di Tiziano Rovelli
Ero
studente liceale a quel tempo fine anni ’60.
D’estate,
periodo come si sa di vacanze, avevo trovato un lavoretto presso una piccola
ditta di produzione di gazzose, di spume, acque minerali e quant’altro, che si
occupava anche della distribuzione di queste bevande per mezzo di piccoli
camion, soprattutto nei bar della periferia milanese. La fabbrichetta a
conduzione familiare aveva sede all’Isola Garibaldi dove io abitavo, e vivacchiava, prima che la Coca Cola spazzasse via tutta questa produzione nostrana. Approfittavo
del mese di luglio per raccogliere qualche soldo per andarmene via con qualche
amico in agosto, magari in autostop.
Io
lavoravo sia all’interno direttamente alla produzione, - acqua, zucchero e gas
per le gazzose-, sia all’esterno alla distribuzione, sui camion. Accompagnavo
come uomo di fatica che scaricava le cassette, l’autista nel suo giro
quotidiano.
Si
caricava il camioncino, il proprietario controllava il carico arrampicandosi
sulla sponda dell’automezzo, poi si partiva al mattino per tornare la sera.
Uscivo
volta a volta con compagni di lavoro diversi e tutti di una età non più giovane
che guidavano quegli scassatissimi furgoni e portavano cassette come pure io da
aiutante facevo.
Mi
capitò un giorno di uscire con un tipo che all’inizio si dimostrò piuttosto
taciturno, rozzo come la gran parte di loro, di età vicino alla pensione.
Ci
spingevamo anche lontano dalla sede, nei paesi fuori Milano.
Verso
sera, quando ci si accingeva a ritornare, questo tipo cominciò a inveire contro
il lavoro che lo aveva schiavizzato tutta la vita e bestemmiava e bestemmiava
tutte le anime del purgatorio, non da ultimo imprecando contro il suo datore di
lavoro. Poi non so per quale ragione si confidò con me liberandosi di un peso
che gli gravava sulla coscienza.
Fascista,
durante la guerra, nelle ultime fasi delle ostilità, come aderente alla
Repubblica di Salò aveva combattuto in Jugoslavia contro i partigiani di Tito.
Mi
raccontò delle efferatezze perpetrate da lui e dai suoi camerati contro la
popolazione civile inerme. Ammazzavano torturavano, tagliavano persino il seno
alle donne e cose anche più indicibili.
Ne
rimasi esterrefatto ed inorridito nella mia ignoranza di allora.
A
scuola di queste cose non si parlava, il programma di storia finiva alla prima
guerra mondiale e si cantava il “Piave mormorò”.
Altro
che “italiani brava gente”!
Sono
le guerre le cause più immonde dell’odio che intossica la inciviltà. Senza operare
alcuna distinzione, i popoli si mettono gli uni contro gli altri comportandosi come
bestie e si scagliano contro uomini che hanno il solo torto di avere altra
lingua e altri costumi. Anzi, gli animali sono meno crudeli di noi. La leggenda della Bibbia narra che Caino
uccide suo fratello Abele,
e noi discendiamo tutti da Caino.