TACCUINI
di Angelo Gaccione
Tenersi
alla larga
È difficile, se uno non ne sa nulla, che possa
notare la via Gian Giacomo Mora seminascosta dai cartelli stradali. Figuriamoci
capire che quella altrettanto seminascosta attaccata al muro di un palazzo moderno
lì all’angolo, scolpita da Ruggero Menegon, richiami seppure lontanamente la Colonna infame. Già leggere
il testo della targa commemorativa è difficoltoso di per sé, se poi i teppisti
l’hanno imbrattata, non ne parliamo. La scritta recita così: Qui sorgeva un tempo la casa di
Gian Giacomo Mora, ingiustamente torturato e condannato a morte come untore,
durante la pestilenza del 1630.
Più sotto ci sono le dure parole di Alessandro Manzoni tratte dalla sua Storia della Colonna infame che non assolvono: “È un sollievo il pensare che se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a piacere, e non è una scusa, ma una colpa”.
Una mia amica tutti gli anni in agosto, passa a ripulire la targa e la scritta. Non se ne tiene lontana come ammoniva il Senato cittadino a conclusione del provvedimento con cui fece abbattere la casa di Mora ed erigere la famigerata Colonna. Leggiamolo per intero questo provvedimento inciso su lastra e in lingua latina (ma chi tranne ecclesiastici e letterati conosceva il latino nella Milano del Seicento?).
“Dove si apre questo spiazzo sorgeva un tempo la bottega di barbiere di Gian Giacomo Mora che, con la complicità di Guglielmo Piazza commissario di pubblica sanità e di altri scellerati nell’infuriare più atroce della peste aspergendo di qua e di là unguenti letali procurò atroce fine a molte persone. Entrambi giudicati nemici della patria. Il Senato decretò che issati su un carro e dapprima morsi con tenaglie roventi e amputati della mano destra avessero poi rotte le ossa con la ruota. E intrecciati alla ruota fossero trascorso sei ore, scannati quindi inceneriti e perché nulla restasse d’uomini così delittuosi stabilì la confisca dei beni e ceneri disperse nel fiume. A perenne memoria dei fatti lo stesso Senato comandò che questa casa, officina del delitto venisse rasa al suolo con divieto di mai ricostruirla e che si ergesse una colonna da chiamarsi infame. Gira al largo di qua buon cittadino se non vuoi che da questo triste suolo infame essere contaminato. [1630 alle Calende di agosto]”.
La Colonna sarà abbattuta di notte nell’agosto del 1778;
probabilmente il Senato del tempo ne provava orrore. Per la rimozione di questa
targa infame
bisognerà
invece aspettare il 1803. Ma pare fosse divenuta così sporca e illeggibile che
oramai da tempo nessuno la notava più. Ad ogni modo ora si trova al Castello
Sforzesco sotto il portico
del Cortile della Rocchetta. Non me ne tengo lontano nemmeno io, in verità. La decisione municipale
di dedicare la via proprio a Gian Giacomo Mora a risarcimento della sua memoria
e della sua innocenza, era un atto doveroso. Tardivo, ma è arrivato. Era il 17
dicembre del 1868: Pietro Verri e Alessandro Manzoni avevano seminato bene. Se
ad agosto resterò a Milano darò una mano alla mia amica a ripulire.