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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
lunedì 25 novembre 2024
PATRIARCATO
TAGLIANO ALBERI INVECE DI CURARE I MALATI
La Regione Friuli Venezia
Giulia non cura i malati, ma distrugge la pineta di Cattinara.
Trieste.
La sanità triestina ha moltissimi problemi: liste d’attesa lunghissime, tagli alle strutture territoriali - con la chiusura di due
consultori - sfruttamento del personale, approcci medici discutibili,
improntati al dogmatismo più ottuso e nocivo. E l’intera nostra
regione non è da meno: basti vedere che tuttora siamo ai vertici
nazionali per morti (dichiarate) da covid. I dirigenti di Asugi e gli
amministratori della regione sono troppo indaffarati per pensare a come
curare le persone. Si devono occupare di abbattere la pineta di Cattinara per
dare spazio alla speculazione edilizia e deportare il Burlo Garofalo a
Cattinara! Vergogna Poggiana! Vergogna Fedriga! State certi che ci sarà sempre qualcuno che non
vorrà accettare il vostro mondo di cemento, soldi e tracotanza! E tenterà sempre
di mettersi
di ostacolo alla vostra distruzione.
Coordinamento No Green Pass e Oltre
nogreenpasstrieste@riseup.net
ALTA VELOCITÀ NEL VENTRE DI FIRENZE
Soddisfazione di Idra dopo il primo
incontro con l’Osservatorio Ambientale di S. Barbara: presto una visita al
cantiere nella ex miniera.
Prosegue
l’azione di monitoraggio che dal 1998 l’associazione ecologista di volontariato
Idra svolge sul progetto di nodo ferroviario Alta Velocità di Firenze. Questa
volta aggiungendo tasselli di curiosità e di informazione attorno al programma di
smaltimento delle terre da scavare per tredici chilometri dal sottosuolo della
città d’arte e cultura cara al mondo, e ai signori del tondino e dell’acciaio. Dopo
l’appuntamento col sindaco del Comune aretino, Cavriglia, che la Regione
Toscana e i Ministeri competenti hanno chiamato a ospitare 1.350.000 metri cubi
di smarino senza convocarlo alle conferenze di servizi che dal 1999 hanno
provveduto ad approvare, bocciare, correggere e riformulare l’intervento in
corso fra Campo di Marte e Rifredi, Idra ha chiesto e ottenuto con gradita
tempestività un incontro con l’Osservatorio Ambientale istituito il 20 gennaio
2022 per seguire le operazioni di messa a dimora delle terre nella ex miniera
di lignite di Santa Barbara, di proprietà Enel. Lo scorso 7 novembre una
delegazione dell’associazione ha incontrato in rete la presidente dott.ssa
Chiara Pennino, il dott. Roberto
Giangreco rappresentante del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza
Energetica, il dott. Marcello Bessi rappresentante della Regione Toscana e il dott.
Federico Brega del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, con
funzioni di Segretario. Ad accompagnare, per Idra, Marco Mordini e Girolamo
Dell’Olio il dottore forestale Enrico Cenni in qualità di consulente.
È
stato possibile fare alcuni importanti punti fermi su aspetti che l’Osservatorio
ha mostrato di voler sorvegliare con la massima attenzione e intransigenza. In
primo luogo, credibilità progettuale e qualità ambientale del parco a verde
pubblico che dovrebbe risultare dal deposito delle terre del ventre di Firenze,
sia di quelle ricavate ‘in tradizionale’ con escavatori e benne nell’area della
nuova stazione impropriamente denominata Belfiore, sia di quelle estratte con
la fresa TBM (Tunnel Boring Machine) addizionate di tensioattivi. Il primo dato che Idra ha desiderato
verificare riguarda uno dei tanti ‘cambi in corsa’ che l’incerta attuazione del
piano di sotto attraversamento TAV di Firenze sta presentando, dopo aver languito
per 24 anni fra false partenze, nuovi incarichi, inchieste giudiziarie, fallimenti
di imprese e revisioni progettuali: l’annunciata aggiunta di calce alle terre
conferite in miniera ma incapaci di ‘star ritte’ nella collina destinata a
parco per l’eccesso di liquidità che accusano. Netto il responso del dott. Bessi:
“La calce attualmente non esiste, non è prevista nel progetto. Se
intendono introdurla dovranno avviare le procedure necessarie a una modifica al
progetto. Qualche problema di terre probabilmente
eccessivamente liquide c’è, è inutile nasconderlo, ed è ovvio che l’ipotesi di
calce ci sia. Però, qualora dovesse diventare realtà, c’è tutta una serie di
passaggi istituzionali di procedimento che vanno eseguiti, e che però non
competono a noi, ma al Ministero e all’Arpat”.
Altrettanto chiara la posizione del Ministero, espressa dal dott. Giangreco: “Noi ragioniamo per atti. Allo stato, gli atti che sono in nostro possesso dicono che la calce non è prevista. Dal momento in cui vi sarà una richiesta formale di utilizzala, dovrà essere sottoposta alle procedure di verifica e controllo, e alla modifica formale del PUT, il Piano di Utilizzo delle Terre”. Già, perché il PUT aggiornato non più tardi dello scorso marzo con l’introduzione di un nuovo additivo a decomposizione accelerata recita testualmente: “Le indagini eseguite e di cui si da conto in motivazione confermano l’utilizzabilità geotecnica dei materiali provenienti dagli scavi per la realizzazione della Collina Schermo, previa esecuzione in corso d’opera del monitoraggio sotto controllo di ARPAT Toscana, non risultando peraltro necessario il trattamento a calce”.
Una previsione smentita dall’esperienza, se è vero che, come ha chiarito
la presidente Pennino, “attualmente la gestione delle terre si limita al
conferimento e alle analisi per la verifica della conformità alle prescrizioni
ambientali, perché la realizzazione della collina non si è ancora avviata. Ad
oggi, le terre sono stese in orizzontale e arrivano a uno spessore di 80 cm nelle piazzole per la
caratterizzazione. Successivamente vengono collocate in area contigua alle
piazzole”. E il rappresentante della Regione ha precisato: “I viaggi delle
terre verso Cavriglia sono iniziati a febbraio, e
hanno riempito in tutto 34 piazzole, di cui 4 non avevano all’analisi le
caratteristiche corrette (e quindi sono state mandate in discarica a rifiuto),
una è andata a Cava Bruni a Serravalle Pistoiese (dove vengono recapitate le terre
che rispettano solo alcuni dei requisiti per destinazione a parco), e 29 sono
state stese per un totale di circa 100.000 mc. Quindi non stiamo parlando
propriamente nemmeno della base della collina da realizzare: siamo solo all’inizio.
Al momento sono state semplicemente ubicate nell’area della base della
collina in attesa di sistemazione definitiva”.
Se e quando la
richiesta di addizione della calce sarà formalizzata da RFI (circostanza finora
non verificata), al netto della modifica del PUT saranno dunque necessari due
tipi di adeguamento, è stato confermato a Idra: il progetto di collina e
relativa piantagione, come ha opportunamente osservato Enrico Cenni, e il piano
di cantierizzazione, su cui veglierà l’Osservatorio, titolare di questa
specifica competenza.
È vero infatti che - come prevede il decreto ministeriale 161 - le “normali pratiche industriali” ammettono «la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata per conferire ai materiali da scavo le caratteristiche geotecniche necessarie per il loro utilizzo, anche in termini di umidità». Ma è evidente che la destinazione finale di questi materiali non è un piazzale asfaltato o un parcheggio, bensì un parco pubblico in un contesto di riambientalizzazione: occorrerà dunque valutarne attentamente condizioni e modalità realizzative. “Sarà necessario certificarne la coltivabilità – ha osservato Cenni - da parte di alberi ed erbe, tenendo conto della catena trofica che viene a insediarsi. Il controllo, oltre che sull’assenza di inquinanti, dovrà curare quindi la caratterizzazione anche dal punto di vista dell’inserimento nella catena trofica”. In ogni caso, per favorire l’attecchimento vegetale desiderato, “gli ultimi strati di terra - è stato ipotizzato dall’esponente della Regione - non verrebbero trattati a calce”. Non sarà allora un banale dettaglio stabilire lo spessore necessario a questo strato apicale perché - a livello chimico-fisico - risulti accessibile all’apparato radicale delle piante, che crescano in modo adeguato. È fondamentale che lo spessore sia sufficiente allo sviluppo radicale soprattutto degli alberi, che in caso di spessore inadeguato troverebbero una “soletta” compattata dalla calce che ne impedirebbe il normale sviluppo, con conseguenze sulla vigoria vegetativa e sulla stabilità delle alberature. Infine, da Idra, due richieste, un suggerimento e una proposta. Una visita guidata al cantiere di Santa Barbara, promessa sia da Rfi sia dal sindaco di Cavriglia ma mai concretizzatasi, potrà aver luogo a breve, prima delle festività natalizie, in occasione del sopralluogo che l’Osservatorio ha in programma. Idra ha chiesto anche di poter essere tenuta informata sugli sviluppi dell’ipotesi-calce e sugli altri aggiornamenti progettuali.
È stato chiesto al riguardo di poter
conoscere identità e composizione chimica del nuovo additivo adottato dalla fresa
sotto Firenze, di cui anche l’amministrazione comunale di Cavriglia è risultata
essere ignara. Il dott. Cenni si è chiesto inoltre se non esista un altro
sistema di consolidamento delle terre troppo liquide, per esempio a livello di
ingegneria naturalistica: l’Osservatorio potrebbe farsene promotore? Sulla scorta
dell’esperienza maturata in quattordici anni di monitoraggio della cantierizzazione
TAV in Mugello, poi, il presidente di Idra ha suggerito che anche in Valdarno si
organizzi a una giornata di presentazione del progetto e di ascolto e
interlocuzione con la cittadinanza, come quella che l’Osservatori ambientale
per la tratta appenninica TAV presieduto dall’ing. Fabio Trezzini
meritoriamente promosse a Borgo San Lorenzo il 4 novembre del 1999, che
viceversa l’Osservatorio ambientale del nodo di Firenze si rifiuta categoricamente
di accordare nella città bersaglio della pesante cantierizzazione TAV. Infine,
come è ormai prassi dell’associazione dopo gli incontri con rappresentanti
delle istituzioni, è stato chiesto che questo resoconto pubblico fosse
revisionato, integrato e corretto - per la parte riguardante le informazioni fornite
dall’Osservatorio - dalla sua cortese presidente, come è felicemente avvenuto.
Associazione di
volontariato Idra
domenica 24 novembre 2024
CRIMINALI DI GUERRA
di Angelo Gaccione
“Non esistono crimini di guerra, la
guerra è essa stessa un crimine”. Questo aforisma del 19 febbraio del 2024
si trova in un mio libretto dal titolo Schegge, pubblicato da I
Quaderni del Bardo edizioni a giugno di quest’anno. Sempre in questo libretto
ce n’è un altro ancora più perentorio, è del 2022 e recita: “Non ci
interessano le ragioni di una guerra, semplicemente perché la guerra non
ha mai ragione”. L’incriminazione di Netanyhau e di altre canaglie, mi ha
spinto ad andare a vedere che cosa avevo scritto nel pamphlet: Scritti
contro la guerra (Tralerighe Libri editore, 2022). Vediamone un passo: “In
un sussulto di umanitarismo e di indignazione gli ipocriti hanno scoperto che
la guerra è un crimine e vogliono che si processino i criminali. Esiste persino
un Tribunale Internazionale per giudicare i crimini di guerra. Purtroppo
ipocriti e Tribunali sono prigionieri dello stesso difetto: l’ipocrisia, e dunque
si fermano alla superficie, evitano di andare al fondo del problema. Se non
fossero ipocriti dovrebbero esigere che a rispondere per crimini di guerra
fossero tutti i capi di Stato e di Governo che hanno dotato la loro nazione di
eserciti, basi militari, ordigni di sterminio di massa, alleanze foriere di
tensioni. Di aver dilapidato gigantesche risorse del bilancio pubblico per fini
militari creando le premesse della guerra ritenuta un crimine. Per non aver
proceduto a tutelare la vita e i beni dei loro cittadini attraverso una
politica di disarmo, di non violenza, di rapporti pacifici con le altre
nazioni”.
Max Hamlet Sauvage
Mercante di armi - 2024
Mercante di armi - 2024
Non avevo aggiunto, in questo capitolo dal titolo “Ipocriti”, gli
scienziati e i tecnici che progettano ordigni di guerra, i mercanti di armi che
le commerciano, gli operai che le costruiscono, i sindacati e i partiti che
tacciono complici, le banche che finanziano gli investimenti, gli investitori
che comprano le azioni, i Parlamentari che ne autorizzano l’impiego. Non li
avevo aggiunti perché si parla di loro in altri capitoli. Come si parla della
categoria dei giornalisti che la guerra la alimentano in maniera più sfacciata
e impudente dei militari; degli opinionisti che spacciano guerra a pranzo e a
cena dai salotti televisivi, dai giornali, dai mezzi di comunicazione a
disposizione. Se la guerra è un crimine, come sostiene l’aforisma con cui
abbiamo aperto questo scritto, ne discende che tutti coloro che a vario titolo
la provocano, la alimentano, ne fanno l’apologia, sono dei criminali e su di
loro dovrebbe pendere un mandato di cattura della Corte Internazionale. Tutti
costoro sono complici dei crimini che le armi producono in guerra, come lo è la
propaganda che i guerrafondai alimentano. Difficile, dunque, vedere alla sbarra
i responsabili delle categorie che abbiamo fin qui enumerate; difficilissimo
vederne qualcuno penzolare dalla forca o rinchiuso al 41bis. Se lo facessimo
qui da noi, per esempio, non rimarrebbe in piedi nessuna delle istituzioni
della Repubblica e avremmo bisogno di una quantità spaventosa di colonie penali
e di isole dove custodire i condannati; quanto alla stampa, in edicola
trovereste solo “il Fatto Quotidiano” e poco altro.
DEMOCRAZIA E COSCIENZA UMANA
di
Franco Astengo
Un
tentativo di riflessione sul tema “Intelligenza Artificiale e Democrazia”
Dal coacervo di contraddizioni, oggi mai così
complicate, che segnano la presenza umana sul globo terracqueo sta sorgendo un
interrogativo di fondo: la democrazia fa parte della coscienza umana? Alla democrazia sarà
possibile affrontare quei veri e propri incubi che stanno tornando sulla testa
del mondo: il rinnovarsi dello spavento nucleare (apparentemente non più
regolato dall’equilibrio del terrore, in una situazione di vera e proprio “confusione
storica”) e quella che è stata definita intelligenza artificiale attraverso cui
si pensa di spegnere la creatività umana, il senso stesso dell’operare umano
tra teoria e prassi, riducendone l’azione esclusivamente al “problem solving”?
Il
tema è quello del triangolo: sapere scientifico - applicazione tecnica - mezzi
della decisione umana. L’idea dell’esistenza
di altri mondi che tanto ci appassionò all’epoca delle prime imprese spaziali
negli anni ’60 del XX, al tempo della gara tra URSS e USA, si è forse mutata
nell’ipotesi della presenza di un mondo parallelo, qui accanto a noi che
proprio lo sviluppo scientifico avrebbe consentito di realizzare? Un mondo parallelo dal quale potrebbero
scaturire, alla fine, soggetti costruiti artificialmente (almeno secondo la
nostra concezione della procreazione naturale) capaci di marginalizzare se non sostituire
il genere umano proprio sul terreno della creatività, fin qui fondamentale per
proseguire nella scia di quel fenomeno che è stato definito come “sviluppo” di
cui seguendo la “coscienza storica” fa parte l’ideale democratico? Ancora una domanda: sarà forse questa, della
sopravvivenza e/o della sostituzione della specie la nuova frontiere delle
“fratture” da affrontare nel prosieguo della modernità?
Interrogativi che
valgono, a prima vista, quelli che agitarono il mondo della filosofia e delle
scienze al tempo della “prima modernità”, quella segnata dall’idea
dell’universo infinito che portò al rogo Giordano Bruno.
Il bilancio di questa prima modernità è
quello che si indicava prima al riguardo del coacervo complicato delle
contraddizioni: dopo i secoli delle guerre e delle rivoluzioni siamo al secolo
della disuguaglianza planetaria. Ci troviamo, infatti, nella fase
in cui emerge la concretezza di un’impossibilità di estendere a tutto il genere
umano gli (apparenti) benefici del sapere così come questi si sono accomodati,
nel determinare l’agiatezza dell’individuo nella vita quotidiana, in una sola -
ristretta - parte del mondo. Individuo scritto al
maschile non per distrazione o voglia di semplicità ma perché rimangono intere
anche nella parte opulenta del mondo, le insensatezze della presunta
superiorità di genere e dell’altrettanto presunta superiorità razziale. Proseguendo negli interrogativi: quale senso,
allora, possono avere parole come “lavoro vivo” oppure - addirittura -
“sicurezza” in questo contesto? Tanto per citare la denominazione di due temi
che stanno a cuore a gran parte di coloro che abitano la parte “ingiusta” del
pianeta vivendo in quelle che un tempo avevamo definito “società affluenti”.
Interrogativi come
macigni per coloro che intendono proseguire a pensare in termini di uguaglianza,
affidando l’idea di progresso alla materialità del divenire storico. Che risposta può dare la sinistra che si è per lungo tempo identificata
nel “fuoco prometeico” nei “soviet più elettrificazione uguale socialismo”
e nelle “magnifiche sorti e progressive”?
Nei secoli il flusso tra conoscenza e
realizzazione, tra teoria e prassi ha costruito il mondo nel quale viviamo e
che, noi abbiamo giudicato comunque sempre migliore rispetto a quello
precedente: in fondo nessuno si è mai accontentato dell’affermazione di Candide
sul “migliore dei mondi possibili”.
Oggi, forse, su
questo punto siamo almeno all’antivigilia di una svolta epocale.
Come ricordano
Bernabè e Gaggi (Profeti, Oligarchi e Spie) tra i temi più delicati c’è,
ovviamente, l’impatto che la tecnologia ha sul sistema politico e sulla stessa
dinamica democratica: questa trasformazione si coglie con sempre e maggiore
evidenza nel passaggio da una dimensione collettiva dei fenomeni sociali alla
fase dell’individualismo competitivo.
Si dovrà sicuramente
affrontare il tema della struttura delle rivoluzioni scientifiche, quella
nozione “centrale” che Kuhn ha individuato nel paradigma inteso come
costellazione di credenze, tecniche, criteri, e indicazioni metodologiche
condivisi dalla comunità degli scienziati e dei ricercatori che oggi, come ha
scritto Jerry Kaplan (Le persone non servono. Lavoro e ricchezza
nell’epoca dell’intelligenza artificiale a suo tempo pubblicato dalla
Luiss) è chiamata a rendersi conto che “i saperi necessari cambiano troppo in
fretta” e diventa sempre più difficile inseguirne il senso.
È il caso dunque di fermarci? Il senso del limite potrà essere oggetto di
concreta riflessione?
Apparirà un orizzonte
di “socialismo della finitudine” con
gran parte del mondo che vive in condizioni neppure immaginabili da parte di
chi invece, vive nella realtà dell’individualismo consumista e sta ormai
completamente immerso nella sfera del tecnologico che supera l’umano?
Seicento milioni di
africani non usufruiscono dell’energia elettrica: tanto per esemplificare una
delle tante diversità.
All’ordine del giorno della riflessione della
sinistra che combatte la disuguaglianza (e non rinuncia all’idea di abolirla:
cioè all’idea del comunismo) forse ci si può ancora riferire a Noam Chomsky e alle
sue Tre lezioni sull’uomo nel cui testo il grande filologo ha cercato di
fare il punto sul linguaggio, la coscienza, la fisiologia, la biologia e la
teoria politica, senza trascurare neppure la fisica e la chimica.
Al centro del
pensiero di Chomsky l’idea, ripresa soprattutto dai grandi del ’600 - ’700
Newton, Locke, Hume e ancor prima da Galileo che la natura abbia costituito
l’intelletto umano con limiti intrinseci alle capacità conoscitive, limiti che
non potranno essere valicati e che di fatto quei pensatori riconobbero e che,
fin qui, effettivamente non sono mai stati varcati (in questo modo potrebbe
porsi il tema dell'uguaglianza e della proprietà da materiale a virtuale).
Compare così il grande tema che molti stanno sollevando nell’oggi del rapporto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, quel tema che Federico Faggin riassume nel suo Irriducibile: “La coscienza umana è fondamentale, quindi irriducibile perché esiste prima della materia”.
“SE IO NON VOGLIO TU NON
PUOI”
di Vittorio Melandri
Giuseppe Valditara (Lega)
Lanciata dall’associazione “Una
nessuna centomila”, è ancora quanto mai necessaria una così bella campagna,
anche se sono già passati quasi vent’anni da quando, nel 2007, la Suprema Corte
di Cassazione ha deliberato, con sentenza n. 35408 che non esiste “diritto”
all’amplesso neppure all’interno di un rapporto “di coppia coniugale o para-coniugale”,
né, di conseguenza, “il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale”.
E sempre a proposito di patriarcato giusto un anno fa Michele Serra in un
articolo che aveva per titolo “La sfida per noi maschi”, centrava di par
suo il problema: “(…) il patriarcato è una forma storica di rapporto
familiare, riproduttivo, sociale, fondato sulla proprietà maschile del corpo
femminile, (...) vale la pena combatterlo - così come la discriminazione di
classe, o la predazione ingorda delle risorse naturali”. La sfida, che la
raccogliamo o no, è ancora tutta dinnanzi a noi. Ma per raccoglierla, tanto più
non possiamo permetterci illusioni, la figura del “maschio dominante”, per
quanti gradi di mutamento abbiamo introdotto, è ancora il cardine attorno al
quale tutto ruota, in primis discriminazione di classe e predazione di risorse
naturali, a cominciare da quella risorsa primaria che è l’intelligenza umana.
Non possiamo permetterci di sederci illusi sui risultati sin qui
ottenuti. A differenza del teschio deformato ai piedi degli ambasciatori
nel dipinto di Holbein, che l’anamorfosi deforma per nasconderlo alla vista,
noi al contrario trasformiamo con lo stesso procedimento a rovescio, dei passi
avanti timidi e parziali e deformati quali sono, in confortanti mutamenti, e
arrivando ad abusare, oltre che del corpo delle donne, anche della
sineddoche, forma che consente di identificare una parte per il tutto,
proponiamo nel nostro linguaggio il presente, come fosse un solido piedistallo
su cui appoggiare le nostre speranze future. Ma così la sfida diventa un gioco
dell’oca, in cui capita anche che un Ministro della Istruzione sempre meno
pubblica, consideri il patriarcato come un reperto fossile, e si torni
tristemente al punto di partenza.
Giuseppe Valditara (Lega) |
sabato 23 novembre 2024
NEGAZIONISMO PATRIARCALE
di Gabriella Galzio
Con il suo ultimo saggio La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) il nostro Cacciari si guadagna la palma del “negazionismo patriarcale”! Cacciari è lo stesso che ha affermato che il patriarcato, senza darne metodologicamente uno straccio di definizione, è finito duecento anni fa. Ora il Nostro non è né un antropologo, né un sociologo, né uno storico delle civiltà o delle religioni, ma solo un filosofo, e ciò dovrebbe indurlo alla cautela, ma poiché si erge a tuttologo, spazia il lungo e in largo senza alcuna metodologia come vorrebbero le scienze sociali. Per questo, sempre su “Odissea”, ebbi modo, a partire dai criteri di definizione di matriarcato, di proporre una definizione di patriarcato, peraltro con l’avallo di Heide Goettner-Abendroth, la studiosa tedesca che nella seconda metà del Novecento ha istituito i Moderni Studi Matriarcali (con buona pace di chi ancora si attarda sugli studi, ma anche sui pregiudizi, di Bachofen e della vecchia scuola). Ciò che allora, però, non mi era ancora chiaro, è che ci troviamo di fronte a un emergente fenomeno trasversale di “negazionismo patriarcale”, dal recentissimo cd. ministro Valditara (“il patriarcato è finito cinquant’anni fa, ora ci sono solo residui di maschilismo”), a Diego Fusaro che lo precede (“Il patriarcato è finito cinquanta anni fa”), a Marco Travaglio a cui evidentemente Valditara si è ispirato (“Non vedo patriarcato, ma maschilismo”), ad Antonella Viola (“Non sono nata in una famiglia patriarcale”), alla faccia della patrilinearità, in base al diritto di famiglia dell’epoca in cui è nata, fino al nostro Cacciari (“Il patriarcato è finito duecento anni fa”). Ora, questa trasversalità del negazionismo è il sintomo che siamo in presenza di una trasformazione in atto profonda, che mette in discussione alle fondamenta la nostra civiltà patriarcale. E non bisogna arrivare allo stupro della propria figlia (Giulia Cecchettin) per svegliarsi finalmente a questo processo di trasformazione che rivendica una sacrosanta uguaglianza tra i generi e, più in generale, un’uscita dai rapporti di dominio, perché è il dominio la quintessenza del patriarcato, che l’uomo esercita anche sull’uomo, non dimentichiamolo (sfruttato sul lavoro, carne da macello in guerra). Oggi che siamo in procinto di manifestare contro la violenza sulle donne (irriducibile a una sola giornata), auspico che le donne, sempre più numerose e salde, contrastino, non solo i femminicidi a livello fisico, ma anche i negazionismi a livello culturale, perché fanno parte della stessa reazione irrazionale e inconscia all’emergente cambio di paradigma.
E veniamo a Cacciari, perché assegnargli la palma del negazionismo
patriarcale? Perché osa dove arrivano le “aquile” (mi si perdoni l’ironia),
ovvero osa arrampicarsi al sostrato psico-antropologico delle religioni, e
scusate se è poco; ma proprio per questo, non si può più tacere. Ma cosa dice
Cacciari in un’intervista che rilascia a proposito del suo libro? Egli afferma
che la rimozione della figura di Maria abbia prodotto “il fatto che, nonostante
questa figura della donna simbolo di amore gratuito, di perfetta misericordia,
noi oggi viviamo in una società lontana mille miglia da ogni idea di dono e di
perdono. Viviamo in un mondo che ha dimenticato completamente la
compassione…” (www.alzogliocchialcielo.com Massimo
Cacciari "La figura di Maria non è mai stata al centro del mondo europeo e
cristiano") Ma va?... e di che si “stupefa” il nostro negazionista patriarcale? Che
prima detronizzano la sacra femminile Diana efesina (concilio di Efeso, 431)… e
sulle sue ceneri “residuano” la depotenziata, non più sacra, madonna cristiana,
reductio ad maternum? Ora di che si meraviglia se quei sacri valori femminili
(Afrodite Elemoon, la misericordiosa, ben prima della madonna cristiana) sono
stati depotenziati, emarginati, e ora languono, pallidi fuochi fatui ai margini
dei campi di guerra e di sterminio. Lo dobbiamo proprio ai padri della chiesa e
della teologia cristiana, che sono uno dei cardini (quello spirituale) del
patriarcato tutt'ora imperante, checché ne dica il Nostro, il quale, senza uno
straccio di definizione di patriarcato, dice che è finito duecento anni fa! Ora
questo mucchio di scempiaggini può dirle l'uomo della strada, ma non un
Cacciari che intasa i talk e occupa la grande editoria come Il Mulino (che
peraltro non ci fa una bella figura). Sono consapevole che combatto ad armi
impari - non avendo accesso né ai media, né alla grande editoria, né alle
istituzioni accademiche - ma se avesse letto il mio ben più cauto Ritorno
alla Dea (Agorà & Co), che queste ardenti questioni di civiltà le ha
espresse in forma saggistica e in poesia, non dico che avrebbe fatto da “ponte”
(anziché da “pontiere” di un pensiero egemonico patriarcale) ma avrebbe
cominciato a confrontarsi con “l’Altro” e con “l’Altrove”, un pensiero
autentico origina nello stupore, quello vero...
venerdì 22 novembre 2024
UMANOIDI
di Angelo Gaccione
Un po’ di
tempo fa volli fare un esperimento: andare a piedi da Porta Romana a Porta
Venezia e constatare quante parole avrei scambiato nel corso di questo
tragitto. Si tratta di un tragitto non breve, ma io sono abituato a camminare e
ad esplorare la città e dunque, non mi ero affatto perso d’animo. Naturalmente
non ebbi modo di scambiare una sola parola e nemmeno il più semplice dei
saluti, come accade agli abitanti di città molto grandi come Milano. Di
ritorno, anche per riposarmi un attimo, entrai in una gelateria e ordinai un
cono; fu il solo modo per scambiare qualche frase con il giovane gelatiere.
Ovviamente nella mia città di nascita non sarebbe mai accaduto; per quanto la
desertificazione migratoria degli ultimi decenni l’abbia svuotata, in un
percorso di pari lunghezza sarebbe stato impossibile non incontrare un
significativo numero di persone conosciute con cui parlare e scambiare almeno
un breve saluto. Di recente a Milano, in una fiera dedicata all’intelligenza
artificiale, è stato presentato un umanoide in grado di sostenere una
conversazione. I commenti erano entusiasti: presto gli anziani e gli ammalati
si sentiranno meno soli ed emarginati, grazie alla loro compagnia. Ignoro il
costo di questi robot dotati di parola, ma a me l’idea ha messo tristezza. Gli
esperti comunque dicono che ci abitueremo tutti, nei tempi a venire, alla
presenza in casa di un umanoide composto di pezzi meccanici, schede magnetiche,
sensori e quant’altro. Sarà il suo braccio metallico a farci una carezza se
saremo tristi, a portarci un bicchiere d’acqua se avremo sete, e sarà la sua
voce, sempre più perfettamente simile alla nostra, a darci il buongiorno.
Trentacinque anni fa, e precisamente nel novembre del 1989, scrissi un
brevissimo testo teatrale in cui non viene pronunciata una sola parola dal
protagonista. Nessuna parola umana fa eco in quella casa, come se le parole
fossero state abolite. Si odono solo voci, suoni e rumori emessi dagli oggetti
tecnologici di cui ci siamo circondati, e che possiamo considerare come delle
“protesi” non del tutto virtuali del nostro tempo. I gesti sono ancora presenti
in quella pièce, alcuni per lo meno, ma si trattava, come ho detto, di un tempo
lontano.
Oggi le luci si accendono al nostro passaggio senza dover girare alcun
interruttore e si spengono senza dover pigiare un pulsante; basta un clic per
aprire e chiudere la portiera di un’auto; la nostra voce per farci dire dalla
radio che ora è o attivare un apparecchio; le nostre impronte digitali per
programmare l’accensione del riscaldamento o innaffiare le piante del salotto a
distanza. Il più semplice dei robot sa pulire i pavimenti e raccontarci una
fiaba. L’androide sociale Sophia, creato da una compagnia di Hong Kong, può essere intervistato e darvi
risposte coerenti e grammaticalmente corrette come una persona di buona
cultura. Mentre di recente la startup Oversonic Robotics ha creato Robee, il primo androide
cognitivo prodotto in Italia, in grado non solo di fare tutti i lavori più
pesanti, noiosi e pericolosi, ma come accennavo più sopra, addirittura di dialogare
con noi. In verità i computer già da tempo dialogano fra loro da un capo
all’altro del mondo. Si confrontano preziosamente sul piano medico salvando
vite, ma purtroppo anche su quello militare guidando missili che portano morte,
armi di sterminio che potrebbero farci saltare tutti in aria per un banale
errore di valutazione. La mano è sempre dell’uomo, anche quella che programma gli
androidi perché provino empatia e si commuovano con finte lacrime, come certe
bamboline che regaliamo ai nostri bimbi. Io preferisco quelle vere che nascono
dalla carne, dal sangue, dall’orrore. E preferisco un brandello di dialogo con
un essere vivo che ha conservato un’anima, non con un ibrido che non potrà mai
averne una.
LA DOTTRINA NUCLEARE
di
Alessandro Pascolini
- Università di Padova
Aggiornamenti
russo e americano sull’impiego delle armi nucleari
Il
19 novembre scorso il presidente Vladimir Putin ha firmato il decreto esecutivo
che approva i principi fondamentali della politica statale della Federazione
Russa sulla deterrenza nucleare, anticipati in parte nella sua dichiarazione
del 25 settembre scorso nella sessione aperta del Consiglio di sicurezza russo.
Quattro giorni prima (15 novembre), il Segretario alla Difesa americano ha
presentato al Congresso la parte non classificata del Rapporto 491 che descrive
la strategia di impiego nucleare degli Stati Uniti, definita dal presidente Joe
Biden all'inizio di quest'anno.
In
entrambi i casi, le informazioni rese pubbliche sono completate dalle norme
segrete per l'attuazione operativa delle linee guida da parte delle forze
armate dei rispettivi paesi.
Le
modifiche alla dottrina nucleare russa
La
dottrina russa per l'uso delle armi nucleari ha subito diverse evoluzioni negli
ultimi 15 anni. Le modifiche apportate nel 2010 e nel 2020 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/putin-svela-politica-nucleare-russa)
apparivano essenzialmente consistenti con la definizione classica di impiego
deterrente. Il documento del 2010 riservava il diritto di utilizzare le armi
nucleari in due circostanze: “l'utilizzo di armi nucleari o di altri tipi di
armi di distruzione di massa contro [la Russia] e (o) i suoi alleati” e “in
caso di aggressione contro la Federazione Russa che comporti l’uso di armi
convenzionali, quando l'esistenza stessa dello Stato è minacciata”. Le
modifiche del 2020 introdussero nuove motivazioni: la ricezione di “dati
affidabili su un lancio di missili balistici che attaccano il territorio della
Federazione Russa e/o dei suoi alleati”, e un attacco (presumibilmente con armi
convenzionali) contro “siti governativi o militari critici, la cui interruzione
comprometterebbe le azioni di risposta della forza nucleare”. Mentre la seconda
motivazione non sorprende, data la cruciale importanza della capacità di
reazione nucleare, la prima indica una strategia di lancio su allarme (launch
on warning LOW): si reagisce con i missili di ritorsione
appena i sistemi di allarme precoce individuano un attacco e mentre le testate
dell’aggressore sono in volo e non hanno ancora raggiunto i loro obiettivi. Il LOW
comporta un rischio significativo di innescare inavvertitamente una guerra
nucleare a causa di guasti dei satelliti di allerta e dei radar a terra, di un
lancio non autorizzato, di un’interpretazione errata delle azioni o delle
intenzioni della controparte. Ora, il decreto del 19 novembre esplicitamente dichiara non
più in forza le disposizioni del 2020, e si definisce come “documento di
pianificazione strategica nell'ambito della garanzia della difesa nazionale che
riflette le opinioni ufficiali sull’essenza della deterrenza nucleare,
identifica i rischi militari e le minacce militari da neutralizzare con la
deterrenza nucleare, delinea i principi della deterrenza nucleare e specifica
le condizioni che possono portare la Federazione Russa all'uso di armi nucleari”.
Il quadro normativo di questi principi fondamentali “comprende i principi e le
norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti, i trattati
internazionali della Federazione Russa, e altri atti e documenti legali che
regolano le questioni di difesa e sicurezza”. Poiché il documento non esplicita
i contenuti dei principi, per conoscere le novità rispetto alla dottrina
corrente si deve ricorrere alla dichiarazione del 25 settembre, nella quale
emergono tre punti significativi.
Il primo punto appare legato alla presente fase della guerra in Ucraina: “l'aggressione alla Russia da parte di qualsiasi stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di uno stato nucleare” sarebbe considerato come un “attacco congiunto” alla Russia. Putin mira così a coinvolgere direttamente i tre stati della NATO con di armi nucleari nelle operazioni convenzionali dell'Ucraina, con il probabile obiettivo di dividere gli alleati europei. In secondo luogo, la Russia prenderebbe in considerazione l’uso di armi nucleari in caso di “ricezione di informazioni affidabili su un lancio massiccio di armi di attacco aereo e spaziale e sul loro attraversamento del nostro confine di stato”, per includere un attacco da parte di “aerei strategici e tattici, missili da crociera, droni, aerei ipersonici e di altro tipo”. Viene così enormemente ampliata la strategia LOW per includere l’attacco massiccio di qualsiasi velivolo armato. Agli osservatori occidentali sembra difficile che anche un tale attacco convenzionale possa innescare l’impiego di armi nucleari da parte della Russia. Infine la Russia si riserva “il diritto di usare le armi nucleari in caso di aggressione contro la Russia e la Bielorussia in quanto membro dello Stato dell’Unione [Russia-Bielorussia]”, compreso un attacco in cui l’avversario “usando armi convenzionali, crea una minaccia critica alla nostra sovranità”.
Il linguaggio copre esplicitamente la Bielorussia (già inclusa fra gli alleati dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva CSTO), segnale emblematico di una relazione strategica sempre più stretta tra Mosca e Minsk, già espressa dall’installazione di armi nucleari russe in Bielorussia. Soprattutto, cambia il criterio per stabilire quando la Russia potrebbe usare le armi nucleari: da un attacco convenzionale che mette “in pericolo l’esistenza della Russia” si passa a uno che “pone una minaccia critica alla sovranità russa” (o bielorussa). Questa formulazione è volutamente ambigua (cosa costituirebbe una minaccia critica alla “sovranità” russa?) e suggerisce un abbassamento della soglia nucleare della Russia, lasciando ampia libertà di manovra al Presidente della Federazione Russa, unico a svolgere “la guida generale della politica statale nell'area della deterrenza nucleare, a seconda dei fattori esterni e interni che influenzano l'attuazione della difesa”.
Le
modifiche alla dottrina nucleare americana
Il
Rapporto 491 (Guida) descrive i cambiamenti rispetto alle precedenti linee
guida sull'utilizzo delle armi nucleari da parte del Presidente americano, che
rimane la sola autorità a dirigere l'impiego nucleare, tenendo conto delle
nuove sfide alla deterrenza poste dalla crescita, modernizzazione e diversificazione
degli arsenali nucleari dei potenziali avversari, rispetto alla Nuclear Posture
Review (NPR) del 2022 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/nuclear-posture-review-biden). Oltre
alle sfide nucleari di Russia, Cina, Corea del Nord e i programmi dell’Iran,
già considerate nella NPR, si sottolinea la crescente collaborazione e
collusione tra questi paesi, che comporta la possibilità di un'aggressione
coordinata o opportunistica da parte di una combinazione di avversari, il che
richiede agli strateghi statunitensi di pensare attentamente alle complesse
dinamiche di escalation e alla dissuasione di più avversari simultaneamente, anche
in caso di crisi o conflitti prolungati. La Guida impone di
pianificare la dissuasione simultanea di più avversari dotati di armi nucleari;
richiede l’integrazione di capacità non nucleari, laddove possibile, per
sostenere la missione di deterrenza nucleare; sottolinea l’importanza della
gestione dell’escalation nella pianificazione della reazione a un attacco
nucleare limitato o a un attacco strategico non nucleare con gravi conseguenze;
e sollecita una consultazione, un coordinamento e una pianificazione combinata
con alleati e partner per rafforzare la deterrenza estesa.
Si
ribadisce che il solo ruolo delle armi nucleari nella strategia degli Stati
Uniti è quello di dissuadere attacchi strategici, assicurare gli alleati e i
partner e consentire il raggiungimento degli obiettivi nazionali in circostanze
estreme qualora la deterrenza fallisca.
Gli
Stati Uniti prenderebbero quindi in considerazione l’uso di armi nucleari solo
in “circostanze estreme” per difendere gli interessi vitali degli Stati Uniti o
dei loro alleati e partner. La Guida non definisce quali siano le ‘circostanze
estreme’, lasciando un ampio grado di ambiguità.
Gli
Stati Uniti non useranno o minacceranno di usare armi nucleari contro stati non
dotati di armi nucleari che sono parte del Trattato di non proliferazione
nucleare e ne “rispettino gli obblighi” (ovviamente a insindacabile giudizio
americano). Per tutti gli altri stati, “rimane una ristretta gamma di
contingenze in cui le armi nucleari statunitensi possono ancora svolgere un
ruolo di deterrenza nei confronti di attacchi con effetto strategico contro gli
Stati Uniti o i loro alleati e partner”.
Tiziano Rovelli Guerra |
La Guida prevede che il Dipartimento della Difesa conduca una pianificazione nucleare sia deliberata che adattiva. I piani nucleari deliberati sono concepiti per scoraggiare determinati avversari dotati di armi nucleari. Tutti i piani di impiego nucleare deliberato devono contenere la flessibilità necessaria per adattare ogni risposta alle circostanze uniche di qualsiasi crisi nucleare. La pianificazione nucleare adattiva verrebbe attuata secondo le necessità di una crisi o di un conflitto per adattare le operazioni di deterrenza e le opzioni di impiego in base alle circostanze emergenti dalla contingenza, facilitando in particolare l’integrazione con la pianificazione non nucleare.
Venendo ai livelli delle forze militari, la Guida ribadisce la necessità di mantenere e modernizzare la triade delle forze (missili intercontinentali con base a terra e su sommergibili in allerta continua e bombardieri strategici a vari livelli di allerta) e della flotta di caccia a doppia capacità (nucleare o convenzionale). Si assicura che tutti i sistemi nucleari statunitensi sono soggetti a molteplici livelli di controllo e che in ogni caso, gli Stati Uniti manterranno una persona fisica nel processo informativo ed esecutivo delle decisioni del Presidente di avviare e terminare l’impiego di armi nucleari. Infine, viene riconosciuto che “il controllo degli armamenti svolge un ruolo indispensabile per preservare la stabilità, aumentare la prevedibilità, scoraggiare l'aggressione e l’escalation, ridurre le conseguenze in caso di fallimento della deterrenza e mitigare il rischio di corsa agli armamenti nucleari e di guerra nucleare”. Tuttavia, “i negoziati futuri degli Stati Uniti saranno soggetti a limiti influenzati dalle azioni e dalle traiettorie di altri attori dotati di armi nucleari”.
Chiaramente,
non bisogna confondere questi documenti politici con la rivelazione di piani o
con la divulgazione delle sfumature della strategia nucleare russa o americana.
Le politiche dichiarative vanno prese per gli artificiosi avvertimenti che
sono. In ogni caso, la gravissima e conseguenziale decisione di usare le armi
nucleari dipenderebbe molto di più dal leader e dalle circostanze specifiche
del momento piuttosto che da una politica dichiarata. Di fatto dai documenti
emerge un’ampia discrezionalità d’impiego garantita ai due presidenti. Quello
che appare evidente è la centralità delle armi nucleari dei due paesi nella
loro politica di sicurezza e relazioni internazionali. Mentre gran parte dei
paesi non nucleari e della società civile da anni chiede alle potenze nucleari
di ridurre il peso di tali armi nella loro politica, qui tale ruolo appare
addirittura aumentato in modo determinante in una proiezione temporale
illimitata. Nel documento russo vi è solo un riferimento indiretto al controllo
degli armamenti e quello americano pone ‘limiti’ a possibili negoziati; lo stesso
termine ‘disarmo’ è assolutamente assente, neppure come strumento di retorica
propagandistica. Il punto immediatamente più preoccupante è l’intenzione
americana di adeguare le proprie forze nucleari al contrasto di azioni
congiunte delle potenze nucleari ‘ostili’; varie personalità politiche,
militari e accademiche sostengono che l'attuale armamento non è sufficiente e
una sua espansione si rende necessaria. L’autorevole bipartitica Congressional Commission on the
Strategic Posture of the United States nell'ottobre 2023 ha dichiarato
esplicitamente che “la posizione attuale degli
Stati Uniti non è preparata per le sfide potenzialmente esistenziali del
2027–2035 e oltre, e per affrontare queste nuove minacce, gli Stati Uniti
devono cambiare rotta con urgenza e determinazione”.
Di fatto, il 4
ottobre scorso il laboratorio nazionale di Los Alamos ha prodotto, dopo decenni, una
prima carica fissile (pit) di plutonio certificata per impiego nella nuova testata nucleare W87-1 e in Russia e USA si stanno ripristinando le strutture necessarie per “eventuali” nuovi test
esplosivi. Dobbiamo chiaramente preparaci per una nuova
spirale della corsa agli armamenti nucleari, sia qualitativa che quantitativa,
in assenza di qualsiasi prospettiva di ogni forma di controllo degli armamenti.
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