Edoardo Salzano |
Si è spento a Venezia Edoardo Salzano, per tutti Eddy,
urbanista, studioso della «città bene comune» e di politica che ha formato
decine di urbanisti e intellettuali. Lo ricordiamo con questo suo scritto.
La città è, al tempo stesso, il luogo che
l’uomo ha inventato e costruito quando ha avuto bisogno di organizzare la sua
vita attorno a spazi, servizi e funzioni comuni e, al tempo stesso, il modo che
l’uomo ha utilizzato per costruire il proprio habitat nell’ambito dello spazio
naturale. Per una lunghissima fase della storia dell’umanità l’urbano
(caratterizzato dall’artificialità fisica, dalla ricchezza dei rapporti
interpersonali e della vita sociale) è restato racchiuso nella cerchia delle
mura urbane e delle sue immediate adiacenze, utilizzando il resto del
territorio pressoché unicamente come supporto delle vie di comunicazione, esili
dapprima, poi via via più massicce e intense. Nei secoli a noi più vicini
l’organizzazione urbana (l’habitat dell’uomo) si è esteso via via all’intero
territorio: non solo artificializzandone parti sempre più estese, ma
soprattutto inserendo la massima parte delle sue componenti ai ritmi, ai modi
di fruizione e di trasformazione, ai valori propri delle funzioni urbane.
Oggi il
territorio rurale non è considerato, valutato e trattato in relazione alle sue
qualità proprie, ma alla sua capacità di entrare nel ciclo delle utilizzazioni
(e dei valori economici) urbani. È un “suolo in attesa di urbanizzazione”.
Se è un terreno agricolo il suo proprietario aspetta il momento nel quale la
vanga che lo aprirà non sarà più finalizzata alla messa a dimora di una vigna o
di un platano, ma alla realizzazione delle fondazioni di un edificio. Un bosco
non avrà nel suo destino quello di essere governato per il patrimonio di beni
naturali che costituisce ma, nel migliore dei casi, come estensione del parco
urbano, nella peggiore come luogo da distruggere per riempire il sito di ville
e villette. Una spiaggia svolgerà il suo ruolo come sede di una serie di
stabilimenti balneare, e magari di piscine, alberghi, casette di vacanza.
Connesso a
questa trasformazione (culturale, economica, fisica) vi è un altro fenomeno,
che incide direttamente sulla vita dell’uomo. L’alimentazione non è più il
consumo di merci prodotte a distanza ravvicinata, da un suolo nutrito dalla
stessa storia che ha prodotto quella città e dalla stessa cultura che ne ha
foggiato gli abitanti, dallo stesso sole e dalla stessa aria, dal ciclo delle
stesse stagioni, ma è sempre più prodotta altrove, lontano, là dove le regole
dell’economia capitalistica trovano maggiore convenienza.
Le
rivendicazioni che nascono dalla società civile costituiscono una critica al
modo in cui si è trasformato il rapporto tra città e campagna, tra territorio
urbano e territorio rurale, e una pressante richiesta di ricostituire un
equilibrio (meglio, di costituire un nuovo equilibrio) tra i due termini. Il
modello di città la cui domanda nasce da quella critica deve consentire la
vicinanza, alle varie scale (di paese e quartiere, di città, di area vasta, di
regione, etc.), tra l’urbanizzato (prevalentemente artificializzato) e il
rurale (prevalentemente naturale). Deve consentire un’alimentazione sana e una
filiera corta tra la produzione e il consumo, aria pulita, luce e sole, libera
fruizione di spazi di ricreazione e distensione, di bellezza, di storia,
d’identità.
Ma è la
stessa localizzazione delle eventuali nuove aree da urbanizzare, là dove ciò si
dimostri essenziale ed irrinunciabile, che deve tener conto di un corretto
rapporto con la natura. La terra libera, integrata nel ciclo biologico del
pianeta, è di per sé un valore. È una perdita per la qualità complessiva
della vita dell’umanità sacrificarne una porzione; quindi ciò va evitato per
quanto possibile (ove non lo sia in vista di altri e superiori valori), e va
compensato con equivalenti restituzioni di naturalità.