VICENDA BANCARIA E
CORROMPIMENTO “SISTEMICO”
di Franco Astengo
I giornali titolano: “La campagna
elettorale sulle Banche”.
Forse sarebbe meglio scrivere: “La
campagna elettorale e il corrompimento sistemico”. Un corrompimento sistemico che davvero ci
permette di osservare un quadro politico, economico, di difesa dei privilegi di
un establishment sempre più vorace e in grado di trasformarsi nei ruoli, nelle
funzioni, nella logica di scambio del potere.
Banca d’Italia, lobbies, partiti più o meno fantasma, finanzieri vari o
inventati sui quali emerge l’intoccabilità della BCE e dei suoi massimi
dirigenti, banche e banchette curatrici di interessi personali, di gruppo e/o
elettorali, questi gli attori della vicenda bancaria della quale stiamo
seguendo le vicende di confusa lotta.
Si potrebbe
però scrivere lo stesso della privatizzazione delle grandi imprese italiane
oppure del trasferimento totale alla logica del profitto della sanità, del
residuo stato sociale, della scuola, della pseudo-accoglienza ai migranti
trasformata in affare per i predoni libici.
Una storia,
per tornare alla vicenda delle banche, che richiama immediatamente alla
necessità di analizzarla usando la categoria della “questione morale” intesa
non tanto e solo in senso propriamente morale. Uno
spregevole trasformismo utilizzato - sia ben chiaro - ben oltre il classico
terreno parlamentare (quello del “discorso di Stradella” tanto per intenderci)
ma che percorre l’insieme delle funzioni che collegano privato e pubblico,
prima fra tutte quelle che comportano la distribuzione del denaro come fattore
di soddisfacimento delle esigenze dell’individualismo competitivo.
“Corrompimento
sistemico” e “individualismo competitivo”: queste le categorie dominanti della
classe che si vorrebbe dirigente in questo Paese. Una classe autoproclamatasi
dirigente (vieppiù peraltro priva di consenso) la cui caratteristica dominante
è quella di non vedere altra contraddizione oltre a, del proprio interesse
personale, al massimo di gruppo o di cordata. Se intendiamo svolgere la
similitudine più coerente al riguardo della situazione che stiamo vivendo
forse. È stata quella con la società del secondo impero francese e del
ruolo che la finanza aveva in quel contesto. Una società dominata da una casta
di privilegiati nella quale si sovrappongono e intrecciano affari e politica,
anzi dove politica e finanza si sostengono nel malaffare. Lo stesso periodo nel
corso del quale, anzi pochi anni dopo, in Italia esplose lo scandalo della
Banca Romana. Anche in quel tempo dominava il trasformismo eletto, anzi, a
modello istituzionale.
Quando si
legge che Banca Etruria emetteva bond senza esserne autorizzata, vengono in
mente Edmondo Dantes che elabora il trucco del telegrafo ottico per fare
insider trading con i titoli d Spagna oppure - appunto - la Banca Romana che fa
stampare le banconote false in Inghilterra.
Tutto si teneva allora, tutto si
tiene adesso: controllori e controllati.
Assente da
sempre il tanto proclamato “senso dello Stato” prevale il senso dell'egoismo,
dell'accumulazione indiscriminata, della conservazione del potere. Una
questione, prima di tutto, di cultura politica del cui senso si è ormai
smarrito il significato profondo nel grande mare della tranquillità del privilegio
e del soffocamento degli altri: senza nessuna pietà, senza nessuna visione di
una moralità alternativa. Non ci si azzardi, infine, a sostenere che
argomentazioni del tipo di quelle contenute in questo intervento alimentano il
qualunquismo perché non aiuterebbero a distinguere: la distinzione c’è ed è ben
precisa, quella eterna tra sfruttati e sfruttatori, con buona pace di Menenio
Agrippa.