L’ EDITORIALE
CONFUSIONE
di Franco Astengo
Nella confusione della
politica moderna (verrebbe voglia di citare: “la confusione sotto il cielo è
grande, ma la situazione non è eccellente”) si trovano sempre più spesso
intellettuali che si divertono a discettare distinguendo tra i diversi tipi di
populismo: quello “versus” le élite; quello “versus” lo straniero, ecc, ecc. Si
trova anche chi, tutto sommato, trova conveniente tirare la volata alla destra
affermando che -almeno da quello parte- il tema dei migranti viene sollevato
dopo che la sinistra “borghese” ha cercato di occultarlo sotto il velo della
carità. Tutto questo è frutto davvero di enormi fraintendimenti e della
assenza/dimenticanza di bussole teoriche di riferimento; quelle bussole, quelle
fonti di orientamento che, fino a qualche anno fa, presente la vituperata
forma-partito “classica” e la coniugazione tra i cerchi concentrici che la
formavano potevano essere riconoscibili fino a formare un “corpus” teorico e
politico abbastanza utilizzabile per la lotta sociale di tutti i giorni. Oggi
ci si dimentica, purtroppo, del nodo
fondamentale che rimane quello del rapporto tra sfruttati e sfruttatori,
nel quadro di un allargarsi di quella che avevamo definito come “contraddizione
principale” ad un insieme, per certi versi inediti sulla scena della storia,
della società. Non si tratta, sia chiaro, della conservazione di antichi
ideologismi ma di affermare la costanza e la pervasività quotidiana della
contraddizione di classe. Per questi
intellettuali, una volta fatto finta di dimenticare e/o occultare i passaggi
decisivi delle gerarchie insite nel sistema capitalistico, il resto viene tutto
bene, anche accostarsi a questo pasticcio di governo italiano facendo finta di
discuterne come se le sue componenti fossero sul serio portatrici di un
pensiero politico e non di episodici raptus di enunciazioni tendenti
esclusivamente alla conquista (apparente) del potere. Un modo come un altro per
assoggettarsi ai nuovi padroni e candidarsi all’eterno ruolo di cortigiani.
Altro che personalizzazione ed apparire in luogo dell’essere, siamo già
arrivati alla teorizzazione dell’astrattezza di un potere complice della
vacuità dell’assenza di pensiero e del modellarsi delle azioni sulle più
pericolose istanze soltanto perché le si ritiene gradite al pubblico (del web).