UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 29 febbraio 2020

Libri
CARROZZA 7
Zanini e la sua narrativa consapevole
di Angelo Gaccione

Claudio Zanini

Di sessantacinque capitoli più una breve nota conclusiva consta il nuovo romanzo di Claudio Zanini (Carrozza n. 7, Edizioni Bietti 2018 pagg. 368 € 16,00). È un romanzo apertamente e scopertamente “politico”; potete arricciare il naso davanti a questo termine, ma tutto è politico, qualsiasi gesto, qualsiasi scelta: persino l’acquisto di un innocuo giocattolo per il vostro bambino. Ma per politico qui si intende una cosciente e consapevole intelligenza delle cose. Un saper leggere, cioè, sotto la superficie dei fatti, per esempio, o dentro la sostanza di parole-concetti che in astratto suonano prodigiose e persino auliche e solenni. Ma solo in astratto. Nella più cinica e modesta realtà delle cose, spogliate dall’aura mistica (mistificatrice?) che le avvolge, rivelano tutta la loro miseria. Si scrive, per esempio, pomposamente esportazione della democrazia, ma si legge mettere le mani sui pozzi petroliferi di un altro Paese; si scrive: libertà economica e di impresa, e si legge guerra senza quartiere per il controllo dei mercati ed il possesso delle risorse. Si scrive: ricostruzione e si legge indebitamento fino alla strozzatura e all’agonia finale, ad opera di banche, multinazionali, potentati economici privati. Si scrive: alleanza militare per la sicurezza e si legge sperpero di ricchezza nazionale in armamenti, coinvolgimento in conflitti bellici in luoghi del mondo dove non dovremmo essere; cessione di sovranità a Stati che occupano il nostro territorio con le loro basi militari e ne dispongono come padroni. Alleviamo la serpe in seno, come dice una nota metafora.
Le stesse parole che dal punto di vista della rappresentazione grafica si leggono per tutti allo stesso modo, non rivestono sempre nella sostanza e nella cinica realtà delle cose, uguale significato o valore. La bellissima parola libertà che per una parte della società vuol dire assenza di tiranni, di oppressione, di despoti; per un ristretto gruppo di oligarchi, di profittatori, vuol dire più prosaicamente mercato selvaggio, licenza, mano libera verso il raggiungimento del profitto con ogni mezzo e ad ogni costo: guerra e devastazione compresa. La libertà, cioè, di una forsennata corsa al profitto. Prendiamo ad esempio quell’ottima cosa che è la libertà di stampa e facciamoci qualche domanda: chi la esercita? In favore di chi? A chi appartengono i mezzi? Ne avete accesso voi o la gente comune? Ecco, se ci poniamo queste domande ci rendiamo subito conto che la libertà di stampa è la libertà di chi può concretamente esercitarla. La parola eguaglianza è altrettanto preziosa. Ma chi possiede il denaro e la finanza? Che uso ne fa? A vantaggio di chi? E quando parliamo di Patria, Nazione, Sacro Suolo, siamo sicuri che abbiamo in mente la stessa cosa? I mafiosi, gli speculatori, i trafficanti, i mercanti di armi, gli evasori fiscali, i corrotti della politica, dell’economia, della finanza, i saccheggiatori delle risorse, gli avvelenatori della natura, gli sfregiatori del territorio, i vandali del paesaggio, i profittatori del bene pubblico a proprio vantaggio, sono anch’essi parte di quella stessa Patria, di quella identica Nazione, di quel Sacro Suolo, o ne sono i nemici? Nemici interni, intestini, dunque traditori e assassini di quella che chiamiamo Patria, Nazione, Sacro Suolo, perché tramano contro questi valori e muovono una guerra quotidiana, implacabile, rovinosa.

La copertina del libro

Questa lunga digressione era necessaria per entrare nel cuore di un romanzo come questo di Zanini, che non concede alibi di sorta a qualsivoglia ambiguità, e in un serrato dialogo del capitolo 39 (pag. 209) mette in bocca a Saul Pallemberg e al professor Zeit queste parole a proposito della misteriosa morte del rappresentante di bambole Settembrini: 

“Si deve sempre diffidare delle maiuscole, professore!”

“Caro Pallemberg, neanche io credo alle maiuscole! Tutti i nomi come patria, famiglia, nazione, storia, eccetera scritti o detti con l’iniziale maiuscola mi suonano equivoci e ingannevoli”

“Caro professore, gli altisonanti proclami nascondono i più torbidi interessi, è noto. Tuttavia…”

“È la stampa che dovrebbe rivelare i secondi fini, le strategie sommerse, i reali interessi in gioco di un conflitto…”

Perché sul quel treno che va a Quorum, sulla fauna che lo compone (spie, militari, influenti manipolatori di governi e multinazionali, ecc.), sulle tresche e sui dialoghi che negli scompartimenti e negli appartati salottini si svolgono, la materia che abbiamo messa a preambolo di questo scritto e che emerge da questi piccoli lacerti che abbiamo poco sopra enucleato, rappresenta il cuore del discorso intorno a cui lo scrittore organizza la sua trama. In verità eventi drammatici ed ambigui si svolgono anche “fuori scena”, cioè al di fuori del treno, che resta tuttavia sempre sotto i riflettori e sempre tutto vi si riconduce. Subirà anche un drammatico assalto manu militare. Ma che cosa va a fare tutta questa gente a Quorum? La partita è di quelle pesanti: come scoprirete dai capitoli conclusivi del romanzo, una guerra civile virulenta oppone fazioni e gruppi. Come in ogni rivoluzione le dinamiche si ripresentano quasi canoniche, ma sottotraccia i profittatori vestono panni solo apparentemente rassicuranti, e chi ha mire di accaparramento del potere (il romanzo è anche un discorso sul potere e le sue dinamiche; non per nulla Machiavelli stende la sua invisibile ombra), usa i suoi persuasivi metodi che sono sempre gli stessi: aiuti interessati che finiranno per aprir loro le porte e raccogliere i frutti a guerra finita, quando l’ordine sarà ristabilito, e molti ideali venuti meno. Naturalmente a sporcarsi le mani saranno altri, mentre una classe in disfacimento (una nobiltà fuori dalla storia che resta pervicacemente ancorata a miti e riti ormai desueti) pagherà il suo malinteso senso dell’onore e sarà votata alla sconfitta. I lettori scopriranno anche come quasi tutti i viaggiatori verso Quorum si riveleranno pedine di un gioco più grande di loro e di cui non sono consapevoli, fatto di intrighi militari e diplomatici, e dove le idealità finiranno per rimanere deluse.  Carrozza 7 è un libro importante non solo per l’abile orchestrazione con cui sono condotte le vicende; lo è per lo stile molto curato, per le descrizioni precise e di grande bellezza poetica, per le immagini vivide che ci danno l’impressione di averle visivamente davanti agli occhi, per i dialoghi mai banali, per il pensiero robusto che vi circola e per la credibilità dei personaggi e del loro agire. È un romanzo importante perché ci mostra ciò che già conosciamo dalla saggistica e dallo studio della realtà, ma che la narrativa sa rendere più convincente perché finisce per offrirsi a noi come una vera e propria allegoria contemporanea. E soprattutto perché Zanini è dotato di una solida conoscenza della storia e sa scandagliare fra le sue pieghe. Nessun altro scrittore dopo Cassola è apparso all’orizzonte con una critica così radicale nei confronti della guerra e della sua barbarica insensatezza. Questo di Zanini è un romanzo apertamente schierato contro la guerra: “La guerra è un vortice che inghiotte e macina tutto. (…) la guerra è una tragedia anche se vi si è costretti” leggiamo a pagina 22. Ed è anche per questo che io l’ho sentito in maniera viscerale.
   

ZERO IN CONDOTTA   



IATTURE

“Sempre di male in peggio:
dal Corano Isis al Corona Virus”
Nicolino Longo

IL PENSIERO DEL GIORNO


“Quando un uomo cerca di farti dimenticare di essere donna,
ti fa sua schiava”.
Laura Margherita Volante

Trieste
di Fulvio Papi


Trieste era l’aurora che nasce dal mare,
ora per me i boschi tacciono per sempre
e le onde cadono stanche.
E tu vuoi darmi dei consigli?


Libri
LA POESIA COME ESPERIENZA UMANA E SOCIALE
di Angelo Gaccione

Maria Carla Baroni

Ho una grandissima ammirazione per Maria Carla Baroni, la pasionaria comunista, saggista e poetessa milanese per almeno un paio di ragioni. La prima è che pochissimi sanno portare con un orgoglio il loro essere comunisti con tanta dignitosa sfida quanto lei. La seconda è che non c’è causa sociale, ambientale, etica, o di qualunque altra natura che abbia un interesse pubblico e collettivo, in cui Maria Carla non la trovi coinvolta: acqua pubblica, taglio di alberi, scali ferroviari, diritti delle donne, antifascismo e così via. Lei c’è sempre. E credo di non sbagliare se dico che la conoscono tutti. Chi sta in mezzo alle lotte non potrà non imbattersi in questa donna minuta, ma tenace, e solo Dio sa dove trovi tutta questa energia, dal momento che passa da un incontro ad una assemblea, da un direttivo a una mobilitazione, e le 24 ore della giornata non le sono bastevoli. Te la vedi arrivare con la sua inseparabile cartella piena di documenti, di appunti, di relazioni, e come se non bastasse trova pure il tempo di dar voce al suo “assentimento poetico” come direbbe il Manzoni suo concittadino. Maria Carla ha oramai all’attivo un bel gruppo di libri: si è occupata di saggistica, ma non ha mai trascurato la poesia. Alla bella età di ottant’anni (ma lei di questi giovani sprovveduti di venti trent’anni se ne fa un boccone, quanto a lucidità, consapevolezza, radicalità di idee), ha appena licenziato la sua nuova raccolta poetica dal titolo Piazze di sogni incarnati, pubblicato dall’editore Manni nella collana Occasioni e con una nota introduttiva di Maurizio Cucchi. Il libro è diviso in dieci sezioni: da “I canti del divenire” a “Omaggio a Milano”; da “Canti di morte” a “Canti politici e per il Comunismo”. Come si può vedere da questa breve mappa orientativa, nei versi della Baroni la dimensione pubblica e civile si sposa a quella più intima e privata (“Canti d’amore”, “Ai luoghi che amo”, ecc.). Ognuno dei lettori, dunque, può trovarvi qualcosa che più lo seduce, ma quelle piazze dove i sogni si sono incarnati, suona chiaro e deciso. Le piazze sono il luogo per antonomasia del pubblico, dello spazio pubblico. Le piazze presuppongono le lotte, e le lotte sono il lievito che fanno incarnare i sogni, li rendono concreti. Sono i luoghi delle conquiste, che le idee sociali hanno elaborato e le lotte reso possibili. Fa benissimo, dunque, questa comunista non dogmatica e che alla libertà ha dedicato la sua lunga vita, a difendere le sue poesie comuniste. Pubblichiamo alcuni testi dalle varie sezioni.

*
Casa mia

Casa mia di bianche pareti
di rossi divani e tappeti, di lignei
mobili antichi, di mille e mille libri
casa pregna di sogni dipinti
dal mio amore perduto, sei utero
in cui mi rigenero.

*
Veglia funebre

Vuoto
mentre guardi quel corpo
livido
ancora più freddo tra i fiori.
Una morsa di vuoto avvolgente
quando quel corpo portano via.

Al compagno Marco

Quattrocentottanta euro
per vivere un mese
ti passava il Sistema
compagno Marco
operaio malato
anzitempo pensionato
morto.

Quarta generazione

Grande e bello, figlia
il tuo nudo grembo ovale
accarezzato da luce ottobrina
colmo di un bocciolo di donna.
Emma di quarta generazione
ritorno nel nome di una madre amante.

*
Verso Chiaravalle

Alle porte della mia città
le grandi cascine tranquille
e i fiori e gli orti
le parole d’amore sul ciglio
fra il prato e la strada
e tra i pioppi - lontano -
il bel tiburio dell’Abbazia.



Maria Carla Baroni
Piazze di sogni incarnati
Manni Ed. 2019
Pagg. 128 € 15,00

venerdì 28 febbraio 2020

CORONA VIRUS
di Angelo Gaccione


Una estate di alcuni anni fa, mi trovavo in Calabria; in genere il luogo è piuttosto fresco: per la sua altura, la posizione quasi ai piedi della Sila e la ricchezza di vegetazione che lo circondava. Ho usato il verbo all’imperfetto perché negli ultimi decenni la mano criminale e la stupidità di quel vigliacco che è l’uomo, come lo definisce Dostoevskij in Delitto e castigo, ha ridotto in cenere buona parte di questa ricchezza e di questo inestimabile patrimonio. In quella estate ci furono alcune giornate torride: un caldo africano come non se ne aveva memoria. In una di quelle giornate, riflettendo su cosa sarebbe potuto accadere se quell’onda maligna e impalpabile… avevo costruito, ahimè soltanto mentalmente, un racconto dalle tinte forti e direi spietato. Nulla di fantasioso, per carità, anzi più reale della realtà stessa. In seguito mi pentii di non averlo messo su carta: forse non ebbi l’energia necessaria, considerato il caldo e la mia pressione ballerina; forse mi spaventai io stesso di quella prefigurazione tanto tragica: in fondo era pur sempre la terra dei miei parenti e dei miei conoscenti. E tuttavia, da allora, la possibilità che si verifichi un evento estremo (non importa se in un solo luogo, una città, o un intero continente) che obblighi gli uomini e le donne a fare i conti con una situazione claustrofobica, blindata, ultimativa, perentoria, da stato d’assedio, da asfissia, - in una civiltà complessa come la nostra -, è rimasta vivida nella mia immaginazione di scrittore. Confesso che registrare le reazioni, i comportamenti, le forme simboliche che i gesti assumerebbero nel loro divenire mondano, le formule plurime che gli atti rivelerebbero, davanti alla probabilità di una possibile fine, tutto questo mi affascina letterariamente.  


Quel che sta accadendo in questi giorni con il panico scatenato dal diffondersi del corona virus e dai morti che sta causando, ha riacceso quel desiderio. E tuttavia anche questa volta vi rinuncerò. Mi interessano ora altre questioni, più prosaiche e meno letterarie. La prima è questa: un semplice virus è in grado di attaccare al cuore qualsiasi tipo di società e mettere in ginocchio le civiltà più organizzate ed evolute. Una persistenza temporale della sua diffusione può ridurre in frantumi intere economie, rendere spettrali le città, distruggere ogni forma di socialità, rendere ostili e infrequentabili (e mai avremmo osato crederlo) persino luoghi di culto e ospedali. Il terrore di rimanere privi di provviste alimentari spingerebbe all’accaparramento di ogni sorta di merci (com’è avvenuto qui a Milano, per esempio), e in una situazione di alta mortalità gli istinti più belluini, irrazionali e feroci, scatenerebbero una violenza distruttiva che opporrebbe individuo a individuo. C’è mancato poco (sono stato testimone oculare) che in un noto supermercato non avvenisse una rissa furibonda per un paio di scatolette di tonno: le ultime rimaste su scaffali vuoti. Il motto latino mors tua vita mea, diverrebbe immediatamente la cifra più evidente della deriva. Salterebbero buone maniere, solidarietà di classe, principi culturali, istanze morali. La caccia agli untori la conosciamo dagli scritti sulle pestilenze di epoche neppure tanto lontane, e per nulla oscure dal punto di vista scientifico; la diffidenza l’ho verificata di persona entrando semplicemente in un negozio; il disprezzo verso gli abitanti di Codogno si può leggere sui cosiddetti Social, o materializzato nei video ironici e offensivi che circolano sui nostri tablet. La figura del capro espiatorio è sempre in agguato, e in casi come questi è su di essa che si scarica lo sfogo collettivo, la proiezione paranoica di tutte le fobie.


La seconda questione è una presa d’atto. La constatazione, cioè, che non esiste alcuna invulnerabilità e alcun luogo dove il bacillo non possa giungere e sterminare. Questa presa d’atto sgretola la sicumera, l’illusione di onnipotenza faustiana, il suo illusorio delirio tecnologico, e rimette con i piedi per terra la fragilità dell’essere umano. La goccia di sperma che goccia, com’è definito l’uomo in una sura del Corano, ha la controprova della sua natura effimera, e come basta un virus per annientarlo, addirittura in quanto specie.
La terza è che si può rimanere blindati in casa, o in bunker attrezzati per sfuggire al contagio: ma per quanto tempo, prima di divenire folli o divorarsi l’uno con l’altro come cannibali?



A ben vedere questo corona virus ci offre molti insegnamenti e ci obbliga a queste e ad altre più approfondite considerazioni, se vogliamo prenderne atto. Partiamo dal dispendio di danaro messo in campo per approntare le necessarie contromisure, dagli sforzi di operatori sanitari, strutture ospedaliere, controlli militari e via enumerando. Dalle legittime preoccupazioni di governi e istituzioni per impedire una vera e propria pandemia, il collasso definitivo delle strutture produttive, la paralisi dell’intrapresa nel suo complesso, le decisioni autoritarie per far rispettare divieti, procedure, isolamenti territoriali; dai ricoveri forzati eseguiti da gruppi armati e militari che ci giungono dalla Cina; dai pattugliamenti, le necessarie evacuazioni, le restrizioni, i cordoni sanitari. Tutto ciò perché l’emergenza inesorabilmente lo richiede e i cittadini non possono che adeguarsi. Si potrebbe accennare di passaggio, e come è stato scritto su queste stesse pagine, che nessuna mobilitazione è mai avvenuta per mettere al riparo le 100 mila vite che l’amianto si porta via ogni anno in Europa. Tanto meno ci si preoccupa dei 10 mila morti e più, causati dall’inquinamento ogni anno qui in Italia. Ma non importa. 


Importa però sapere che molti Stati possiedono nei loro arsenali armi chimiche e batteriologiche in grado di sterminare più persone del corona virus. Che le bombe nucleari possono produrre l’estinzione dell’intero genere umano. Che la contaminazione prodotta dai componenti di questi armamenti riguarderebbe l’ambiente per centinaia e centinaia di anni e che seppellirsi in un bunker sarebbe vana illusione. Che le fughe radioattive sono un piccolissimo assaggio di quello che potrebbe avvenire con l’uso delle armi che abbiamo accumulato. Che la spesa militare è la prima voce del bilancio mondiale, non la preservazione della salute, la ricerca medica, la salvaguardia dell’ambiente o la cultura. Se è così, e purtroppo così è, perché i capi di stato e di governo continuano su questa via sciagurata e criminale? E perché noi cittadini ci disinteressiamo di una questione così epocale e fondamentale? Terremoti, fenomeni estremi legati ai cambiamenti climatici, carestie, penuria d’acqua, epidemie, inondazioni, desertificazioni, ci avvertono di quanto già siamo in pericolo. 


E allora perché non usiamo la stessa mobilitazione che il mondo sta dimostrando contro il corona virus per prenderci cura delle nostre esistenze, contrastando i “bacilli artificiali” (armi e ordigni di ogni genere) creati volontariamente da noi stessi e che se impiegati condurranno il genere umano all’estinzione? Perché non impieghiamo l’immensa spesa militare per debellare e contenere minacce così spaventose? A che ci serviranno i bombardieri nucleari, i sottomarini, le portaerei quando le prossime pandemie penetreranno nelle nostre città? Potrebbe accadere di non avere nemmeno il tempo di recarsi al supermercato per accaparrarsi il tonno. Pensiamoci.   

giovedì 27 febbraio 2020

AFORISMI
di Giuseppe Denti


“Tutto viene bruciato con le cremazioni,
ma non il rammarico inesaudito di un ripensamento”

“Il non vedente, affida la sua vita a un bastone estraibile,
sperando in una sua simbiosi”

“Il frutto eterno è la mela usata per una corruzione”

“L’unico male inguaribile è l’abitudine”

“Il cervello è il creatore dei sogni festosi o odiosi,
la sua epifania muore all’alba”


SPORE:
UNA RACCOLTA INTENSA E COMMOVENTE
di Graziano Mantiloni

Graziano Mantiloni

Fin dalle prime composizioni di questa raccolta di poesie (Spore, Angelo Gaccione, ed. Interlinea, 2020) si percepisce una strana e accattivante tensione narrativa accentuata dal ritmo tronco e volutamente breve dei versi. Taluni, associabili all’aforisma, propongono temi di grande rilevanza e portata. Il componimento 26, per esempio:

La morte andando per via,
 incontrò la miseria.
«Ci mettiamo insieme?» Le chiese.
«Ho sposato la guerra» rispose,
«sei arrivata tardi

La personificazione di figure astratte ci riconducono al mito e con esso alla rappresentazione di una realtà parallela che si rivela illuminante per quanto i versi si presentino scarni e coincisi. È evidente un sarcasmo amaro, peraltro cifra di Angelo Gaccione che abbiamo letto in una sua precedente opera L’incendio di Roccabruna, un dialogo ridotto all’essenzialità, che si concentra su drammi antichi, epopea di un immaginario collettivo che ha percorso secoli e culture.
Amore, morte, dolore, sorriso; di questo sono intrise molte delle composizioni di Angelo Gaccione e come piccole spore che cadono dalle felci e danno vita a nuove piante, si propongono al lettore come un invito alla riflessione e al coraggio. Sì, coraggio per affrontare il mondo intricato, perverso, inospitale, con l’audacia di una piccola spora.

Angelo Gaccione (2019)

La seconda parte, forse la più commovente e intensa, ci parla del nostro rapporto con i nostri cari scomparsi. Il valore di gesti ormai affidati al solo ricordo, la struggente sacralità degli oggetti rimasti orfani e che pur si ripropongono testimoni di una vita andata.
Il componimento n.1 della seconda parte del libro lo trovo emblematico:

È sorprendente quanto siano vive,
le cose appartenute ai morti.
Non è solo il maglione,
rimasto ripiegato sul divano,
o la vestaglia appesa alla parete.
Mio padre la vede muoversi in giardino,
e ravvivare il fuoco del camino.
Le parla spesso, dice, e lei risponde.
E per quanto incredibile, gli credo
.

Emozioni. Questo suscitano e per questo si parla di poesia. Una piacevole e godibile raccolta quindi, che sembra andare controvento rispetto alle mode e alla schizofrenia del nostro mondo contemporaneo. Poesie che ripropongono, con la vivida potenza di una piccola spora, un messaggio dirompente; un inno alla vita, di cassoliana memoria, sembra echeggiare in tutte le sue variegate sfaccettature. Ogni composizione ne resta intrisa e qui risiede la forza letteraria che impreziosisce ogni singolo verso.

La copertina del libro

Angelo Gaccione
Spore
Ed. Interlinea, 2020
Pagg. 90 € 12,00


EPPUR SI MUORE…
Non solo di corona virus 
di Giovanni F. Bonomo

Li Wenliang
il medico cinese morto di corona virus
mentre si adoperava 
a salvar
vite umane

E
ppure in tanti anni ho scritto, in vari blog, creando siti (http://www.amiantoeppursimuore.it/), l’ho urlato sui social, in un apposito gruppo (https://www.facebook.com/groups/amiantoeppursimuore), movimentando opinioni e convegni in difesa della salute pubblica, per il rispetto e l’applicazione del principio di precauzione a tutela della salute collettiva e individuale.
Eppure ogni anno sono più di 100 mila i morti d’amianto nel mondo, 15 mila in Europa, più di 4 mila in Italia senza contare tutti morti per gli incidenti sul lavoro. 
Eppure la paventata pandemia da Corona virus mette in movimento tutta una serie di misure economiche e di controllo sociale che i morti da lavoro, da malattie professionali e da più gravi inquinamenti non riescono a fare.
Eppure i pochi decessi che ha causato e sta causando sono nulla rispetto agli ottomila morti per influenza che si registrano ogni anno in Italia, senza parlare dei milioni che muoiono nel mondo.
Eppur si muore, di altre cose più gravi e da me sempre denunciate. Ma la gente ha ritrovato solo adesso la paura enorme di morire, quella atavica, millenaria paura che ha portato all’invenzione delle religioni. Ognuno di noi porta dentro di sé questa paura, ma vive comunque come se la morte non esistesse, con errori alimentari gravi, fumando, bevendo, fregandosene della salute propria e altrui.



Stranamente tutti consapevoli ora della finitezza della nostra esistenza. È bastato questo nuovo virus a rendere incombente un evento ineluttabile che noi rimandiamo a un futuro remoto, a cui non pensiamo. Una ritrovata consapevolezza che si unisce a un’informazione ipertrofica che ci perseguita in ogni momento della giornata, con la radio, con la TV, con i social, che continua a sottacere ben altre minacce ambientali e ben altre malattie, queste sì letali.
È una terribile notizia quella di una nostra possibile fine, ma non sapevamo già prima di essere mortali?
Pensando al noto romanzo La peste, di Albert Camus, mi prefiguro anch’io la catastrofe, il nostro amato paese Italia isolato, come quell’intera città nel racconto, da un cordone sanitario dal resto del mondo, incapace di fermare la pestilenza, diventando il palcoscenico di un esperimento per le passioni di un'umanità al limite tra disgregazione e solidarietà.
Conta ora la capacità di ciascuno di noi di farsi promotore di un cambiamento e di una resistenza, per l’amor proprio, della nostra patria, della nostra intelligenza, a fronte di provvedimenti eccessivi o assurdi. Perché il male presente nel mondo viene quasi sempre dall'ignoranza, e la buona volontà, se non è illuminata, può fare altrettanti danni della malvagità e del menefreghismo.




CENTRO COMUNITARIO PUECHER
BIBLIOTECA CHIESA ROSSA


La copertina del libro

Via Domenico Savio n. 3
Giovedì 5 marzo 2020 ore 18

“La Calabria che non si arrende”

Conversazione con:
Umberto Ursetta
Angelo Gaccione
Basilio Rizzo

Cliccare sulla locandina per ingrandire


mercoledì 26 febbraio 2020

Riviste
NUOVA ANTOLOGIA
di Angelo Gaccione


La copertina dell'ultimo numero

Questa ponderosa e longeva rivista (una delle più longeve e delle più anziane) e che annovera fra i suoi collaboratori nomi di grande prestigio, è in libreria. Ha raggiunto il numero 2292 e i 154 anni di vita. L’attuale scansione trimestrale si deve a Spadolini: un “libridinoso” che, come mi raccontava l’anziano Carlo Bo, faceva a gara con lui sul numero di libri posseduti. Bo ne era sommerso, nella sua casa di Milano; sederti poteva diventare problematico nei suoi ambienti, e quando ti muovevi dovevi stare attento non solo a dove mettevi i piedi, ma a qualunque movimento: sarebbe bastato un niente per far rovinare le pile che ti sovrastavano e ti cingevano da ogni lato. Non ho avuto il privilegio di vedere gli ambienti di Spadolini sommersi di libri, ma me li immagino ancora più stipati e assediati di quelli di Bo. Di lui possiedo un’edizione di Giolitti e i cattolici con una dedica straripante a me giovane universitario, che gli passavo la linea per telefonare durante i suoi soggiorni alla Casalbergo Missori, quando veniva a Milano allora direttore del Corriere della Sera. La Casalbergo era ubicata in via Larga che girava a gomito subito sulla destra della piazza Missori dov’era, ed è tuttora, l’Albergo Cavalieri. In quell’albergo mi guadagnavo da vivere per pagarmi gli studi e provvedere alla mia giovane sposa. Quando me lo vidi arrivare con la busta in mano chiedendo di me, fu una felice sorpresa. Sarà una felice sorpresa, anni più tardi, quando venne a trovarmi lo scrittore toscano Carlo Cassola. Lo avevo contattato perché volevo mettere in piedi una organizzazione che si battesse per il disarmo e la pace, e lui, che era venuto a Milano per incontrare il suo editor alla Rizzoli e a parlare con i responsabili della Terza Pagina del Corriere dove uscivano i suoi virulenti elzeviri contro tutte le guerre, si era presentato in quello stesso albergo dove lavoravo come centralinista, sorprendendo direttore e lavoranti. La Lega per il disarmo nacque da lì a poco, come ho documentato nel volume Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Chissà se Spadolini immaginava una vita così lunga per la sua creatura; questo numero apre con una nota di Gabriele Paolini che lo ricorda assieme a quello che sarà un suo caro amico, il professor Niccolò Rodolico, con cui Spadolini condivideva una vera passione per il poeta Giosuè Carducci. Sono riportate anche alcune lettere che i due storici si scambiarono tra il 1957 e il 1958; sono lettere di reciproca stima e di affettuosa devota vicinanza. Ma numerosi sono gli scritti di grande interesse presenti in questo numero di “Nuova Antologia”: da quello di Paccagnini sui personaggi folli e deviati presenti nelle narrazioni (pag. 126), a quelli di Claudio Giulio Anta sul pacifismo di Einstein (pag. 335), al ricordo di Gianfranco Ravasi su Turoldo. Una gioia per me, perché come sanno i lettori di questo giornale, a Turoldo abbiamo fatto dedicare un giardino qui a Milano. Proprio in quel Largo Corsia dei Servi, a due passi dalla Basilica di San Carlo al Corso, dove aveva a lungo vissuto e predicato.    


Nuova Antologia
Ottobre-Dicembre 2019
Anno 154° n. 2292
Ed. Polistampa, Firenze
Pagg. 398 € 16,50

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Riviste
L’IMMAGINAZIONE
di Angelo Gaccione
 
La copertina dell'ultimo numero

Il numero di gennaio-febbraio 2020 della rivista L’Immaginazione diretta da Anna Grazia D’Oria e edita dall’Editore Manni, è nelle edicole e librerie. È il numero 315 (anno 36°). Il fascicolo, come sempre, è ricco di materiali poetici, narrativi, recensioni, riflessioni. Questa volta voglio segnalarvi quella dello scrittore Andrea Kerbaker (se non conoscete la sua incredibile “Kasa dei libri” qui a Milano, dovete assolutamente rimediare); la trovate alla pagina 32. Prendendo a pretesto il “caso Bacchelli”, parla della miserabile condizione degli autori, dei loro magri o inesistenti guadagni, pur esistendo un “diritto d’autore”. In verità per il 99% di essi bisognerebbe parlare di “autori senza diritti”; così come bisognerebbe parlare di autori senza giornali. Ai guadagni inesistenti (a parte i pochissimi: molti sono già ricchi di famiglia e possono permettersi un mestiere così aleatorio, o vivere dei loro proventi di docenti universitari, consulenti, conferenzieri, e così via) va assommata la completa indifferenza dei quotidiani che si occupano di libri. Ci sono sempre gli stessi nomi sui giornali e dentro le tivù; quasi sempre gli stessi autori e le stesse editrici. A meno che non finite sulla cronaca nera: in quel caso, statene certi, verranno a scandagliare la vostra vita fin nelle pieghe più riposte. Toh, diranno stupiti, questo Gaccione aveva scritto dei racconti decenti introdotti da Consolo e con una pregevole postfazione di Bonura, non male questo “Incendio di Roccabruna”, e non proprio banali i versi di questo “Spore”! Scopriranno che il tempo che avete impiegato nella scrittura l’avete dovuto sottrarre alle mille incombenze della vostra grama vita, che vi è costato sonno, sangue, contrasti in famiglia, pranzi saltati, inimicizie, depressione, dannazione. Altro che diritti d’autore; per molti non c’è neppure il diritto all’esistenza. Restiamo fantasmi immersi in un limbo indecifrabile, dove le pagine che abbiamo scritto per una insopprimibile urgenza biologica o un altrettanto insopprimibile obbligo morale, restano inesorabilmente mute. Di qualunque intelligenza siano state pervase, di qualunque rigore.


L’Immaginazione
Rivista di letteratura
Diretta da Anna Grazia D’Oria
Gennaio-Febbraio 2020
Anno XXXVI n. 315
Ed. Manni
Pagg. 64 € 8,00

TERZA VIA
di Franco Astengo



Mi permetto di ritornare su due concetti che mi è capitato di esprimere in questi giorni di fronte alla situazione creatasi con il propagarsi dell’epidemia. Nello stesso tempo cerco anche di inserirmi nel filone di dibattito aperto dall’articolo di Tommaso Di Francesco (“Il Manifesto”, 26 febbraio: “L’epidemia come sfida e occasione”):

1) Torna a prevalere l’idea del “senso del limite”: quel “senso del limite” che richiede l’esercizio dello spirito critico e della continua ricerca sulla realtà della natura umana.
2Il governo delle cose non può essere demandato alla volontà di potenza di chi detiene il dominio di una tecnologia che punta esclusivamente all’estetica dell’apparire.

Rispetto ai temi di fondo del modello di sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni umane, degli interscambi non esclusivamente legati alla logica del profitto, delle comunicazioni d’informazione e culturali ha ragione chi sostiene che siamo di fronte a una possibile occasione.
Esaurite le forme politiche che hanno segnato il ’900, tra l’idea dell’onnipotenza della tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre all’osso) della “decrescita felice” bisognerà pur individuare un nuovo equilibrio. Per poter pensare di fronteggiare il fenomeno emergente del caos (per altro ben sostenuto dalla solitudine che deriva dall’esercizio degli strumenti di comunicazione di massa) occorrerà allora ripensare ai concetti di “società sobria” ben oltre il semplice criterio della sostenibilità. Non è sufficiente pensare alla”green economy” e ai possibili relativi modelli di vita: serve qualcosa di più ampio e strutturalmente orientato nel suo complesso. Risulterebbe limitato anche un richiamo alla società dei 2/3 di Gorz: analisi che negli anni ’80 rappresentò una sorta di bandiera della socialdemocrazia europea in condizioni ben diverse dalle attuali. La ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i contorni di una “società sobria” avendo come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni”. Servirà studiare per definire un aggiornamento teorico relativo proprio alla realtà delle “fratture” esistenti, sulla base del quale riaggregare primordialmente interessi specifici. Sembrano due le grandi questioni sul tappeto:

1)quella del rapporto tra consumo del pianeta in termini complessivi di suolo e di risorse naturali e la stessa prospettiva di vivibilità del genere umano;
2)quella della capacità cognitiva, in termini globali di formazione, informazione, capacità di trasmissione di notizie e cultura e quindi di educazione globale.


Va posta al centro la prospettiva di una società alternativa a quella fondata su di un’economia dell’arricchimento progressivo.
Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella globalizzazione del consumismo individualistico, la vicenda dell’epidemia ci dimostra che siamo rimasti fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali. Una separatezza mai così marcata, almeno a partire dal Secolo dei Lumi.

Libri
L’ULIVO E IL SUO RESPIRO
di Filippo Ravizza

Massimo Silvotti

L'ultimo libro di Massimo Silvotti, L'Ulivo e il suo respiro, (Puntoacapo Ed.) appare, a lettura ultimata, come un affresco che si avvale della conoscenza approfondita che l'autore possiede, tanto della filosofia occidentale, quanto del pensiero orientale, buddista e induista in particolare.Un ulteriore forte apporto teoretico è assicurato anche dalla appassionata conoscenza che il nostro autore coltiva da sempre per tutte le forme d'arte; in primis la poesia (tra le molte cose Silvotti è anche l'ideatore e fondatore del Piccolo Museo della Poesia di Piacenza, museo piccolo solo di nome e primo e sinora unico luogo museale dedicato ad Euterpe nell'Europa contemporanea) e la pittura. Egli è poeta e artista, autore di saggi critici tanto letterari, quanto d'arte (su Ungaretti, sui codici linguistici poetici, sulla poesia del realismo terminale, autore anche del "Manifesto di Pittura del Realismo Terminale").
Va subito detto come l'approccio preminente in questo libro sia quello filosofico. Silvotti si interroga articolatamente, dispiegando l'analisi attenta  di cospique fonti, attorno ad alcune domande  fondamentali e non avanza risposte se non dopo  avere descritto nella maniera più illuminante possibile  gli innumerevoli caratteri di cui  si compone l'esperienza della felicità. Entriamo ora nel vivo del lavoro di questo autore descrivendo la struttura del libro: esso consta di cinque grandi capitoli: "Natura della felicità" è il primo, dove si approfondiscono i rapporti e le dinamiche  di causa - effetto tra alcune inevitabili  condizioni e situazioni esistenziali e la condizione di presenza o assenza di felicità: il dolore, ad esempio, afflizione che Epicuro considerava totalmente incompatibile con la felicità, mentre Nietzsche lo pensava come accadimento inevitabile da accettare, elemento propulsore di quella reazione vitalistica destinata a costruire la felicità della dispiegata potenza; ma anche il desiderio, l'arte, la libertà, la relazione, la semplicità, la fortuna; tutte evenienze e dimensioni strutturali del concetto di esistenza. La ricerca della felicità non può non essere un cammino su cui si intersecano tutte queste dimensioni, condizioni, caratteristiche che fanno parte dell'esperienza esistenziale di ciascuno di noi. 

Silvotti con Filippo Ravizza

Il secondo capitolo "Felicità e dolore", è dedicato ai rapporti tra la felicità e la dimensione etica (i concetti di rispetto per gli altri e quello di "conflitto necessario"); già Aristotele poneva ad esempio l'amicizia tra le condizioni preliminari necessarie per poter raggiungere l'autorealizzazione di sé che conduce alla felicità perché, osservava,"non si può essere felici da soli". Il terzo capitolo del nostro libro si intitola "Felicità e dimensione politica"; qui si aprono gli intrecci tra io e noi, tra individuo e polis; tutti i rapporti tra la felicità collettiva, comunitaria, e quella singola  degli uomini che vivono dentro alla polis. La felicità nella dimensione politica pone poi subito il problema della libertà, tanto degli individui quanto dei popoli. Massimo Silvotti qui propone il dato valoriale delle differenze ossia la necessità di passare dalla cultura del diverso a quella del differente. La differenza, il rispetto per la differenza, come elemento costitutivo di una libertà che coniughi al proprio interno curiosità per il differente, empatia, ma anche autoconsapevolezza della propria identità collettiva. La parte quarta si occupa di "Felicità e dimensione economica", con tutta la riflessione sul presente, sul contemporaneo, a partire dai rapporti tra individui nella società dell'utilitarismo. La società odierna, quella della globalizzazione finanziaria, porta ad una "globalizzazione delle disuguaglianze" da un lato e dall'altro ad un consumismo esasperato, fine a sé stesso, etero diretto (dalla pubblicità agli algoritmi della rete) dall'imponenza mass/mediologica finalizzata a condizionare in modo sostanziale la libertà di scelta e i gusti delle persone. Al termine dell'opera, la parte quinta, l'ultima, "Cosmologia della felicità" che si conclude con un suggestivo paragrafo dedicato alla "Felicità verticale", quella felicità che una generazione riesce a trasmettere - grazie all'opera d'arte  e alla scrittura - attraverso il tempo (verticale), a generazioni future, ancora di là dal comparire nel mondo. Da questa approfondita descrizione dei caratteri da cui è composta o da cui è costruita l'esperienza della raggiunta felicità scaturisce ora la parte propositiva; a tutte le domande fanno riscontro alcune risposte, le conclusioni e gli esiti di questa ricerca. Silvotti afferma qui la non esistenza di un'etica della felicità perché semmai, chiarisce, è la ricerca che ciascuno intraprende che determina delle conseguenze etiche, non c'è cioè alcun a-priori etico della felicità. Esistono varie dimensioni della felicità, anche se poi, probabilmente essa è una o non è: la felicità quindi non è argomento solo della sfera privata, non riguarda solo l'individuo singolo perché, come diceva già Aristotele, da soli non si può essere felici. 

Silvotti con Guido Oldani

Massimo Silvotti non manca poi di sottolineare come l'economia moderna, "globalizzazione delle disuguaglianze", sia sempre più artefice di un senso di frustrazione e impotenza diffusissimo nel presente. Consci di questo, afferma ancora il nostro autore, pensare la relazione con l'altro come strumento e fine di una ricerca condivisa è ormai indispensabile. Qui l'arte, la cultura, la creatività divengono oggi più che mai vie per la conoscenza di sé, della propria identità individuale e collettiva. Infine, afferma ancora questo autore, è opportuno che la ricerca della felicità trovi, attraverso l'arte e la letteratura, la possibilità di adire ad una "dimensione verticale" della felicità, o della sua ricerca; cioè una dimensione trasmessa "da un tempo storico ad un altro". 
Ci piace poi chiudere queste note, citando Massimo Silvotti a proposito della impossibilità di una felicità insieme all'altro, se non "scambiandosi uguaglianze", "scambiandosi amicizia".


La copertina del libro

Massimo Silvotti
L'ulivo e il suo respiro
Ricerca sulla [della] felicità
Puntoacapo Ed. 2020
Pagg. 15o  € 15,00



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