GACCIONE RISPONDE A GARDELLA
Gaccione a sinistra con Giorgio Colombo ( Agosto, 2015) |
Caro Jacopo,
trovo solo ora
il tempo per rispondere ai tuoi rilievi critici alle mie due brevi riflessioni
apparse sulla prima pagina di “Odissea” (“Dei, religione e guerra” e “Animali e
guerra”). Potrei cavarmela usando le parole di Baudelaire e dire che la critica,
la vera critica “deve essere parziale,
appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma
tale da aprire il più ampio degli orizzonti”. Credo di essermi attenuto a
questo criterio, stendendo le due brevi riflessioni in questione. Insisto sul
lemma: “brevi riflessioni”; in fondo
le ho concepite, assieme ad altre che via via appariranno su “Odissea”, per un
libretto di riflessioni brevi che hanno come titolo “Minima immoralia”. Proprio la brevità doveva metterti in allerta, e
in questa brevità non potevo che concentrare la riflessione su alcuni punti
esclusivi, perché lo sguardo del lettore fosse focalizzato su quell’unico
centro. Ovvio che non sono così folle da fare giustizia sommaria di tutta la
classicità e tanto meno dell’umanità nel suo complesso. So della profonda
piètas, dei sentimenti filiali e paterni, della devozione versi i sacri lari e
verso lo stesso Olimpo. So che ci sono religioni feroci e crudeli, ma c’è stato
anche il messaggio tenero, pacifico e fraterno del Nazareno. So che c’è stato
Auschwitz, ma so altrettanto che ogni epoca e ogni circostanza, anche la più
barbara, ha prodotto manifestazioni di grandissima abnegazione e umanità che ci
spingono a non disperare totalmente.
Il mio
discorso ti è parso troppo unilaterale e pessimista e questo ti ha allarmato.
Oscar Wilde sostiene che il pessimista è un uomo bene informato; tuttavia, per
quanto mi riguarda, cerco di coniugare il pessimismo della ragione con
l’ottimismo della volontà. L’esercizio della critica, anche la più radicale
come la mia, in fondo non tende che a sterilizzare quanto di oltraggioso la
civiltà produce, dunque è un controveleno, un antidoto positivo per tentare di
raddrizzare l’agire di quello che Kant ha chiamato “il legno storto”. La
critica feroce e appassionata, è sempre un argine al male: Marx la definisce
non come “una passione del cervello”, ma come “il cervello della passione” e
dice che “essa non è un bisturi, ma un’arma”. Cerco di attenermi a questa
visione quando scrivo i miei editoriali, e cerco di non dimenticarlo quando
elaboro qualche riflessione breve come quelle che tu hai sottoposto ad una
attenta disamina. Se non credessi alla possibilità di cambiare le cose non
avrei fondato un giornale così “viscerale” come “Odissea”; messo in piedi una
Lega per la pace con Cassola; non sarei l’inguaribile libertario che sono (una
vita intera debitamente schierato contro ogni potere), e soprattutto non avrei
scelto questo dannato e insano mestiere di scrittore. Credo di avere prodotto
un significativo numero di libri in cui ho messo al primo posto la vita contro
i barbari di ogni colore (guerra, pena capitale, dissesto ecologico…), senza
contare una marea di testi creativi nei quali ho messo al centro della mia espressività
quel mondo offeso a senza voce, fatto di diseredati, bambini, animali, piante e oggetti compresi. Ma credo che già un libro
come “Lettere ad Azzurra” (uscito nel
1986), in cui per la prima volta uno scrittore uomo entra in un territorio così
decisamente femminile come la maternità, e dà conto del suo diventare padre,
dovrebbe mettermi a riparo di ogni desolante cinismo.
Con profonda
stima e amicizia
tuo Angelo Gaccione