Dieci anni senza Federico Aldrovandi
di Luigi Manconi
Dieci anni che sono passati invano. Dopo Federico,
una lunga teoria di morti simili: o durante fermi di polizia, o in situazioni
di privazione della libertà. Ne ricordo alcune: Giuseppe Uva, Stefano Cucchi,
Dino Budroni, Michele Ferrulli, Riccarco Magherini. Sono questi i nomi che
evocano vicende che hanno acquistato una qualche notorietà. Poi ci sono gli
anonimi, quelli di cui sono state riportate appena le iniziali, quelli caduti
nell’oblio più totale. E, soprattutto, c’è la persistenza di un metodo che
sembra prolungarsi anche in altri ambiti, per altri scopi, e indirizzato verso
altri soggetti. Nello scorso agosto, Andrea Soldi, affetto da disagio mentale,
subisce un trattamento sanitario obbligatorio con una tecnica di
immobilizzazione pressoché identica a quella che ha portato alla morte di
Magherini, nel marzo del 2014 a Firenze.
Dieci anni che non sono passati invano. I responsabili
della morte di Federico Aldrovandi sono stati condannati in via definitiva. E
si registra un’attenzione nuova, più vigile e sollecita, da parte dell’opinione
pubblica nei confronti di tante morti una volta ignorate o considerate fatali.
Soprattutto, un numero crescente di persone, familiari e
testimoni, decide di non tacere. Patrizia Moretti, mamma di Federico, è la
prima a condurre una importantissima mobilitazione emotiva, sociale e politica:
innanzitutto attraverso un blog, e poi con un’interlocuzione tenace nei
confronti dei cittadini, dei soggetti istituzionali e delle massime autorità
dello stato. Ottiene così, tra l’altro, l’effetto di “spaccare” le forze di
polizia, tra le componenti reazionarie ed esplicitamente fascistoidi e quelle
che chiedono la democratizzazione del corpo; e non vogliono lasciarsi identificare
con chi esercita le sue attività con mezzi illegali e violenti. E tuttavia, va
detto, il cammino è ancora lungo.