genere elevato, al quale sempre in genere non corrispondono risultati degni di nota.
E per marketing territoriale, il nulla. Che è sbagliato.


Fare marketing significa gestire in ogni suo aspetto qualsiasi tipo di scambio, con chiunque e per qualsiasi tipo di prodotto, a cominciare proprio dalla ideazione del prodotto stesso.  E gestire lo scambio vuol dire occuparsi a fondo di ogni suo aspetto.
Ecco allora che si disegnano i compiti di tutti e di ciascuno. E occorre dare risposte affidabili alle famose domande, quelle di cui tutti parlano a proposito e più spesso a sproposito: i 5W e l’H. Ed è questa ultima domanda che implica le risposte più difficili: come facciamo a realizzare gli obbiettivi?
Beh: intanto, cominciamo a descrivere il prodotto Santa e gli obbiettivi che ci proponiamo. Che è più facile di quanto possa non apparire, dal momento che si tratta di operare su di una realtà esistente, non solo, ma non ancora degradata in modo irreversibile.


Potrebbe essere un inizio: ragioniamo su cosa vorremmo fosse Santa Margherita e cosa vorremmo che diventasse e perché. Facciamolo insieme, abitanti stanziali e ospiti.
Se lo avremo fatto in buona fede, funzionerà.
Per quanto riguarda il resto d’Italia… Qualcosa vieta, forse, di utilizzare un sistema corretto di gestione del territorio, magari anche solo a fini turistici? Occuparci di Santa Margherita Ligure potrebbe essere un buon inizio. Addirittura, Santa potrebbe divenire la capofila di una “università del marketing territoriale”, con tutte le conseguenze scientifiche ed operative e con tutte le opportunità facilmente immaginabili.

Certo, deve esistere una premessa assolutamente necessaria: bisogna individuare i reali bisogni ed i reali interessi di Santa come di tutte le aree implicate e soddisfare i primi e perseguire i secondi in modo prioritario ed esclusivo, drasticamente impedendo che altri e diversi interessi prendano il sopravvento. Mafie e corrotti in testa.
BUON COMPLEANNO ARTURO
“ODISSEA” PER SCHWARZ

Arturo Schwarz fotografato nella sua casa di Mialno
dall'amico fotografo romano Dino Ignani,
davanti alla scacchiera di Duchamp

Odissea formula all’amico e collaboratore
Arturo Schwarz, gli auguri più affettuosi
per i suoi 91 anni, e per l’occasione regala  
ai suoi lettori ed estimatori questo suo aforisma inedito.  

“La burocrazia è la lebbra dell’umanità” 

Arturo Schwarz
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