di Patrizia Cecconi
Osservando i fatti in
quella striscia di terra del Vicino Oriente chiamata Striscia di Gaza, non ci
si chiede più cosa sta spingendo quel popolo a rischiare la vita nella grande
manifestazione iniziata il 30 marzo e chiamata Grande marcia del ritorno. Sono state fatte tante analisi in questi due
mesi e sono state dette anche molte sciocchezze, o più precisamente molte
bugie, ma la verità è comunque emersa circa le ragioni di tanta esasperata determinazione.
Quel che viene da chiedersi, invece, è cosa spinge Israele a seguitare ad
uccidere gratuitamente riuscendo a tirarsi addosso le attenzioni negative delle
istituzioni abitualmente indulgenti rispetto alle sue azioni. E’ facile
rispondere che Israele uccide con leggerezza perché può contare
sull’incondizionato appoggio degli Usa e dei suoi satelliti, ma questa è una
ragione insufficiente a spiegare, perché riguarda la copertura delle sue azioni
nefande e non la spinta a commetterle.
Ieri
ad esempio, penultimo venerdì della Grande Marcia, che motivo avevano i soldati
israeliani per colpire un’ambulanza che portava soccorso? Chi o che cosa è
stato a spingere quei soldati a sparare contro un gruppo di infermieri
assassinando una giovane volontaria dall’aria di bambina in fiore? 21 anni,
poco più che adolescente, Razan Al
Najjar era stata come un raggio di sole in questi due mesi in cui si era
prodigata con generosità ed efficienza
al soccorso dei feriti. Lei partecipava
alla marcia così, portando aiuto con tanta determinazione e altrettanta grazia.
Anche chi scrive aveva avuto modo di conoscerla durante una delle visite al
border e non è stato facile scriverne, da morta, dopo averla riconosciuta in
foto, viva, con quell’espressione a mezzo tra la gioia dell’adolescente che
sorride al fotografo e la serietà del compito che aveva scelto di svolgere.
Hanno ucciso proprio lei ed hanno commesso un errore i suoi assassini perché
c’è qualcosa di imponderabile nelle emozioni umane, qualcosa che va oltre la sfera
della ragione. Hanno ucciso ragazzini inermi e il mondo ha fatto ahi! Hanno
ucciso invalidi, già da loro stessi resi invalidi, su grucce o sedie a rotelle
e il mondo ha detto ahi, Israele! Hanno ucciso fotoreporters “armati” solo di
una macchina fotografica e individuabili col giubbetto “press” e il mondo ha
sentito Israele invocare il suo diritto alla difesa e ha detto hmmm… hanno
ucciso oltre 120 uomini donne ragazzi e bambini tutti disarmati e il mondo ha
ripetuto la magica frase “sicurezza per Israele” passando sopra ai cadaveri.
Hanno ferito 13.000 manifestanti disarmati e prima che il mondo potesse
parlare, Israele ha detto “è tutta colpa di Hamas”! E il mondo ha detto “è
colpa di Hamas” e si è addormentato sereno.
Ma
ieri è successo qualcosa di particolare. Ieri non hanno ucciso un bambino, un
invalido, una donna, o 120 palestinesi. Ieri hanno ucciso Razan Al Najjar. Un
fiore che portava un nome e che, al pari del video che mostrava il camice
insanguinato e l’inutile disperato tentativo di salvarla, ha fatto il giro del
mondo con annessa foto. Non è morta “una palestinese”, è morta una ragazza
palestinese ben identificabile come “umana”, col suo viso, il suo sorriso, il
suo camice insanguinato senza un comprensibile perché, e poi altre foto sono apparse
di Razan al confine, di Razan che corre a recuperare un ferito, di Razan con i
guanti sanitari insanguinati mentre presta soccorso. Di Razan viva, sorridente,
piangente, attiva e generosa. Perché l’hanno uccisa? Perché Israele uccide in
questo modo i palestinesi che già sottopone alla tortura dell’assedio? Abbiamo
paura di rispondere. Temiamo che andando per esclusione possa emergere una
verità terribile da accettare. Premettiamo che le autorità che governano la
Striscia avevano accettato una sorta di tregua pilotata dall’Egitto, e anche se
la marcia non è delle autorità governative, l’influenza di Hamas nel tenere
bassa la guardia si è fatta sentire. Eppure anche ieri ci sono stati decine di
feriti da colpi sparati dai cecchini, oltre ad altre decine di intossicati dai
gas. A giudicare dall’andamento delle manifestazioni che abbiamo monitorato in
diretta non sembrava ci fosse alcun motivo di sparare. E allora perché? Israele
è al di sopra della legalità internazionale, e lo è a tal punto di aver fatto
della legalità internazionale un ectoplasma capace di prendere forma solo
quando riguarda altri Stati. Ma questo spiega solo l’arroganza a crimine
avvenuto e non spiega ancora cosa induce Israele a commetterlo.
L’accanimento
con cui impedisce a una barca carica di feriti di raggiungere la Grecia per
potersi curare è in fondo della stessa natura dello sparare gratuitamente a
manifestanti disarmati. Poi in realtà spara anche in assenza di
manifestazioni. Potremmo supporre che vuole ridurre i palestinesi al silenzio.
Ma sono 70 anni che ci prova e sa che non può riuscirci. Vuole rendere la vita
ai palestinesi e, nello specifico, ai gazawi talmente impossibile da farli
fuggire? No, perché gli impedisce di uscire costringendoli in prigione. Vuole
forse creare una sorta di califfato in accordo con l’Egitto che si estenda
verso il Sinai in cui verranno rinchiusi i palestinesi illudendoli che quello è
il loro Stato? Ci sembra improbabile e, comunque, non avrebbe a che fare con la
gratuità delle violenze. Forse Israele non ha elaborato, come collettività, la
violenza subita nei secoli dagli ebrei e, in particolare, quella subita durante
il nazifascismo e che tuttora rappresenta la coperta capace di bloccare le
sanzioni per i suoi crimini. Senza calarci in un’interpretazione psicoanalitica
che non abbiamo le competenze per sviluppare, possiamo però avanzare l’ipotesi
che Israele stia affermando se stesso con la tragica introiezione dei valori
negativi di cui non riesce a liberarsi. Vuoi perché li usa a propria giustificazione,
vuoi perché deve superarli ma, non separandosene perché li usa, non può
superarli se non inglobandoli per rielaborarli e poi, infine, potersene
liberare. Ma intanto, in questo
percorso, ha bisogno di un corpo su cui scaricare la negatività subita e
renderlo dipendente, annichilirlo, farne l’equivalente di quel che il “corpo
ebreo” ha subito durante il nazismo.
Affermare
la sua superiorità per curare le sue ferite. Sparare gratuitamente, lasciar
boccheggiare ma non morire, grazie alla mortificante elemosina dei donatori 2
milioni di gazawi i quali, non potendo essere pubblicamente definiti esseri
inferiori li si taccia di terrorismo, ottenendo così il consenso planetario al
loro annichilimento. Far scendere normalmente i palestinesi dai bus in Cisgiordania
per controllare i documenti mortificando la loro dignità sotto lo sguardo
armato di quattro soldatelli diciottenni è un modo meno sanguinario ma tendente
allo stesso scopo: spegnere l’autostima del popolo occupato per accrescere
quella del popolo (popolo) occupante fino a considerarsi non occupante ma
legittimo proprietario, potente, superiore per decreto divino, impunibile. Sono
solo ipotesi interpretative dettate dall’osservazione diretta. Possono essere
confutate, ma solo da chi può farlo in seguito a lunga osservazione diretta.
Israele comunque, al momento, ha un comportamento assolutamente criminale e
questo non è, come potrebbe sembrare, un giudizio di valore, ma è un dato di
fatto.
L’uccisione
della piccola infermiera Razan, bella e commovente nella sua gioventù spezzata
come per un atto vandalico, può essere l’errore che Israele non avrebbe dovuto
fare e che forse cambierà l’andamento del suo progetto. Israele sa che in
questo caso non potrà usare la coperta del “diritto a difendersi” e quindi
userà quella della “shoà”, ma forse stavolta resterà scoperto. Sarà il volto
pulito e luminoso di Razan a inchiodarlo alla sua realtà di Stato che per
emanciparsi da quel che ha subito si è infilato nella stessa uniforme del suo
vecchio persecutore. Molto peggio che Stato canaglia! e quando la parte sana
del suo corpo sociale se ne renderà conto cosa succederà? Ogni ipotesi è
possibile.
Ora
possiamo soltanto osservare che se i media non cederanno al silenzio ma avranno
il coraggio di dire la verità, e cioè: Razan non è stata uccisa in scontri con
i soldati, ma per il gusto sadico di un soldatello, forse affascinato dal
suprematismo israeliano, di annientare una ragazza inerme, bella, forte nelle
sue idee e quindi perfetto bersaglio da centrare in pieno petto in modo che il
soldatino ancora in forse sul suo essere superiore o meno potesse affermarsi
attraverso il fucile, sua appendice di virilità.
Come
scrive il poeta giordano Abduhadi Raji Majali “Gaza è l’unico luogo nel mondo
arabo che ha offerto martiri di ogni tipo. Ha fornito bambini, disabili e
anziani… Il mare è chiuso e la terra è chiusa e l’aria è assediata .. ma il
popolo di Gaza ha creato una quarta strada …E con tutta questa miseria, i
gazawi producono arte attraverso la sabbia delle spiagge… Gaza è un fenomeno…
Penso che Gaza sia un mito che Allah ha posto sulla terra in modo che il mondo
possa imparare da esso…”
Questa
è la percezione che anche il grande poeta Mahmud Darwish aveva di Gaza e la
esprimeva in una sua poesia, Gaza è un fenomeno! e proprio perché Gaza è un
fenomeno in cui accadono cose impensabili, forse l’assassinio sadico di Razan,
potrebbe essere il primo gradino della discesa agli inferi di Israele o del suo
adattarsi al rispetto del Diritto universale umanitario e del Diritto internazionale
entrambi violati con impassibile e impunita costanza per 70 anni, gli stessi
della resistenza che il popolo palestinese, nonostante frazionamenti e rivalità
politiche, porta avanti rivendicando il rispetto dei propri diritti.