UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 7 settembre 2025

INTORNO A “DUE LETTERE” DI GIAMPIERO NERI
di Renzo Vidale


Giampiero Neri (foto di Renzo Vidale)
 

Il testo “Due lettere” che segue è il risultato di una rielaborazione messa in atto dal poeta Giampiero Neri di due scritti presenti entrambi, come precisa lui stesso, solo nelle prime edizioni della Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da lui stesso. Nelle successive infatti, per molto tempo, la lettera di Penelope Pitt fu esclusa. Dopo il testo di Neri, qui sotto riportato, inizia il mio commento. In “Appendice” ripropongo entrambi i testi su cui ha lavorato Neri: il brano della “Vita” in cui Alfieri riassume brevemente la lettera da lui inviata alla Pitt (di cui non aveva copia), e il testo originale in francese della risposta della donna. Per questo mio lavoro ho utilizzato l’edizione della “Vita” di Alfieri pubblicata da Einaudi nel 1967. [R. V.]
  
DUE LETTERE
 
Dei due scritti che seguono, il primo è di Vittorio Alfieri. Il secondo si riferisce alla lettera di una sua amica inglese che nelle prime edizioni della “Vita” era riportata. Il testo che qui si propone, a quella lettera liberamente si ispira.
  
I
 
Dover, verso la fine di aprile 1791.
Nell'atto di imbarcarmi a Dover, alzati gli occhi alla spiaggia, dove era un certo numero di persone, la prima che i miei occhi incontrano si è quella signora ancora bellissima e quasi nulla mutata da quella che avevo lasciata vent’anni prima, appunto nel 1771.
Non posso esprimere tutti i modi e diversi effetti contrari che mi cagionò quella vista tuttavia non le dissi parola e le volli scrivere. La mia lettera era certamente piena di affetti, non già di amore, ma di una vera e profonda commozione di vederla fare una vita disordinata e così poco decorosa al suo stato di nascita, tanto più pensando di esserne io stato, benché innocente, o la cagione o il pretesto. Che senza lo scandalo succeduto per causa mia, ella forse avrebbe potuto occultare in tutto in parte le sue dissolutezze, e poi con gli anni emendarsene.
Circa quattro settimane dopo ritrovai la di lei risposta che fedelmente trascrivo qui per dare un'idea del suo ostinato e mal inclinato carattere, che in quel grado è cosa assai rara. Ma tutto serve allo studio della specie bizzarra degli uomini.
 
II
 
Caro amico, la tua lettera mi ha sorpreso, dopo tanto tempo. Non che abbia qualcosa da rimproverarti, non si tratta di questo. Devo a te se sono uscita da una condizione in parte ambigua e falsa. Ma ricordandomi di tanti discorsi e ragionamenti passati, vedo che sei cambiato. Una volta giudicavi in modo diverso, senza irritazione.
Per me, in questi anni, ho cercato una compagnia di persone semplici e di pochi libri. Così sono rimasta fedele a quanto pensavamo all'inizio e insieme alla nostra amicizia, come se il tempo di allora fosse ancora presente.
Quello che tu hai evocato mi è sembrato lontano, anzi scomparso.
 
Giampiero Neri
 
Neri con Vidale
a casa di Valeria Dal Bo

*
Neri pubblicò “Due lettere” nella raccolta Da uno stesso luogo (1). I due testi che Neri ha rielaborato, e vedremo più avanti in che modo, sono tratti dalla Vita di Vittorio Alfieri, la sua celebre autobiografia (2).
La prima delle lettere era stata inviata dallo scrittore alla sua ex amante Penelope Pitt, in seguito a un incontro casuale avvenuto vent’anni dopo la fine della loro relazione. Alfieri però non ne aveva conservato una copia e si limita, affidandosi alla memoria, a riassumerne il contenuto in modo molto sintetico in un brano della Vita, che contiene anche il racconto di questo fortuito incontro e il commento negativo dello scrittore nei confronti della risposta della donna (3).
Nella seconda lettera Neri rielabora il testo della missiva con cui Penelope Pitt risponde a quella dell’Alfieri, e che quest’ultimo riportò integralmente nelle appendici dell’autobiografia.
Il brano della Vita e lo scritto della donna sono riprodotti alla fine di questo approfondimento.
“Due letterenon può essere annoverato tra i lavori più noti e citati del poeta di Erba, a mio avviso ingiustamente. Infatti, oltre alla loro evidente bellezza, i due testi (in particolare il secondo) sono esemplari del metodo neriano e ci inducono a fare una serie di riflessioni, sia sul piano generale dei contenuti, sia su quello più specifico della forma. Ma occorre innanzitutto raccontare l’avventuroso antefatto, descritto nella Vita in due capitoli che precedono quello preso in considerazione da Neri. Si tratta dell’amore che divampa a Londra nel 1771 tra l’Alfieri e Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Legonier, tenente colonnello dell’esercito inglese. Quando si conobbero a Londra avevano entrambi ventidue anni, e lui non era ancora uno scrittore.
Alfieri ebbe sempre una forte inclinazione per le donne sposate e quattro di esse, tutte appartenenti all’aristocrazia, ebbero una grande importanza nella sua vita. Penelope è solo la seconda in ordine cronologico.
Il visconte è spesso occupato dagli obblighi legati al ruolo che ricopre. Nel maggio di quell’anno marito e moglie lasciano per alcuni giorni Londra per la villa di campagna. I due amanti riescono comunque a incontrarsi nella nuova residenza con la stessa intensità di prima. La situazione però si evolve e in pochi giorni (nemmeno una settimana) precipita. Alfieri, che abita a Londra, usa abitualmente il cavallo per raggiungere Penelope. Una domenica mattina, mentre il futuro scrittore sta galoppando per piacere in compagnia di un amico, il cavallo si imbizzarrisce e lo disarciona. Lui si sloga una spalla ma l’incidente non gli impedisce, nonostante il parere contrario del medico che l’aveva curato, di recarsi il lunedì sera dalla donna in una traballante carrozza postale. Il martedì, instancabile anche se ancora dolorante, si reca a teatro e nel palco riceve la visita del visconte che, essendo venuto nel frattempo a conoscenza del tradimento della moglie, lo sfida a duello. Lo scontro avviene subito dopo e l’Alfieri resterà ferito leggermente al braccio ancora sano. Essendo lui un pessimo spadaccino, e potendo per di più valersi di un solo braccio, dichiarerà in seguito nella Vita: “(…) giudico ch’egli non mi uccise perché non volle, e ch’io non lo uccisi perché non seppi” (4).
Alla sera di quello stesso giorno, sconvolto e confuso, si reca per avere notizie a casa della cognata di Penelope, che aveva sempre assecondato il loro amore, e casualmente incontra proprio lì la sua amata, che aveva intanto lasciato definitivamente la villa di campagna ed era tornata nella capitale.
Penelope lo informa che il visconte era stato informato sui loro incontri da una non meglio identificata spia, e che di conseguenza quella mattina stessa le aveva chiesto il divorzio. Lei aveva mandato immediatamente una lettera all’Alfieri tramite un messaggero, che però non l’aveva trovato in casa (infatti lui in quel momento era ancora a teatro).
Il mercoledì Alfieri torna a casa della cognata, dove lei si era ormai stabilita. Si dichiara disponibile a sposarla, ma Penelope gli dice piangendo di non esserne degna poiché esiste un impedimento, ma non risponde alle pressanti richieste di chiarimenti che lui continua a farle. Finalmente il venerdì sera, dopo molte esitazioni, gli confessa piangendo di avere avuto una storia con il palafreniere di casa (un “jockey”). Scriverà l’Alfieri “(…) e a poco a poco alla per fine, esce l’intera confessione sozzissima di quel brutto suo amore…” (5).
Penelope infatti gli rivela che era proprio l’ex amante la spia che, non paga di aver informato per gelosia il padrone della loro relazione, aveva voluto completare la sua vendetta confessando al visconte anche la propria vicenda amorosa con lei. Alfieri conferma di non poterla più sposare e che, se avesse saputo “tale infamia” (6), dopo averla sposata, l’avrebbe sicuramente uccisa e, “forse”, si sarebbe poi suicidato. Aggiungeva però che grazie alla sua spontanea confessione, non l'avrebbe mai abbandonata, dichiarandosi disponibile alla convivenza. Il giorno dopo Alfieri, sfogliando i tabloid del giorno precedente (“foglioni pubblici”, li definisce), con suo stupore scopre che tutti i particolari della sua storia d'amore e, cosa per lui ancora più grave, anche di quella del palafreniere, erano già di pubblico dominio dalla mattina del venerdì. Dunque Penelope gli aveva confessato la sua precedente relazione solo perché, essendo ormai di pubblico dominio, non poteva più tenerla nascosta. 
Ma Alfieri, ancora diviso tra l’amore e il “disinganno orribile” (titolo dell’XI capitolo della Vita), continua comunque a rivedere la donna per parecchi giorni, fino a quando lei decide di partire alla volta della Francia per rifugiarsi in un monastero in attesa che lo scandalo venisse dimenticato. Lui prima l’accompagna in un vagabondaggio per le province inglesi, finché “(…) poté più la vergogna e lo sdegno che l’amore…” (7). A Rochester Alfieri, dopo aver rotto la relazione, torna a Londra, mentre lei proseguirà per imbarcarsi a Dover. La rivedrà per caso vent’anni dopo (1791), proprio a Dover, mentre sta per salire sulla nave che lo porterà in Francia. La riconosce sulla spiaggia vicino al molo e lei, a sua volta, ricambia lo sguardo e gli sorride, confermandogli così la sua identità. Colpito dalla sua immutata bellezza e spinto da affetti contrastanti, giunto a Calais sente il bisogno di scriverle immediatamente una lettera, a cui Penelope risponderà poco tempo dopo.

Neri a Pusiano
 
Chiarita la storia, possiamo ora passare alle riflessioni, iniziando da quelle di ordine generale. Il lavoro di Neri ci mostra come sia difficile anche per gli uomini di valore, e Alfieri indubbiamente lo era, sfuggire ai condizionamenti e ai pregiudizi della loro epoca. La rivelazione del passato amore per il palafreniere lo sconvolge non tanto per una gelosia retrospettiva, ma perché si è trattato, come scrive lui stesso, di “un brutto amore” (8). E lo definisce tale in quanto, da buon aristocratico piemontese qual era, lo considera da un punto di vista classista come un cedimento nei confronti di un sottoposto, e perciò esecrabile e imperdonabile. Nell’esiguo riassunto della propria lettera, Alfieri afferma di averle espresso tutta la sua “profonda commozione di vederla ancora menare una vita errante e sì poco decorosa al suo stato e nascita” (9). La tardiva confessione di lei, raccontata in precedenza nella Vita (10), suona ora come un alibi precostituito che Alfieri aveva usato vent’anni prima per giustificare a sé stesso l’ormai imminente decisione di abbandonare la donna al suo difficile destino. Penelope infatti, a differenza dello scrittore, aveva perso, oltre all’onore, tutto ciò che aveva. Alfieri vent’anni dopo si assolve definendosi sì la causa di tutto ciò, “ancorché innocentemente” (11).
Le due lettere nella versione neriana (soprattutto la seconda) ci mostrano come, grazie alla poesia, sia invece possibile liberarsi dai pregiudizi del proprio tempo. Nato e cresciuto in un’epoca fortemente maschilista, Neri dimostra una totale apertura verso le ragioni e la sensibilità dell’altro sesso, in nome di quella verità che ha sempre perseguito nella sua opera e nella vita.
Il suo merito è stato innanzitutto quello di intuire l’importanza dei due testi e il plusvalore di senso a favore della donna che scaturiva già dal loro semplice accostamento. Alfieri non solo non si era accorto di ciò, ma anzi era convinto del contrario. Le parole che racconta di aver scritto a Penelope risultano in realtà, nonostante il tono amichevole, dettate da una cieca presunzione e da una scarsa sensibilità. I rimproveri che muove alla passata condotta della donna vengono calati dall’alto di una presunta superiorità morale. Il suo commento alla risposta che lei gli ha inviato ne è un’ulteriore prova che tradisce anche l’irritazione dello scrittore. Afferma di riportare fedelmente la lettera di Penelope nella propria autobiografia “per dare un’idea del di lei nuovo, ed ostinato mal inclinato carattere” (12).
Passiamo alle considerazioni più specifiche, quelle sul piano stilistico.
Neri vuole rendere più evidente sia sul piano formale, sia su quello dei contenuti, quello che già in parte traspare dalla lettura parallela dei due testi presenti nella Vita. Il suo intervento è da questo punto di vista decisivo, e si svolge in due modi: il taglio e la riscrittura. Il primo viene attuato su entrambi i testi, eliminando i dettagli e qualche frase giudicata inessenziale nello scritto in cui Alfieri riassume la propria lettera, e operando in maniera più radicale sulla missiva della donna, che viene così ridotta ai minimi termini.
La riscrittura invece coinvolge solo la lettera di Penelope, tra l’altro meno forbita sul piano del linguaggio e anche con errori ortografici. Per riscrittura però non si intende solo scrivere meglio alcune parti del testo. Neri fa molto di più: si immedesima nella donna. Inventa delle frasi mai scritte da Penelope, ma che certamente avrebbero potuto essere scritte da lei, e che lei per magnanimità omette. Neri-Penelope si muove come se esistesse sottotraccia un testo che lui fa riemergere e rende esplicito (d’altra parte il poeta aveva avvertito il lettore sulla sua libera ispirazione). Poiché considera la lettera della donna troppo irenica, decide di rispondere apertamente, ma senza rancore (rispettando lo spirito del testo), ai rimproveri che Alfieri le muove, per mettere così maggiormente in rilievo
la superiorità dell’animo della nobile inglese: “Ma ricordandomi di tanti discorsi e ragionamenti passati, vedo che sei cambiato. Una volta giudicavi in modo diverso, senza irritazione”. L’unica frase non inventata da Neri (anche se riscritta e sintetizzata) è quella che viene subito dopo: “Per me, in questi anni, ho cercato una compagnia di persone semplici e di pochi libri”. Questa netta presa di posizione a favore di Penelope avviene nonostante Neri fosse un grande estimatore della Vita, e anche dell’uomo Alfieri. Usa infine un artificio per rendere ancora più immediato e caldo il tono già affettuoso della lettera della donna: sostituisce il “Monsieur” iniziale con “Caro amico”, e di conseguenza anche il “Voi” del galateo settecentesco con un moderno “tu”.
Neri mostra in questo intervento la sua magistrale abilità nella michelangiolesca arte del levare e, soprattutto nella riscrittura della lettera di   Penelope, la mirabile qualità del suo stile, fondato sulla precisione di ogni singola parola e sul potere evocativo di un ritmo lento, che sembra sospendere il tempo. L’armonia dei suoi versi e della sua prosa poetica nasce non solo dall’eufonia ma soprattutto, come affermava lui stesso citando Pasternak, dal “risuonare dei significati”. La semplicità che caratterizza tutta la sua opera è solo apparente. Non è mai un punto di partenza, bensì di arrivo, e “Due lettere” ne è un chiaro esempio. 
 
          
               
   
Appendice
I
Nell’agosto dunque, prima di lasciar l’Inghilterra, si fece un giro per l’isola a Bath, Bristol, e Oxford, e tornati a Londra, pochi giorni dopo ci rimbarcammo a Douvres. Quivi mi accadde un accidente veramente di romanzo, che brevemente narrerò. Nel mio terzo viaggio in Inghilterra nell’83 e nell’84 non aveva punto più saputo né cercato nulla di quella famosa signora, che nel mio secondo viaggio mi avea fatto pericolare per tanti versi. Solamente sentii dire ch’ella non abitava più Londra, che il marito, da cui s’era divorziata, era morto, e che si credeva ne avesse sposato un altro, oscuro ed ignoto. In questo quarto viaggio, nei quattro e più mesi ch’io era stato a Londra non ne avea mai sentito far parola né cercatone notizia, e non sapeva neppure s’ella fosse ancor viva, o no. Nell’atto di imbarcarmi a Douvres, precedendo io la donna mia di forse un quarto d’ora alla nave, per vedere se il tutto era in ordine, ecco, che nell’atto, che dal molo stava per entrare nella nave, alzati gli occhi alla spiaggia dove era un certo numero di persone, la prima che i miei occhi incontrano, e distinguono benissimo per la molta prossimità, si è quella signora; ancora bellissima, e quasi nulla mutata da quella ch’io l’avea lasciata vent’anni prima appunto nel 1771. Credei a prima di sognare, guardai meglio, e un sorriso ch’ella mi schiuse guardandomi, mi certificò della cosa. Non posso esprimere tutti i moti, e diversi affetti contrari che mi cagionò questa vista. Tuttavia non le dissi parola, entrai nella nave, né più ne uscii; e nella nave aspettai la mia donna, che un quarto d’ora dopo giuntavi, si salpò. Essa mi disse, che dei signori, che l’accompagnarono alla nave, gli avean indicata quella signora; e nominategliela, e aggiuntovi un compendiuccio della di lei vita passata e presente. Io le raccontai come mi era occorsa agli occhi, e come andò il fatto. Tra noi non v'era mai né finzione, né diffidenza, né disistima, né querele. Si arrivò a Calais; di dove io molto colpito di quella vista così inaspettata, le volli scrivere per isfogo del cuore, e mandai la mia lettera al banchiere di Douvres, che glie la rimettesse in proprie mani, e me ne trasmettesse poi la risposta a Bruxelles, dove sarei stato fra pochi giorni. La mia lettera, di cui mi spiace di non aver serbato copia, era certamente piena d’affetti; non già d’amore, ma di una vera e profonda commozione di vederla ancora menare una vita errante e sì poco decorosa al suo stato e nascita, e il dolore, ch’io ne sentiva tanto più, pensando di esserne io stato, ancorché innocentemente, o la cagione o il pretesto. Che senza lo scandalo succeduto per causa mia, forse avrebbe potuto occultare o tutto o gran parte le sue dissolutezze, e cogli anni poi emendarsene. Ritrovai poi in Brusselles circa quattro settimane dopo la di lei risposta, che fedelmente trascrivo qui in fondo di pagina (12), per dare un’idea del di lei nuovo, ed ostinato mal inclinato carattere, che in quel grado ella è cosa assai rara, massime nel bel sesso. Ma tutto serve al grande studio della specie bizzarra degli uomini (13).

Ritratto di Penelope Pitt

II
La Lettera di Penelope Pitt
Monsieur. Vous ne deviez poin douter que la Marque de Votre Souvenir, et de linteret que Vous avez la bonté de prendre a mon Sort, ne me soit sensible et reçu avec reconnoissance, d'autant plus que je ne puis Vous regarder comme l'auteur de mon Malheur puis qui je ne suis poin Malheureuse quoique la Sensibilité et la droiture de Votre Ame Vous le fasse craindre. Vous éte au contraire la cause de ma deliverance d'un Monde dans lequel je nettoit aucunnement formé pour exister et que je n'ai iamais seule Instant regretté. Je ne sais si en cela j'ai tort ou si un degré de fermeté ou de fierté blamable me fait Illiusion, mais Voila comme j'ai constanment vu ce qui m'est arrivé et je remercie la providence de m'avoir placé dans une situation plus heureuse peut etre que je n'ai mérité. Je jouis d'une santé parfaite que la Liberte et la tranquilite augmènte, je ne cherche que la Societé des personnes Simples et Honnetes qui ne pretendent ny a trop de génie ny a trop de connoissances acquises, qui embrouille quelquefois la Cause, et au deffaut des quelles je me suffit a moiméme par le moyen des Livres, du Dessin, de la musique etc., mais ce qui massure le plus le fond d’un bonheur et d'une Satisfaction réel, et L'amitie et L'affection inmuable d'un Frère que j'ai toujours aimé par desus tout le monde, et qui possede le meilleur des coeurs.                                    
C’est pour me confermer a Votre Volonté que je vous ai fait un detaille aussi long de ma Situation et permetté moi a mon tour de Vous assurer du plaisir sensible que me cause la connoissance du bonheur dont vous Jouissais et que je suis persuade que Vous avez toujours merité. J'ai souvent depuis deux ans entendu parler de Vous avec Plaisir, a Paris comme a Londre, ou l'on admire et estime Vos ecrits que je n'ai poin pu parvenir à Voir. Lon dit que Vous éte attaché a la Princesse avec laquelle Vous voyagé, qui par sa Phisionomie Ingenue et Sensé paroit bien faite pour faire le bonheur dune ame aussi Sensible et delicate que la Votre: l'on dit aussi quelle Vous craint, je vous reconnois bien la, sens le desirer ou peut etre vous en aperçevoir Vous avez Iresistablement cet assendant sur tous ceux qui Vous aime. Je vous desire du fond de mon Coeur la continuation des biens et des plaisir réel de ce monde, et si le hasard fait que nous nous recontrions encore j'aurai la plus grande satisfaction à lapprendre de Votre Main. Adieu.
Penelope
[Douvres ce 26 aoust] (14)
 
 
Vittorio Alfieri
 
Note
(1) Giampiero Neri, Dallo stesso luogo, Coliseum 1992, pp. 115-116.
(2) Vittorio Alfieri, Vita, Nuova Universale Einaudi, Torino 1967
(3) Ibidem, Parte II, Epoca IV, Cap. XXI, p. 353.
(4) Ibidem, Parte I, Epoca III, Cap. X, p. 158.
(5) Ibidem, Parte I, Epoca III, Cap. XI, p. 167.
(6) Ibidem, p. 168.
(7) Ibidem, p. 169.
(8) V. nota (5).
(9) Ibidem, Parte II, Epoca IV, Cap. XXI, p. 355.
(10) Ibidem, Parte I, Epoca III, Cap. XI, p. 168-169.
(11) Ibidem, Parte II, Epoca IV, Cap. XXI, p. 355.
(12) Ibidem, p. 356.
(13) Ibidem, p. 355-356.
(14) Ibidem, Appendice dodicesima, p. 450.
N.B. L’edizione della Vita Einaudi, a cui qui ci si riferisce, è scaricabile
gratuitamente on line battendo: Vita
di Alfieri liber liber.

 

 

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