LA RIVOLUZIONE PERMANENTE DELLA MODA
di Angelo Gaccione
Gli uomini della mia generazione
portavano toppe ai pantaloni; spesso capitava di vederne anche su quelli di noi
ragazzi. Erano i segni della povertà e il risultato del passaggio da un
fratello all’altro di indumenti e vestiari. Probabilmente qualcuno se ne
vergognava e oggi nessuno di loro indosserebbe pantaloni con rattoppi e vistosi
squarci, come quelli imposti dall’industria della moda a giovani completamente
privi di senso critico e di buon gusto. Ragionando col filosofo Fulvio Papi,
qualche tempo fa, a proposito del carattere continuamente mutevole della moda,
gli ho fatto rilevare come essa rappresenti bene l’essenza del capitalismo
nella sua “rivoluzione permanente”. Se ci pensate, la moda è l’unica
rivoluzione permanente. Una rivoluzione che non genera sangue ma profitti. Ed è
arrivata ad un punto tale di condizionamento collettivo, da imporre indumenti
stracciati a prezzi che non lo sono. Regalando persino qualche momento di
illusoria felicità ai propri acquirenti-devoti. Abbiamo convenuto che il
capitalismo ha vinto su tutta la linea e che può imporre qualsiasi tipo di
merce, ad un mercato conformistico e sempre più omologato, anche la più
discutibile e aberrante. Sono sempre più convinto che il consumismo, in fondo,
non è altro che il trionfo del cassonetto della spazzatura, e dell’inutile.