BUTTARELLI, ARIOSTO E LA PACEdi Tania Di
Malta
Si è conclusa la mostra di Brunivo Buttarelli a
Palazzo Bargello di Pennabilli (8 giugno - 14 luglio 2024) a cura di Ass. culturale
Pennabilli Antiquariato e Ass. culturale Ultimo Punto. Tredici opere realizzate in un percorso
che si traduce in una narrazione metaforica ispirata all’Orlando Furioso di
Ludovico Ariosto. Attraverso la reinterpretazione del capolavoro letterario,
Buttarelli ci accompagna in un immaginario viaggio di Astolfo a cavallo del suo
ippogrifo, per recuperare il senno perduto di Orlando. Lo fa con il recupero di
materiali di scarto, a cui conferisce funzionalità, forma e senso dell’arte
nella sua espressione più alta e contemporaneamente, lancia un monito, prima di
un’irreparabile catastrofe.
Scrive
Buttarelli: “L’idea quasi ossessiva di
recuperare materiali e oggetti buttati con noncuranza dall'uomo nell’ambiente,
perché considerati ormai inutili e morti, riportarli attraverso il mio lavoro a
nuova vita, come in resurrezione è la mia presuntuosa sfida. Una operazione che
mi ha portato ad associare cromaticamente materiali in sculture dove il colore
blu era stato fino a quel momento, senza una ragione precisa, quasi del tutto
assente. L’idea di inserire questo colore nella mia ricerca operativa in
maniera finalmente più copioso, è nata dalla notizia trasmessa alcuni tempi fa
dai media, che annunciavano il rischio di collisione di una navicella spaziale
in rientro, con un oggetto tra i tanti vagante in orbita terrestre. In quel
momento la mia mente ha cominciato a viaggiare e la libera immaginazione mi ha
portato a volare alto nel cielo, in infiniti e variegati sfondi blu. Da un
piacevole dialogo in un primo incontro con Tania Di Malta e in seguito anche
col prof. Giuseppe Langella, deriva il suggerimento di rivolgermi alla
letteratura e, più precisamente, all’Orlando
Furioso di Ludovico Ariosto. Nasce
così l’opportunità di far germogliare un nuovo ramo al mio albero creativo
rivolto alla letteratura, portandomi a rileggere questo poema, apprezzandone fortemente
la dinamicità e la ricchezza dei personaggi. Ed è per questo che, tra
il trovarmi con la fantasia a volare libero in orbita terrestre, circondato da
silenti frammenti metallici abbandonati, e immaginarmi a cavalcare come un
novello Astolfo il furente ippogrifo, il passo è stato breve.
Volteggiare
leggero a briglie sciolte, a cavallo di questo strano destriero, scendere e
salire zigzagando incuriosito su paesi e città, mi ricorda più che mai un agire
che oggi definiremmo “globalizzante”.
Planando sulla lucente e metallica luna, come l’Ariosto la descrive, sapendola
oggi ormai raggiunta, meta e base di grandiosi programmi futuri, immaginarla
ancora solcata da valloni colmi non più di ampolle di vetro ma di oggetti e
residui metallici abbandonati, nelle cavità dei quali si incuneano ancora i
senni degli uomini. L’Ariosto descrive come l’Arcangelo Michele scovi e scacci,
furiosamente, a terra la Discordia, obbligandola a compiere il suo fato e
raggiungere, il campo saraceno. Ancora oggi serpeggia come sempre, ambiguamente
in ogni luogo tra le genti. E in fine conclude il suo poema col duello tra il
saraceno Rodomonte e il cristiano Ruggero con la vittoria di quest'ultimo.
Conclusione questa troppo vicina alla visione di quel tempo, che rappresenta
oggi, forse, l’unica differenza non proponibile nell’odierna contemporaneità.
Nel pressante ed incalzante clima che attualmente ci circonda, è impossibile
pensare ad una simile conclusione. Ho realizzato quindi due armigeri, entrambi
alti e solenni, spalla contro spalla, testa reclinata in avanti per
sottolineare un duello senza azione, silente e interiore. Due armigeri distinti
da diversi simboli di appartenenza, evidenziati da parti di armature medioevali
assemblate a corpetti ed elementi ortopedici d'oggi, intesi come impietose,
vuote, armature contemporanee. Non cambia mai nulla, il tempo passa e si
perpetua, il dopo assomiglia sempre più al prima, sempre in equilibrio sul filo
del rasoio, col serio rischio di scoprirsi al “limite”, in un punto di non
ritorno, superato il quale ci si potrebbe trovare in un allarmante “The day After”
e oltre ancora il profilarsi immaginario di forme aliene, visioni fantastiche
di un eventuale “vita oltre” e l’impossibile esistenza di una nuova umanità”.
Tredici
opere dunque, proposte in sequenza come se fossero dei fotogrammi, dove si
intuisce quello che non tutti sanno, cioè la grande esperienza dell’ artista nel
campo del restauro e della scenografia. Sono queste esperienze passate le fondamenta
che, unitamente al genio ideativo, gli permettono di interpretare così
felicemente l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Brunivo Buttarelli,
definito l’ultimo trasformatore dei
mondi, in riferimento a: “Tu che esplori intorno e vedi i segni,
saprai dirmi verso quale di questi futuri ci spingono i venti propizi”,
Italo Calvino, da Le città invisibili,
ci porta fino ai confini di Utopia, in un immaginario viaggio di Astolfo, per
recuperare il senno perduto di Orlando in quella metallica luna, dove si
accatasta tutto ciò che l’uomo, incautamente, butta via. L’Ariosto diceva che
l’unica cosa che non abbonda sulla luna è la pazzia, perché quella rimane tutta
sulla terra. Anche Brunivo ci suggerisce la totale perdita della ragione
nell’agire dell’uomo contemporaneo, recuperando in diverse delle tredici opere
lampi di ironia, dove anche La discordia
viene immaginata un po’ donna, un po’ sirena e un po’ pavone, in un sapiente
groviglio di acciaio. Ed è in questo mondo ribaltato che va letta l’intera
opera, dove le cose giuste vengono buttate per l’incapacità di dare loro
significato, mentre a terra rimane il non senso, le cose fine a se stesse,
tutto il corollario della superbia umana; non più nel terreno della narrazione
eroica, quindi, ma nella prospettiva rovesciata che l’Ariosto stesso dava,
quando diceva, di nuovo col sorriso a fior di labbra, che nel poema, l’unico
fornito di giudizio fosse il cavallo. Eppure Brunivo cerca e trova ancora una
volta lo stretto legame fra trasformazione e utopia, dove la metamorfosi tende verso
la rinascita, pur nello spazio angusto in cui ormai l’uomo è prigioniero,
seppellito dagli oggetti che lo inseguono fino alla luna. Ed è nella vocazione di
trasformazione e rinascita che si arricchisce di significati la mostra a
Palazzo Bargello di Pennabilli.
Un
luogo di dolore, che nei secoli passati fu un carcere, che ha nelle sue pareti
segni e testimonianze dei condannati. Le voci popolari di generazione in
generazione, narrano come anticamente davanti al Bargello ci fosse sempre una
testa mozzata, come atto intimidatorio per la popolazione. Segnale estremo di
potere e ammonimento. Ma il Bargello come luogo espositivo ha un valore
aggiunto, un elemento commovente e bello che suggella lo stretto legame
dell’arte all’alternanza fra vita-morte, rinascita-resurrezione: i due busti
ortopedici, fulcro della struttura degli armigeri, sono stati donati da
Manuela, una madre di Pennabilli, in ricordo di Francesco, il figlio conosciuto
e amato da tutta la cittadinanza e morto prematuramente, dopo una lunga
malattia. La complessità e gli interrogativi etico-filosofici, che lancia Lucente luna d’acciaio per senni ed oggetti
perduti, fanno di questa mostra, un potente catalizzatore per tutte le
sfide che ci impone questo secolo: la coscienza umana che riaffiora fra arte,
letteratura, poesia e filosofia.