INTORNO A “DUE LETTERE” DI GIAMPIERO NERI
di
Renzo Vidale

Giampiero Neri (foto di Renzo Vidale)
Il testo “Due lettere” che segue è il risultato di una
rielaborazione messa in atto dal poeta Giampiero Neri di due scritti presenti
entrambi, come precisa lui stesso, solo nelle prime edizioni della Vita di
Vittorio Alfieri da Asti scritta da lui stesso. Nelle successive
infatti, per molto tempo, la lettera di Penelope Pitt fu esclusa. Dopo il testo
di Neri, qui sotto riportato, inizia il mio commento. In “Appendice” ripropongo
entrambi i testi su cui ha lavorato Neri: il brano della “Vita” in cui Alfieri
riassume brevemente la lettera da lui inviata alla Pitt (di cui non aveva
copia), e il testo originale in francese della risposta della donna. Per questo
mio lavoro ho utilizzato l’edizione della “Vita” di Alfieri pubblicata da
Einaudi nel 1967. [R. V.]
DUE LETTERE
Dei due scritti che seguono, il primo è di Vittorio Alfieri. Il
secondo si riferisce alla lettera di una sua amica inglese che nelle prime
edizioni della “Vita” era riportata. Il testo che qui si propone, a quella
lettera liberamente si ispira.
I
Dover, verso la fine di aprile 1791.
Nell'atto di imbarcarmi a Dover, alzati gli occhi alla spiaggia,
dove era un certo numero di persone, la prima che i miei occhi incontrano si è
quella signora ancora bellissima e quasi nulla mutata da quella che avevo
lasciata vent’anni prima, appunto nel 1771.
Non posso esprimere tutti i modi e diversi effetti contrari che mi
cagionò quella vista tuttavia non le dissi parola e le volli scrivere. La mia
lettera era certamente piena di affetti, non già di amore, ma di una vera e
profonda commozione di vederla fare una vita disordinata e così poco decorosa
al suo stato di nascita, tanto più pensando di esserne io stato, benché
innocente, o la cagione o il pretesto. Che senza lo scandalo succeduto per
causa mia, ella forse avrebbe potuto occultare in tutto in parte le sue
dissolutezze, e poi con gli anni emendarsene.
Circa quattro settimane dopo ritrovai la di lei risposta che
fedelmente trascrivo qui per dare un'idea del suo ostinato e mal inclinato
carattere, che in quel grado è cosa assai rara. Ma tutto serve allo studio
della specie bizzarra degli uomini.
II
Caro amico, la tua lettera mi ha sorpreso, dopo tanto tempo. Non
che abbia qualcosa da rimproverarti, non si tratta di questo. Devo a te se sono
uscita da una condizione in parte ambigua e falsa. Ma ricordandomi di tanti
discorsi e ragionamenti passati, vedo che sei cambiato. Una volta giudicavi in
modo diverso, senza irritazione.
Per me, in questi anni, ho cercato una compagnia di persone
semplici e di pochi libri. Così sono rimasta fedele a quanto pensavamo
all'inizio e insieme alla nostra amicizia, come se il tempo di allora fosse
ancora presente.
Quello che tu hai evocato mi è sembrato lontano, anzi scomparso.
Giampiero Neri

Neri con Vidale
a casa di Valeria Dal Bo
![]() |
Giampiero Neri (foto di Renzo Vidale) |
![]() |
Neri con Vidale a casa di Valeria Dal Bo |
*
Neri pubblicò “Due
lettere” nella raccolta Da uno stesso luogo (1). I due testi che Neri ha
rielaborato, e vedremo più avanti in che modo, sono tratti dalla Vita di
Vittorio Alfieri, la sua celebre autobiografia (2).
La prima delle
lettere era stata inviata dallo scrittore alla sua ex amante Penelope Pitt, in
seguito a un incontro casuale avvenuto vent’anni dopo la fine della loro
relazione. Alfieri però non ne aveva conservato una copia e si limita,
affidandosi alla memoria, a riassumerne il contenuto in modo molto sintetico in
un brano della Vita, che contiene anche il racconto di questo fortuito
incontro e il commento negativo dello scrittore nei confronti della risposta
della donna (3).
Nella seconda lettera
Neri rielabora il testo della missiva con cui Penelope Pitt risponde a quella
dell’Alfieri, e che quest’ultimo riportò integralmente nelle appendici
dell’autobiografia.
Il brano della Vita
e lo scritto della donna sono riprodotti alla fine di questo approfondimento.
“Due lettere” non
può essere annoverato tra i lavori più noti e citati del poeta di Erba, a mio
avviso ingiustamente. Infatti, oltre alla loro evidente bellezza, i due testi
(in particolare il secondo) sono esemplari del metodo neriano e ci inducono a
fare una serie di riflessioni, sia sul piano generale dei contenuti, sia su
quello più specifico della forma. Ma occorre innanzitutto raccontare l’avventuroso
antefatto, descritto nella Vita in due capitoli che precedono quello
preso in considerazione da Neri. Si tratta dell’amore che divampa a Londra nel
1771 tra l’Alfieri e Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Legonier,
tenente colonnello dell’esercito inglese. Quando si conobbero a Londra avevano
entrambi ventidue anni, e lui non era ancora uno scrittore.
Alfieri ebbe sempre
una forte inclinazione per le donne sposate e quattro di esse, tutte
appartenenti all’aristocrazia, ebbero una grande importanza nella sua vita.
Penelope è solo la seconda in ordine cronologico.
Il visconte è spesso
occupato dagli obblighi legati al ruolo che ricopre. Nel maggio di quell’anno
marito e moglie lasciano per alcuni giorni Londra per la villa di campagna. I
due amanti riescono comunque a incontrarsi nella nuova residenza con la stessa
intensità di prima. La situazione però si evolve e in pochi giorni (nemmeno una
settimana) precipita. Alfieri, che abita a Londra, usa abitualmente il cavallo
per raggiungere Penelope. Una domenica mattina, mentre il futuro scrittore sta
galoppando per piacere in compagnia di un amico, il cavallo si imbizzarrisce e
lo disarciona. Lui si sloga una spalla ma l’incidente non gli impedisce,
nonostante il parere contrario del medico che l’aveva curato, di recarsi il
lunedì sera dalla donna in una traballante carrozza postale. Il martedì,
instancabile anche se ancora dolorante, si reca a teatro e nel palco riceve la
visita del visconte che, essendo venuto nel frattempo a conoscenza del
tradimento della moglie, lo sfida a duello. Lo scontro avviene subito dopo e l’Alfieri
resterà ferito leggermente al braccio ancora sano. Essendo lui un pessimo
spadaccino, e potendo per di più valersi di un solo braccio, dichiarerà in
seguito nella Vita: “(…) giudico ch’egli non mi uccise perché non volle,
e ch’io non lo uccisi perché non seppi” (4).
Alla sera di quello
stesso giorno, sconvolto e confuso, si reca per avere notizie a casa della
cognata di Penelope, che aveva sempre assecondato il loro amore, e casualmente
incontra proprio lì la sua amata, che aveva intanto lasciato definitivamente la
villa di campagna ed era tornata nella capitale.
Penelope lo informa
che il visconte era stato informato sui loro incontri da una non meglio
identificata spia, e che di conseguenza quella mattina stessa le aveva chiesto
il divorzio. Lei aveva mandato immediatamente una lettera all’Alfieri tramite
un messaggero, che però non l’aveva trovato in casa (infatti lui in quel
momento era ancora a teatro).
Il mercoledì Alfieri
torna a casa della cognata, dove lei si era ormai stabilita. Si dichiara
disponibile a sposarla, ma Penelope gli dice piangendo di non esserne degna
poiché esiste un impedimento, ma non risponde alle pressanti richieste di
chiarimenti che lui continua a farle. Finalmente il venerdì sera, dopo molte
esitazioni, gli confessa piangendo di avere avuto una storia con il
palafreniere di casa (un “jockey”). Scriverà l’Alfieri “(…) e a poco a poco
alla per fine, esce l’intera confessione sozzissima di quel brutto suo amore…”
(5).
Penelope infatti gli
rivela che era proprio l’ex amante la spia che, non paga di aver informato per
gelosia il padrone della loro relazione, aveva voluto completare la sua
vendetta confessando al visconte anche la propria vicenda amorosa con lei. Alfieri
conferma di non poterla più sposare e che, se avesse saputo “tale infamia” (6),
dopo averla sposata, l’avrebbe sicuramente uccisa e, “forse”, si sarebbe poi
suicidato. Aggiungeva però che grazie alla sua spontanea confessione, non
l'avrebbe mai abbandonata, dichiarandosi disponibile alla convivenza. Il giorno
dopo Alfieri, sfogliando i tabloid del giorno precedente (“foglioni pubblici”,
li definisce), con suo stupore scopre che tutti i particolari della sua storia
d'amore e, cosa per lui ancora più grave, anche di quella del palafreniere,
erano già di pubblico dominio dalla mattina del venerdì. Dunque Penelope gli
aveva confessato la sua precedente relazione solo perché, essendo ormai di
pubblico dominio, non poteva più tenerla nascosta.
Ma Alfieri, ancora diviso
tra l’amore e il “disinganno orribile” (titolo dell’XI capitolo della Vita),
continua comunque a rivedere la donna per parecchi giorni, fino a quando lei
decide di partire alla volta della Francia per rifugiarsi in un monastero in
attesa che lo scandalo venisse dimenticato. Lui prima l’accompagna in un
vagabondaggio per le province inglesi, finché “(…) poté più la vergogna e lo
sdegno che l’amore…” (7). A Rochester Alfieri, dopo aver rotto la relazione,
torna a Londra, mentre lei proseguirà per imbarcarsi a Dover. La rivedrà per
caso vent’anni dopo (1791), proprio a Dover, mentre sta per salire sulla nave
che lo porterà in Francia. La riconosce sulla spiaggia vicino al molo e lei, a
sua volta, ricambia lo sguardo e gli sorride, confermandogli così la sua
identità. Colpito dalla sua immutata bellezza e spinto da affetti contrastanti,
giunto a Calais sente il bisogno di scriverle immediatamente una lettera, a cui
Penelope risponderà poco tempo dopo.

Neri a Pusiano
Chiarita la storia,
possiamo ora passare alle riflessioni, iniziando da quelle di ordine generale.
Il lavoro di Neri ci mostra come sia difficile anche per gli uomini di valore,
e Alfieri indubbiamente lo era, sfuggire ai condizionamenti e ai pregiudizi
della loro epoca. La rivelazione del passato amore per il palafreniere lo
sconvolge non tanto per una gelosia retrospettiva, ma perché si è trattato,
come scrive lui stesso, di “un brutto amore” (8). E lo definisce tale in
quanto, da buon aristocratico piemontese qual era, lo considera da un punto di
vista classista come un cedimento nei confronti di un sottoposto, e perciò
esecrabile e imperdonabile. Nell’esiguo riassunto della propria lettera,
Alfieri afferma di averle espresso tutta la sua “profonda commozione di vederla
ancora menare una vita errante e sì poco decorosa al suo stato e nascita” (9).
La tardiva confessione di lei, raccontata in precedenza nella Vita (10),
suona ora come un alibi precostituito che Alfieri aveva usato vent’anni prima
per giustificare a sé stesso l’ormai imminente decisione di abbandonare la
donna al suo difficile destino. Penelope infatti, a differenza dello scrittore,
aveva perso, oltre all’onore, tutto ciò che aveva. Alfieri vent’anni dopo si
assolve definendosi sì la causa di tutto ciò, “ancorché innocentemente” (11).
Le due lettere nella
versione neriana (soprattutto la seconda) ci mostrano come, grazie alla poesia,
sia invece possibile liberarsi dai pregiudizi del proprio tempo. Nato e
cresciuto in un’epoca fortemente maschilista, Neri dimostra una totale apertura
verso le ragioni e la sensibilità dell’altro sesso, in nome di quella verità
che ha sempre perseguito nella sua opera e nella vita.
Il suo merito è stato
innanzitutto quello di intuire l’importanza dei due testi e il plusvalore di
senso a favore della donna che scaturiva già dal loro semplice accostamento. Alfieri
non solo non si era accorto di ciò, ma anzi era convinto del contrario. Le
parole che racconta di aver scritto a Penelope risultano in realtà, nonostante
il tono amichevole, dettate da una cieca presunzione e da una scarsa
sensibilità. I rimproveri che muove alla passata condotta della donna vengono
calati dall’alto di una presunta superiorità morale. Il suo commento alla
risposta che lei gli ha inviato ne è un’ulteriore prova che tradisce anche
l’irritazione dello scrittore. Afferma di riportare fedelmente la lettera di
Penelope nella propria autobiografia “per dare un’idea del di lei nuovo, ed
ostinato mal inclinato carattere” (12).
Passiamo alle
considerazioni più specifiche, quelle sul piano stilistico.
Neri vuole rendere
più evidente sia sul piano formale, sia su quello dei contenuti, quello che già
in parte traspare dalla lettura parallela dei due testi presenti nella Vita.
Il suo intervento è da questo punto di vista decisivo, e si svolge in due modi:
il taglio e la riscrittura. Il primo viene attuato su entrambi i testi,
eliminando i dettagli e qualche frase giudicata inessenziale nello scritto in
cui Alfieri riassume la propria lettera, e operando in maniera più radicale
sulla missiva della donna, che viene così ridotta ai minimi termini.
La riscrittura invece
coinvolge solo la lettera di Penelope, tra l’altro meno forbita sul piano del
linguaggio e anche con errori ortografici. Per riscrittura però non si intende
solo scrivere meglio alcune parti del testo. Neri fa molto di più: si
immedesima nella donna. Inventa delle frasi mai scritte da Penelope, ma che
certamente avrebbero potuto essere scritte da lei, e che lei per magnanimità
omette. Neri-Penelope si muove come se esistesse sottotraccia un testo che lui
fa riemergere e rende esplicito (d’altra parte il poeta aveva avvertito il
lettore sulla sua libera ispirazione). Poiché considera la lettera della donna
troppo irenica, decide di rispondere apertamente, ma senza rancore (rispettando
lo spirito del testo), ai rimproveri che Alfieri le muove, per mettere così
maggiormente in rilievo
la superiorità
dell’animo della nobile inglese: “Ma ricordandomi di tanti discorsi e
ragionamenti passati, vedo che sei cambiato. Una volta giudicavi in modo
diverso, senza irritazione”. L’unica frase non inventata da Neri (anche se
riscritta e sintetizzata) è quella che viene subito dopo: “Per me, in questi
anni, ho cercato una compagnia di persone semplici e di pochi libri”. Questa
netta presa di posizione a favore di Penelope avviene nonostante Neri fosse un
grande estimatore della Vita, e anche dell’uomo Alfieri. Usa infine un
artificio per rendere ancora più immediato e caldo il tono già affettuoso della
lettera della donna: sostituisce il “Monsieur” iniziale con “Caro amico”, e di
conseguenza anche il “Voi” del galateo settecentesco con un moderno “tu”.
Neri mostra in questo
intervento la sua magistrale abilità nella michelangiolesca arte del levare e,
soprattutto nella riscrittura della lettera di
Penelope, la mirabile qualità del suo stile, fondato sulla precisione di
ogni singola parola e sul potere evocativo di un ritmo lento, che sembra sospendere
il tempo. L’armonia dei suoi versi e della sua prosa poetica nasce non solo
dall’eufonia ma soprattutto, come affermava lui stesso citando Pasternak, dal
“risuonare dei significati”. La semplicità che caratterizza tutta la sua opera
è solo apparente. Non è mai un punto di partenza, bensì di arrivo, e “Due
lettere” ne è un chiaro esempio.
Appendice
I
Nell’agosto dunque, prima di lasciar l’Inghilterra, si fece un
giro per l’isola a Bath, Bristol, e Oxford, e tornati a Londra, pochi giorni
dopo ci rimbarcammo a Douvres. Quivi mi accadde un accidente veramente di
romanzo, che brevemente narrerò. Nel mio terzo viaggio in Inghilterra nell’83 e
nell’84 non aveva punto più saputo né cercato nulla di quella famosa signora,
che nel mio secondo viaggio mi avea fatto pericolare per tanti versi. Solamente
sentii dire ch’ella non abitava più Londra, che il marito, da cui s’era
divorziata, era morto, e che si credeva ne avesse sposato un altro, oscuro ed
ignoto. In questo quarto viaggio, nei quattro e più mesi ch’io era stato a
Londra non ne avea mai sentito far parola né cercatone notizia, e non sapeva
neppure s’ella fosse ancor viva, o no. Nell’atto di imbarcarmi a Douvres,
precedendo io la donna mia di forse un quarto d’ora alla nave, per vedere se il
tutto era in ordine, ecco, che nell’atto, che dal molo stava per entrare nella
nave, alzati gli occhi alla spiaggia dove era un certo numero di persone, la
prima che i miei occhi incontrano, e distinguono benissimo per la molta
prossimità, si è quella signora; ancora bellissima, e quasi nulla mutata da
quella ch’io l’avea lasciata vent’anni prima appunto nel 1771. Credei a prima
di sognare, guardai meglio, e un sorriso ch’ella mi schiuse guardandomi, mi
certificò della cosa. Non posso esprimere tutti i moti, e diversi affetti
contrari che mi cagionò questa vista. Tuttavia non le dissi parola, entrai
nella nave, né più ne uscii; e nella nave aspettai la mia donna, che un quarto
d’ora dopo giuntavi, si salpò. Essa mi disse, che dei signori, che l’accompagnarono
alla nave, gli avean indicata quella signora; e nominategliela, e aggiuntovi un
compendiuccio della di lei vita passata e presente. Io le raccontai come mi era
occorsa agli occhi, e come andò il fatto. Tra noi non v'era mai né finzione, né
diffidenza, né disistima, né querele. Si arrivò a Calais; di dove io molto
colpito di quella vista così inaspettata, le volli scrivere per isfogo del
cuore, e mandai la mia lettera al banchiere di Douvres, che glie la rimettesse
in proprie mani, e me ne trasmettesse poi la risposta a Bruxelles, dove sarei
stato fra pochi giorni. La mia lettera, di cui mi spiace di non aver serbato
copia, era certamente piena d’affetti; non già d’amore, ma di una vera e profonda
commozione di vederla ancora menare una vita errante e sì poco decorosa al suo
stato e nascita, e il dolore, ch’io ne sentiva tanto più, pensando di esserne
io stato, ancorché innocentemente, o la cagione o il pretesto. Che senza lo
scandalo succeduto per causa mia, forse avrebbe potuto occultare o tutto o gran
parte le sue dissolutezze, e cogli anni poi emendarsene. Ritrovai poi in
Brusselles circa quattro settimane dopo la di lei risposta, che fedelmente
trascrivo qui in fondo di pagina (12), per dare un’idea del di lei nuovo, ed
ostinato mal inclinato carattere, che in quel grado ella è cosa assai rara,
massime nel bel sesso. Ma tutto serve al grande studio della specie bizzarra
degli uomini (13).
![]() |
Neri a Pusiano |
![]() |
Ritratto di Penelope Pitt |
II
La Lettera di Penelope Pitt
Monsieur. Vous ne deviez poin douter que la Marque de Votre Souvenir, et de linteret que Vous avez la bonté de prendre a mon Sort, ne me soit sensible et reçu avec reconnoissance, d'autant plus que je ne puis Vous regarder comme l'auteur de mon Malheur puis qui je ne suis poin Malheureuse quoique la Sensibilité et la droiture de Votre Ame Vous le fasse craindre. Vous éte au contraire la cause de ma deliverance d'un Monde dans lequel je nettoit aucunnement formé pour exister et que je n'ai iamais seule Instant regretté. Je ne sais si en cela j'ai tort ou si un degré de fermeté ou de fierté blamable me fait Illiusion, mais Voila comme j'ai constanment vu ce qui m'est arrivé et je remercie la providence de m'avoir placé dans une situation plus heureuse peut etre que je n'ai mérité. Je jouis d'une santé parfaite que la Liberte et la tranquilite augmènte, je ne cherche que la Societé des personnes Simples et Honnetes qui ne pretendent ny a trop de génie ny a trop de connoissances acquises, qui embrouille quelquefois la Cause, et au deffaut des quelles je me suffit a moiméme par le moyen des Livres, du Dessin, de la musique etc., mais ce qui massure le plus le fond d’un bonheur et d'une Satisfaction réel, et L'amitie et L'affection inmuable d'un Frère que j'ai toujours aimé par desus tout le monde, et qui possede le meilleur des coeurs.
Penelope
[Douvres ce 26 aoust] (14)
![]() |
Vittorio Alfieri |
(1) Giampiero Neri, Dallo stesso luogo, Coliseum 1992, pp. 115-116.
(4) Ibidem, Parte I, Epoca III, Cap. X, p. 158.
(5) Ibidem, Parte I, Epoca III, Cap. XI, p. 167.
(6) Ibidem, p. 168.
(7) Ibidem, p. 169.
(8) V. nota (5).
(9) Ibidem, Parte II, Epoca IV, Cap. XXI, p. 355.
(11) Ibidem, Parte II, Epoca IV, Cap. XXI, p. 355.
(12) Ibidem, p. 356.
(13) Ibidem, p. 355-356.
(14) Ibidem, Appendice dodicesima, p. 450.
N.B. L’edizione della Vita Einaudi, a cui qui ci si riferisce, è scaricabile