di
Franco Astengo
Mi permetto di ritornare su due
concetti che mi è capitato di esprimere in questi giorni di fronte alla
situazione creatasi con il propagarsi dell’epidemia. Nello stesso tempo cerco
anche di inserirmi nel filone di dibattito aperto dall’articolo di Tommaso Di
Francesco (“Il Manifesto”, 26 febbraio: “L’epidemia come sfida e occasione”):
1) Torna a prevalere l’idea del
“senso del limite”: quel “senso del limite” che richiede l’esercizio dello
spirito critico e della continua ricerca sulla realtà della natura umana.
2) Il
governo delle cose non può essere demandato alla volontà di potenza di chi
detiene il dominio di una tecnologia che punta esclusivamente all’estetica
dell’apparire.
Rispetto ai temi di fondo
del modello di sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni
umane, degli interscambi non esclusivamente legati alla logica del profitto,
delle comunicazioni d’informazione e culturali ha ragione chi sostiene che
siamo di fronte a una possibile occasione.
Esaurite le forme
politiche che hanno segnato il ’900, tra l’idea dell’onnipotenza della
tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre
all’osso) della “decrescita felice” bisognerà pur individuare un nuovo
equilibrio. Per poter pensare di fronteggiare il fenomeno emergente del caos
(per altro ben sostenuto dalla solitudine che deriva dall’esercizio degli
strumenti di comunicazione di massa) occorrerà allora ripensare ai concetti di
“società sobria” ben oltre il semplice criterio della sostenibilità. Non è
sufficiente pensare alla”green economy” e ai possibili relativi modelli di
vita: serve qualcosa di più ampio e strutturalmente orientato nel suo
complesso. Risulterebbe limitato anche un richiamo alla società dei 2/3 di
Gorz: analisi che negli anni ’80 rappresentò una sorta di bandiera della
socialdemocrazia europea in condizioni ben diverse dalle attuali. La
ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il
passaggio fondamentale per delineare i contorni di una “società sobria” avendo
come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni”. Servirà studiare per
definire un aggiornamento teorico relativo proprio alla realtà delle “fratture”
esistenti, sulla base del quale riaggregare primordialmente interessi
specifici. Sembrano due le grandi questioni sul tappeto:
1)quella
del rapporto tra consumo del pianeta in termini complessivi di suolo e di
risorse naturali e la stessa prospettiva di vivibilità del genere umano;
2)quella
della capacità cognitiva, in termini globali di formazione, informazione,
capacità di trasmissione di notizie e cultura e quindi di educazione globale.
Va posta al centro la prospettiva
di una società alternativa a quella fondata su di un’economia
dell’arricchimento progressivo.
Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui
ci si è ispirati nella globalizzazione del consumismo individualistico, la
vicenda dell’epidemia ci dimostra che siamo rimasti fermi a contemplare ciò che
accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare, come sarebbe
necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali. Una separatezza mai così marcata, almeno a partire dal Secolo
dei Lumi.