CARROZZA 7
Zanini e la sua narrativa consapevole
di Angelo Gaccione
Claudio Zanini |
Di sessantacinque capitoli più una
breve nota conclusiva consta il nuovo romanzo di Claudio Zanini (Carrozza n.
7, Edizioni Bietti 2018 pagg. 368 € 16,00). È un romanzo apertamente e
scopertamente “politico”; potete arricciare il naso davanti a questo termine,
ma tutto è politico, qualsiasi gesto, qualsiasi scelta: persino l’acquisto di
un innocuo giocattolo per il vostro bambino. Ma per politico qui si intende una
cosciente e consapevole intelligenza delle cose. Un saper leggere, cioè, sotto
la superficie dei fatti, per esempio, o dentro la sostanza di parole-concetti
che in astratto suonano prodigiose e persino auliche e solenni. Ma solo in
astratto. Nella più cinica e modesta realtà delle cose, spogliate dall’aura
mistica (mistificatrice?) che le avvolge, rivelano tutta la loro miseria. Si
scrive, per esempio, pomposamente esportazione della democrazia, ma si
legge mettere le mani sui pozzi petroliferi di un altro Paese; si
scrive: libertà economica e di impresa, e si legge guerra senza
quartiere per il controllo dei mercati ed il possesso delle risorse.
Si scrive: ricostruzione e si legge indebitamento fino alla strozzatura
e all’agonia finale, ad opera di banche, multinazionali, potentati economici
privati. Si scrive: alleanza militare per la sicurezza e si legge
sperpero di ricchezza nazionale in armamenti, coinvolgimento in conflitti
bellici in luoghi del mondo dove non dovremmo essere; cessione di sovranità a
Stati che occupano il nostro territorio con le loro basi militari e ne
dispongono come padroni. Alleviamo la serpe in seno, come dice una nota
metafora.
Le stesse parole che dal punto di vista della rappresentazione
grafica si leggono per tutti allo stesso modo, non rivestono sempre nella
sostanza e nella cinica realtà delle cose, uguale significato o valore. La
bellissima parola libertà che per una parte della società vuol dire
assenza di tiranni, di oppressione, di despoti; per un ristretto gruppo di
oligarchi, di profittatori, vuol dire più prosaicamente mercato selvaggio,
licenza, mano libera verso il raggiungimento del profitto con ogni mezzo e
ad ogni costo: guerra e devastazione compresa. La libertà, cioè, di una
forsennata corsa al profitto. Prendiamo ad esempio quell’ottima cosa che è la
libertà di stampa e facciamoci qualche domanda: chi la esercita? In favore di
chi? A chi appartengono i mezzi? Ne avete accesso voi o la gente comune? Ecco,
se ci poniamo queste domande ci rendiamo subito conto che la libertà di stampa
è la libertà di chi può concretamente esercitarla. La parola eguaglianza
è altrettanto preziosa. Ma chi possiede il denaro e la finanza? Che uso ne fa?
A vantaggio di chi? E quando parliamo di Patria, Nazione, Sacro Suolo, siamo
sicuri che abbiamo in mente la stessa cosa? I mafiosi, gli speculatori, i
trafficanti, i mercanti di armi, gli evasori fiscali, i corrotti della
politica, dell’economia, della finanza, i saccheggiatori delle risorse, gli
avvelenatori della natura, gli sfregiatori del territorio, i vandali del
paesaggio, i profittatori del bene pubblico a proprio vantaggio, sono anch’essi
parte di quella stessa Patria, di quella identica Nazione, di quel Sacro Suolo,
o ne sono i nemici? Nemici interni, intestini, dunque traditori e assassini di
quella che chiamiamo Patria, Nazione, Sacro Suolo, perché tramano contro questi
valori e muovono una guerra quotidiana, implacabile, rovinosa.
La copertina del libro |
Questa lunga digressione era necessaria per entrare nel cuore
di un romanzo come questo di Zanini, che non concede alibi di sorta a
qualsivoglia ambiguità, e in un serrato dialogo del capitolo 39 (pag. 209)
mette in bocca a Saul Pallemberg e al professor Zeit queste parole a proposito
della misteriosa morte del rappresentante di bambole Settembrini:
“Si deve
sempre diffidare delle maiuscole, professore!”
“Caro Pallemberg, neanche io credo alle maiuscole! Tutti i
nomi come patria, famiglia, nazione, storia, eccetera scritti o detti con
l’iniziale maiuscola mi suonano equivoci e ingannevoli”
“Caro professore, gli altisonanti proclami nascondono i più
torbidi interessi, è noto. Tuttavia…”
“È la stampa che dovrebbe rivelare i secondi fini, le
strategie sommerse, i reali interessi in gioco di un conflitto…”
Perché sul quel treno che va a Quorum, sulla fauna che lo
compone (spie, militari, influenti manipolatori di governi e multinazionali,
ecc.), sulle tresche e sui dialoghi che negli scompartimenti e negli appartati
salottini si svolgono, la materia che abbiamo messa a preambolo di questo
scritto e che emerge da questi piccoli lacerti che abbiamo poco sopra
enucleato, rappresenta il cuore del discorso intorno a cui lo scrittore
organizza la sua trama. In verità eventi drammatici ed ambigui si svolgono
anche “fuori scena”, cioè al di fuori del treno, che resta tuttavia sempre
sotto i riflettori e sempre tutto vi si riconduce. Subirà anche un drammatico
assalto manu militare. Ma che cosa va a fare tutta questa gente a Quorum? La
partita è di quelle pesanti: come scoprirete dai capitoli conclusivi del
romanzo, una guerra civile virulenta oppone fazioni e gruppi. Come in ogni
rivoluzione le dinamiche si ripresentano quasi canoniche, ma sottotraccia i
profittatori vestono panni solo apparentemente rassicuranti, e chi ha mire di
accaparramento del potere (il romanzo è anche un discorso sul potere e le sue
dinamiche; non per nulla Machiavelli stende la sua invisibile ombra), usa i
suoi persuasivi metodi che sono sempre gli stessi: aiuti interessati che
finiranno per aprir loro le porte e raccogliere i frutti a guerra finita,
quando l’ordine sarà ristabilito, e molti ideali venuti meno. Naturalmente a
sporcarsi le mani saranno altri, mentre una classe in disfacimento (una nobiltà
fuori dalla storia che resta pervicacemente ancorata a miti e riti ormai
desueti) pagherà il suo malinteso senso dell’onore e sarà votata alla
sconfitta. I lettori scopriranno anche come quasi tutti i viaggiatori verso
Quorum si riveleranno pedine di un gioco più grande di loro e di cui non sono
consapevoli, fatto di intrighi militari e diplomatici, e dove le idealità
finiranno per rimanere deluse. Carrozza
7 è un libro importante non solo per l’abile orchestrazione con cui sono
condotte le vicende; lo è per lo stile molto curato, per le descrizioni precise
e di grande bellezza poetica, per le immagini vivide che ci danno l’impressione
di averle visivamente davanti agli occhi, per i dialoghi mai banali, per il
pensiero robusto che vi circola e per la credibilità dei personaggi e del loro
agire. È un romanzo importante perché ci mostra ciò che già conosciamo dalla
saggistica e dallo studio della realtà, ma che la narrativa sa rendere più
convincente perché finisce per offrirsi a noi come una vera e propria allegoria
contemporanea. E soprattutto perché Zanini è dotato di una solida conoscenza
della storia e sa scandagliare fra le sue pieghe. Nessun altro scrittore dopo
Cassola è apparso all’orizzonte con una critica così radicale nei confronti
della guerra e della sua barbarica insensatezza. Questo di Zanini è un romanzo
apertamente schierato contro la guerra: “La guerra è un vortice che inghiotte e
macina tutto. (…) la guerra è una tragedia anche se vi si è costretti” leggiamo
a pagina 22. Ed è anche per questo che io l’ho sentito in maniera viscerale.