UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 6 marzo 2025

L’ITALIA NEUTRALE
di Luigi Mazzella
 

La guerra è nemica della cultura e i criminali sono i governanti


La scelta dei luoghi che dovrebbero costituire i “siti del cosiddetto Patrimonio dell’Umanità”, culturale e artistico ma anche naturale e paesaggistico, non può essere affidata, con buona evidenza, al solo Occidente e peggio ancora ai rappresentanti di una cultura eurocentrica, quale si desume che sia quella dominante nell’UNESCO. Oltre tutto porre sullo stesso piano di distruttività, come fa quell’organismo, i conflitti armati (che derivano dalla stupidità e malvagità umana) e le condizioni climatiche (legate a fattori cosmici) è piuttosto sconcertante. Ciò d’altronde non esclude che i dati fin qui elaborati possano risultare confermati in una più ampia e diversa sede internazionale ove siano presenti non solo funzionari pubblici europei ma anche operatori privati nel settore del turismo mondiale. Anche sul problema dell’individuazione dei siti più pregevoli e importanti da sottrarre al pericolo di distruzione, le idee correnti in Occidente sono ritenute, a livello mondiale, piuttosto confuse e non sfuggono a critiche anche serrate. Per ciò che riguarda l’Italia, la cui primazia nel globo sembra essere universalmente riconosciuta (non solo quindi dall’UNESCO) sia per le bellezze artistiche sia per quelle naturali, ritengo che sia proprio la legislazione nazionale a essere carentesotto il profilo della prevenzione dei pericoli di distruzione la cui gravità maggiore è data, senza ricorrere a inutili ipocrisie, dai conflitti armati.  
Ergo: la prima, evidente responsabilità è quella dei rappresentanti del popolo in Parlamento e dei Governanti che non rendono la protezione adeguata a difendere un “bene” collettivo di inestimabile valore. Per preservare un patrimonio di tale ricchezza culturale e paesaggistica la neutralità del Paese in qualsiasi tipo di guerra che non sia chiaramente e indiscutibilmente difensiva è una priorità necessaria e ineludibile che non può essere ancora ignorata a lungo. Ed è l’unica via possibile dopo che, cervelloticamente, non si è voluto tenere nel debito conto l’argomentazione secondo cui la NATO, traendo la sua ragion d’essere politica dalla necessità di difendersi dall’eventuale aggressione dei Paesi del Patto di Varsavia, avrebbe dovuto sciogliersi con il crollo dell’Unione Sovietica e con la conseguente caduta e fine del Patto. Pur essendo fondata su una logica rigorosa sul piano consequenziale la tesi è stata del tutto disattesa dall’Occidente, patria dell’irrazionalità più assoluta.
Domanda: Che fare? In primis, partire dalla constatazione che l’articolo 11 della Costituzione è solo un inganno perpetrato a danno degli Italiani con l’uso della roboante espressione terminologica “ripudio della guerra”. Si tratta di uno specchietto per allodole con l’insidia nascosta nei “distinguo” criptici (se non subdolamente mascherati) dello stesso articolo. Come poi è stato, invece, molto chiaramente enunciato nell’articolo 117 della stessa Carta fondamentale nella versione in vigore dal 2014 in poi. E ciò imponendo il rispetto oltre che della Costituzione (peraltro, ovvio) dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. È qui che casca l’asino e la guerra “ripudiata” nell’articolo 11 ritorna nell’italica alcova con l’articolo dell’art.117 della stessa Costituzione. Naturalmente la filiale italiana del Partito Democratico Transnazionale dei Biden e degli Obama, per bocca della Schlein (che pure, da mezza svizzera dovrebbe conoscere i vantaggi della neutralità), farebbe fuoco e fiamme. I “Democratici” mondiali (uniti dalla CIA e dai servizi deviati) non vogliono allontanare l’Occidente da quel cupio dissolvi che consegue all’irrazionalità della sua forma mentis e al suo legame alla “cultura di guerra” (e di morte) uscita sconfitta dalle urne elettorali americane. Fortunatamente, la vittoria di Trump ha cambiato le carte in tavola ed una neutralità italiana potrebbe anche garantire al Bel Paese di non finire nella sacrosanta lista dei reprobi guerrafondai!

 

LA GUERRA È CONTRO I LAVORATORI
 

La faccia della guerra

Disertare la manifestazione truffaldina indetta dal quotidiano guerrafondaio la Repubblica!  
 
È prevista per sabato 15 marzo una "piazza per l'Europa" lanciata da la Repubblica, quotidiano controllato dalla famiglia Elkann che a sua volta partecipa nel settore militare attraverso Iveco Defence Vehicle. Avviene proprio in un momento storico come questo, nel quale la UE spinge, contro qualsiasi logica di buon senso e contro l'inizio di una trattativa di pace, per una guerra ad oltranza con sangue ucraino, una politica di inasprimento delle sanzioni contro la Russia e dove in queste ore Ursula Von Der Leyen ha dichiarato l'intenzione di mettere in campo 800 miliardi di euro per il riarmo senza vincoli del patto di stabilità solo per questa voce, non certo per la sanità, l'istruzione, l'ambiente e le pensioni.



La politica UE va nell'interesse del padrone del quotidiano la Repubblica e non della massa dei lavoratori. Per questo è quanto meno bizzarro l'annuncio della partecipazione nella stessa piazza dei sindacati confederali: a costoro non sono bastati gli effetti nefasti della guerra e delle sanzioni, dal carovita al calo costante negli ultimi 23 mesi della produzione industriale, dalla crisi del settore auto alla perdita di competitività industriale fino al soffocamento delle famiglie con le bollette di luce e gas. Oltretutto è evidente che l'obiettivo della manifestazione sia quello di disorientare il movimento contro la guerra indirizzando l'opinione pubblica verso un generico e idealista sostegno alla UE guerrafondaia.

"Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico."


 

Comitato Contro La Guerra - Milano

 

 

EUROPA UNO SPAZIO POLITICO
di Franco Astengo


 
Al riguardo della manifestazione organizzata dal quotidiano guerrafondaio la Repubblica per il 15 marzo.
  
La partecipazione alla manifestazione sull'Europa organizzata da la Repubblica per il 15 marzo va sottoposta, a sinistra, ad una seria riflessione.
Soprattutto bisognerebbe evitare di cadere nella trappola del riarmo della Germania. Evitare la trappola non tanto per similitudini con fatti antichi ma, perché di questo si tratta nel momento contingente quando la Von der Layen lancia l'idea e spara cifre a centinaia di miliardi. Prima di tutto l'ipotesi di un esercito europeo è tutta di là da venire. In questa situazione la Germania è la sola a disporre di una siderurgia all'altezza di una produzione capace di soddisfare un'ipotesi di adeguato riarmo (torna qui il tema della capacità industriale di ogni singolo paese con particolare riferimento all'Italia). La Rheinmetall produce già carri armati e Leonardo è junior partner mentre è noto che l'industria meccanica italiana è del tutto sussidiaria a quella tedesca.
Inoltre si tratterebbe di un riarmo "da combattimento sul terreno" perché la migliore tecnologia missilistica e dei droni sta da altre parti e questo è un altro elemento da considerare. Quanto al nucleare la messa a disposizione del loro potenziale da parte di Francia e Gran Bretagna vale più o meno un decimo del potenziale russo (che rimane numericamente il più consistente) e americano, oltre al presentarsi del problema di a chi sarebbe assegnato il comando strategico (sempre con riferimento all'assenza di un esercito europeo). 



Quindi le manifestazioni pro-Europa come quella indetta da la Repubblica per il 15 marzo non possono considerarsi "neutre" da questo punto di vista e la presenza di bandiere di un solo colore e un solo simbolo farebbe perdere di vista l'obiettivo paradossalmente causando confusione e non chiarezza. La sinistra dovrebbe aver l'obbligo di caratterizzarsi autonomamente elaborando un progetto di pace anche e soprattutto rispetto al proprio territorio. Non c'è traccia di idee che un tempo pure circolavano a Est come a Ovest (penso al Piano Rapacki su di una zona smilitarizzata al centro del continente). Ribadisco un giudizio di totale disarticolazione delle istituzioni sovranazionali, anche di quelle elette a suffragio universale come il Parlamento Europeo che non ha trovato la forza e la capacità di riunirsi in sessione straordinaria e andrà in sessione ordinaria il 10 marzo. Nessuno tra l'altro valuta i tempi di un possibile riarmo in conseguenza di una riconversione industriale che comporta problemi di materiali, trasformazione di linee di montaggio, dimensione degli impianti, tecnologia. In Italia l'operazione contraria, cioè di dismissione dell'industria bellica dopo la seconda guerra mondiale durò all'incirca quindici anni dal 1945 al 1960 cioè alla vigilia del boom quando una parte della siderurgia fu abbandonata e l'industria cominciò a lavorare sui prodotti del consumo individuale oltre l'auto gli elettrodomestici e la televisione per rendere il tutto accessibile al grande pubblico, più o meno in contemporanea con la nazionalizzazione dell'energia elettrica e lo sviluppo della telefonia che con la SIP cominciò ad entrare nelle case della piccola borghesia e della classe operaia con il telefono duplex. Quanto tempo occorrerebbe oggi per una operazione all'inverso sia pure usufruendo di tecnologie ben diverse? Armarsi significa pensare alla guerra: è questo un inevitabile orizzonte? Anche e soprattutto per questo serve subito una proposta di pace considerando l'Europa uno spazio politico e non acriticamente come un bene in sé, e agendo di conseguenza a quel livello. Insomma è più realistica una proposta di pace che un'utopia di un armamento davvero difficile da realizzare.
 

 

DIVORATORI DI SUOLO
Alla Coop La Liberazione




mercoledì 5 marzo 2025

VOGLIA DI GUERRA
di Angelo Gaccione


 

Eurotossici drogati di guerra


Che i vertici del Parlamento Europeo vogliano la guerra non ci sono più dubbi. Gli eurotossici che il drogato di guerra laburista Starmer ha riunito a Londra lo ripetono apertamente e si stanno attrezzando alla bisogna. Parlano di riconversione dell’industria automobilistica in industria di guerra, di Banca di guerra, di esercito comune di guerra, di economia di guerra, di investire una quantità spaventevole di miliardi e miliardi di euro per la guerra. Fra le più assatanate guerrafondaie spiccano la von der Leyen e la Kaja Kallas, il presidente dimezzato francese Macron, il primo ministro Pedro Sánchez (si definisce socialista ed è persino segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo. Poveri miliziani, e poveri caduti nella guerra di Spagna!), il presidente del consiglio polacco Tusk (si vede che alla Polonia non sono bastati né il sangue versato durante la Seconda guerra mondiale né le distruzioni), e persevera, come se niente fosse, il tedesco Scholz a cui gli elettori della Germania hanno dato una sonora sberla elettorale. 



Da noi i più agguerriti sono i “progressisti” del Pd, i “moderati” di Forza Italia (meno male che sono moderati), i clan insignificanti, ma pur molto loquaci di quello che resta dei radicali (ve le ricordate le loro marce per la pace? Che brutta fine!), dei Calendiani, dei Renziani, dei Totiani, dei Lupiani e altra frattaglia che, come scriverebbe il mio compianto amico scrittore Giuseppe Bonura se fosse ancora in vita: “si riuniscono in una cabina telefonica”; naturalmente i “patrioti” di Fratelli d’Italia e il loro ministro dell’Offesa al buon senso che si preoccupano talmente tanto della patria da prepararsi a ridurla in misera con un vertiginoso impiego di miliardi per la guerra, ma non sono in grado di garantire negli ospedali pubblici un miserabile esame se non a distanza di 10 mesi. Se vuole una prova la “statista” della Garbatella Giorgia Meloni, le posso mandare la prenotazione della mia defecografia fissata in novembre, o quella della visita oculistica prevista fra un anno. 



Se continuano su questa follia militarista e guerrafondaia è prevedibile che la “loro” patria la faranno ridurre, prima ancora, in cenere. Se non amassi sfegatatamente la mia patria e la mia lingua, tiferei perché quattro missili nucleari cadessero sui quattro punti cardinali della Capitale e cancellassero questi drogati di guerra con le loro famiglie, i loro beni, i loro privilegi, al più presto possibile. E invece mi tocca usare la ragione e dannarmi per tentare di disintossicarli dalla loro follia, unendo la mia voce a quanti la ragione non l’hanno ancora perduta. Dopo il Comunicato di Londra stilato da Starmer e le dichiarazioni di Macron e von der Leyen - che sono un aperto sabotaggio al tentativo di negoziato per far finire la carneficina in Ucraina e trasformare l’Europa in una macchina da guerra - questo genere di Europa ai miei occhi è divenuta matrigna e deve implodere. Dobbiamo lavorare perché si sfasci prima possibile; dare un sostegno a questo genere di Europa è dare un sostegno alla terza guerra mondiale. Questo tipo di Europa che non ha mosso un dito in tre anni per trovare una via d’uscita diplomatica al conflitto russo-ucraino, che saccheggia risorse ai cittadini dell’Unione per diventare un bastione armato, che ha paura della parola pace, che è diretta e governata da irresponsabili e dilettanti, questa Europa si è rivelata non solo inutile ma concretamente pericolosa. 



Per quanto mi riguarda non eserciterò più il mio diritto di voto a meno che non si prenda subito coscienza dello stato delle cose e si metta in piedi una forza che aggreghi su un punto comune: la pace, uomini e donne del nostro Paese e collabori in tal senso con quanti in Europa sono favorevoli al disarmo e a risolvere le controversie internazionali in modo pacifico. Ovviamente non sosterrò la manifestazione ambigua e inutile indetta a Roma il 15 marzo, e che avrebbe dovuto unire sotto un’unica parola d’ordine: Basta guerra! gli italiani stufi di carneficine e vessati da un carovita che è divenuto un vero e proprio mercato-nero legale con prezzi alle stelle e che ha impoverito ancora di più i ceti popolari.          

INDUSTRIA DI GUERRA E NUCLEARE    
di Franco Astengo


 
Il deficit della sinistra nella capacità di progettare una visione alternativa di società e di modello di sviluppo sta misurandosi con una realtà molto difficile che l’attualità ci pone di fronte ogni giorno. L’esito delle elezioni USA ha portato in una situazione in cui l’effetto immediato sarà quello del rovesciamento delle istituzioni sovranazionali compresa l’Unione Europea. 
La condizione generale di conflitto e di conseguente crisi energetica in relazione al modello di sviluppo capitalistico impostosi negli ultimi anni sta portando a un disegno di mutazioni già in atto: ad esempio guardando all’Italia Leonardo in joint venture con il colosso Rheinmetall per la produzione di mezzi corazzati e l’attività di Iveco Defense ma si coltiva anche l’idea di un piano segreto del governo per riconvertire parte dell’industria automobilistica in industria bellica. 



In questo momento l’industria bellica appare essere quella dall’impatto più positivo dal punto di vista del rendimento economico: uno studio del Senato dimostrerebbe che per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore Difesa, si generano un euro e sessanta centesimi addizionali di valore aggiunto: il 71% in più rispetto alla media nazionale. Tutto questo sistema però, almeno a nostro giudizio, finirebbe con il convergere all’interno della filiera produttiva tedesca per ragioni di materie prime, capacità tecnologica, know-how complessivo.
Egualmente per quel che riguarda il rilancio del nucleare definito di seconda generazione: in realtà rimangono ferme tutte le ragioni “storiche” del rifiuto (in Italia suffragato anche da due consultazioni referendarie), in primis il tema dell’allocazione delle scorie e dell’intreccio inevitabile tra civile e militare. In ogni caso per quel che riguarda l’Italia rispetto al tema nucleare rimarrebbe comunque una difficoltà di approvvigionamento e di ritardo tecnologico. Il vero nodo di questa situazione risale però alla difficoltà di espressione di un modello alternativo a quello di un impianto industriale complessivamente orientato verso la guerra, compresa l’evoluzione costante della tecnologia e dello sviluppo scientifico come nel caso dell’utilizzo dell’AI.



Nasce da queste constatazioni la proposta del “socialismo della finitudine” che si coglie l’occasione di rilanciare in questa sede. “Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo, di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di un programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante secondo i principi della programmazione democratica e una visione di “società sobria” di forte tensione verso l’uguaglianza e fondata sull’intervento pubblico in economia verso settori decisivi dell’industria, dell’ambiente, dei trasporti, della scuola(la cui priorità di intervento dovrebbe essere quello di affrontare il deficit cognitivo che assilla diversi settori sociali) della sanità. Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l’emergere di tensioni “dittatoriali” sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si sta attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” e di evidente ripresa del nazionalismo. “Socialismo della finitudine” come elaborazione resa al fine di realizzare un mutamento sociale posto nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo a una nuova realtà di responsabilità collettiva per avanzare un disegno di mutamento nell’offerta politica.
 

 

  

LA DEMENZA SENILE DELL’OCCIDENTE   
di Luigi Mazzella



Chi  nega la tesi spengleriana sul “tramonto” inevitabile  e la mia teoria sul “cancro” da cui la parte di mondo da noi abitata  sarebbe affetta (id est: una mentalità contrassegnata da credenze religiose e/o  da utopie politiche fortemente e negativamente condizionanti   del pensiero che, per l’effetto, non può mai essere considerato  né libero né razionale)  dovrebbe almeno ammettere che, dopo oltre duemila anni di vita (peraltro agitata e non tranquilla), l’Occidente cominci a dare segni di demenza senile.


Vediamone qualche esempio:
1) Intoccabilità dell’Europa.
Varie voci di Autorità, anche importanti dell’Unione Europea, hanno stentoreamente detto e ripetono con frequenza: “l’Ucraina non si tocca perché è Europa” senza aggiungere che anche la Russia lo è e senza ricordare che le guerre tra Paesi Europei (sante o laiche che fossero) raccontate nei libri di Storia sono state veramente tante e terribilmente durature e mai esecrate con parole di condanna. Certo: il dubbio che più che di demenza senile si tratti di ignoranza crassa è più che lecito con la classe politica che l’Occidente si ritrova (per noi Italiani, il ricordo delle gaffes geografiche di Luigi Di Maio, plurincaricato nel Governo è indelebile). Lo stesso dubbio può aversi per il secondo esempio che riguarda un argomento, per me scontato, ma che ho motivo di ritenere di difficile condivisione da parte di fideisti e fanatici delle due ideologie di pari e simile assolutismo e di uguale inflessibile “buonismo” di sentimenti.



2) L’integrazione degli immigrati.     
Leggendo i libri di Storia, si apprende che il problema in Occidente non esisteva prima che ebrei e cristiani emigrassero nei territori dell’impero romano.
Dalla lettura di un interessante libro di uno studioso inglese Tom Holland: Pax, guerra e pace nell’età dell’oro di Roma, Mondadori editore, si desume chiaramente che nell’Urbe precristiana l’accettazione senza remore e limiti di chi non era originario di Roma era la norma. Essa è considerata da Plinio il Vecchio, originario di Como, come un segno inconfondibile del ruolo civilizzatore dell’Italia. Pochi decenni dopo di lui, Traiano e Adriano,entrambi ispanici, divennero imperatori. La visione di quegli uomini “liberi” si estendeva anche agli Dei e alle Dee da essi creati: divinità di altri Paesi e parti del mondo entravano “senza passaporto” nell’Olimpo, situato per giunta sulla Terra e facilmente accessibile anche senza l’aiuto dei razzi (oggi cari a Elon Musk). È allora molto verosimile che il rifiuto di integrazione sia attribuibile alla religione cattolica che, come quella ebraica, vedeva negli infedeli (islamici e altri popoli barbari) i nemici di Dio da annientare e distruggere. Non a caso, nel Medio Evo i Saraceni (al grido d’allarme degli Italiani del tempo di: mamma, li Turchi!) erano accolti con il versamento di olio bollente dalle finestre di case costruite, non a caso, in modo da formare stretti vicoli. E il versamento era opera anche di rappresentanti del gentil sesso: pie e devote fedeli del Signore. Oggi il vento, sulla base delle attività di navi ONG volute e probabilmente sorrette e finanziate dai Democratici Statunitensi per destabilizzare i Paesi Europei, è cambiato. E quegli stessi credenti nelle verità assolute che imponevano di “bandire” gli immigrati, oggi, in nome del connubio Cristo-Marx (peraltro smentito da Papa Francesco in un’intervista) hanno fatto un clamoroso “dietro-front”, e sono diventati alfieri di quell’integrazione un tempo odiata.



3) La politica come casa di vetro.
Non so se Trump abbia mai letto le “tirate” di Norberto Bobbio ma sull’insidia dei poteri occulti ne doveva sapere certamente più di lui, per esperienza diretta e personale nel suo precedente mandato presidenziale. Certamente da Bobbio e dalla sinistra mondiale Donald ha mutuato l’idea della “Politica come casa di vetro” e, credendo verosimilmente di far cosa buona e saggia, ha voluto rendere “visibile” il potere esercitato nelle stanze ad hoc (invitando nella stanza ovale della Casa Bianca tra alte autorità statunitensi in cravatta e abito scuro uno Zelensky che si è presentato all’incontro “di vertice” nella consueta “polo” da lui supponentemente considerata “la sua divisa di guerra”). Apriti cielo! Come, di consueto, l’Occidente europeo, legato a filo doppio al Partito Democratico di Biden e degli Obama, cambiando idea in nome di asseriti ben altri e apoditticamente pretesi “alti principi”, è insorto con veemenza. Sotto il profilo medico, c’è chi ritiene che alla demenza senile e alle punte rabbiose che può raggiungere, non c’è rimedio.

 

ARCHITETTI A “CORRENTE”


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martedì 4 marzo 2025

LA GUERRA NELLE MISSIONI DI PACE   
di Luigi Mazzella


 
Rifiutando il raziocinio e il pensiero libero dalla  suggestioni  inevitabilmente fuorvianti di credenze utopiche e come tali irrazionali, è difficile sfuggire alle insidie delle false propagande religiose o ideologiche e delle ipocrisie che necessariamente ne conseguono. In altre parole, l’Occidente, con la cosiddetta “cultura” che si è data non può che vivere sotto il manto protettivo del “fake” più denso e fuorviante. Per quanto riguarda l’Italia la prova più folgorante di tale affermazione è data dall’articolo 11 della nostra Costituzione e da tutta la normativa connessa e conseguente della legislazione relativa alla guerra. 

Naturalmente, a favorire il successo delle “mistificazioni” italiche, anche le più grossolane, contribuiscono in pari misura i “beoti” e i “furbi sedicenti dottori sottili” di casa nostra che, in misura crescente, gli uni per gli effetti del sovraffollamento del Pianeta, gli altri per la loro  generale “dipendenza” dal “Consorzio spionistico, militare e finanziario” costituito intorno al Partito Democratico degli Obama e dei Biden, contribuiscono, gli uni e gli altri, alla rovina di un Paese che, quanto meno nella sua parte centro-meridionale aveva dato all’umanità menti lucide e perspicaci. I “beoti” avevano letto nel “ripudio della guerra” solennemente sancito dall’articolo 11 della Costituzione una sorta di proclama stentoreo ed univoco di neutralità del “Bel Paese” come chiara e autentica essenza di uno Stato costituzionale “vero”, e si erano sentiti confortati dal fatto che anche l’art. 78 e l’art.87 della stessa Carta fondamentale prevedevano, rispettivamente, per lo stato di guerra una delibera del Parlamento e una proclamazione formale e solenne della stessa delibera da parte del Presidente della Repubblica, fermo restando il sacro dovere del cittadino di difendere la patria sancito dall’articolo 52 Cost. in caso di violazione dei confini nazionali. 



I “furbetti”, ispirati dalle “teste di uovo” del Partito Democratico Statunitense e Plurinazionale, avevano subito dato la loro interpretazione che annullava il valore di tutti i disposti sopra citati (ripudio della guerra, delibera parlamentare, dichiarazione formale del Capo dello Stato, difesa del “patrio suol”) ammettendo la giuridica possibilità dell’Italia, sempre in base al dettato costituzionale, di potere aderire, senza osservare le prescrizioni citate, a scelte belliche decise da altri (preferibilmente, si può desumere: organizzazioni internazionali) per garantire la pace e la giustizia tra le Nazioni. Detto in soldoni: la guerra si può fare a patto di non usare tale termine e di chiamarla “missione di pace”. È possibile immaginare un’ipocrisia più manifesta?

 

 

COMMERCIO DI MORTE
di Michela Bianchi


 
Il commercio delle armi e l’Italia   
 
Una cosa è certa, se la folle corsa agli armamenti continua dovrà necessariamente concludersi con un massacro quale non si è mai visto nella storia. Se ci sarà un vincitore la vittoria vera sarà una morte vivente per la nazione che riuscirà vittoriosa.
Mahatma Gandhi
 
Come Associazione Movimenti Cambiamenti, in più occasioni e a partire dal febbraio 2024, all’indomani dell’approvazione in Senato, abbiamo denunciato le pericolose conseguenze del progetto di modifica della L. 185/1990 sul traffico di armi (esportazione, importazione e transito): si tratta di modifiche sostanziali e tutte dirette a favorire l’esportazione di armamenti, riducendo vincoli e controlli democratici, in pieno contrasto con l’art.11 della Costituzione. L’esame del testo in Parlamento continua a essere rinviato e slitterà forse al mese prossimo, ma per ora senza alcuna previsione specifica, e ciò a fronte di un continuo aumento del traffico di armi. Evidentemente non si sente la necessità di seguire l’iter parlamentare che, in ogni caso, comporterebbe quantomeno il fatto di rendere pubblico il contenuto della legge. Come si può constatare ogni giorno, anche senza quelle modifiche normative, produzione, esportazione e commercio degli armamenti hanno avuto incrementi vertiginosi e incontrollati.
Inoltre, come è stato rilevato dalle organizzazioni - oltre 200 - che hanno rilanciato la campagna “Basta favori ai mercanti d’armi”, occorre ricordare la violazione del Trattato internazionale sul commercio delle armi del 2014, «che non viene contemplato nella nuova formulazione della legge creando un buco normativo da colmare». Il trattato (Arms Trade Treaty), stabilisce non solo il divieto a esportare materiali militari a Paesi sottoposti a misure di embargo internazionale (art. 6), ma anche di valutare se le armi convenzionali o gli oggetti militari “possono contribuire a minacciare la pace e la sicurezza; possono essere utilizzati per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario e commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani”. E “se dopo aver condotto tale valutazione e aver esaminato eventuali misure di mitigazione, lo Stato Parte esportatore ritiene che vi sia un forte rischio di ricadere in una delle conseguenze negative previste, lo Stato Parte esportatore non autorizzerà l’esportazione”.



Vogliamo la legittimazione della guerra?
La discussione in sede legislativa, se mai ci sarà, avviene in un contesto di corsa al riarmo a livello europeo e di un clima di preoccupante propaganda bellica, sostenuta anche attraverso falsificazione di dati. Dati falsi diffusi dalla maggior parte degli organi di informazione europei e italiani che non sono stati rettificati nemmeno a seguito della ufficializzazione dei dati corretti. I fatti: due settimane fa i giornali di tutta Europa pubblicano un report dell’International Institute for Strategic Studies concludendo ed evidenziando, con titoli ad effetto, che la spesa per la difesa della Russia è superiore a quella dell’Europa intera.  Da qui la giustificazione a ogni politica di riarmo. I dati diffusi non sono reali e addirittura mettono a confronto voci non confrontabili. L’economista Carlo Cottarelli ha inviato, in proposito, una nota dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica al fine di rettificare la notizia errata, basata su palesi errori di calcolo: ovvero la spesa militare europea è stata calcolata al tasso di cambio attuale e non a parità di potere di acquisto. E se viene convertita in dollari a parità di potere di acquisto, la spesa militare europea risulta pari a 730 miliardi di dollari nel 2024 rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia. In sostanza gli europei spendono il 58% in più dei russi.
Questo, in aggiunta al fatto che non ci sono state correzioni sugli organi di stampa una volta diffusa questa nota, dà la misura del livello a cui è arrivata la propaganda. Del resto la direzione è chiara: dalla guerra alla progressiva “normalizzazione” della guerra all’interno dell’opinione pubblica. Un passo via l’altro: le dichiarazioni di Ursula von der Leyen sulla necessità di derogare al patto di stabilità per aumentare la spesa pubblica nella difesa e l’indirizzo che si è deciso di dare agli investimenti tecnologici verso l’industria bellica sono solo due esempi. Per non parlare della sempre più diffusa e invasiva partecipazione delle Forze armate e di Polizia nelle scuole, come continua a denunciare l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. In sostanza, dalla guerra alla cultura di guerra che procede nel senso della sua legittimazione. Gli spazi per dire di no ci sono e vanno aperti sempre di più.

CANI E PORCI
di Romano Rinaldi

 
Venerdì sera (28-2-2025), dopo aver assisto allo scontro da saloon svoltasi nello Studio Ovale, anziché in una bettola di Santa Fé, mi è venuta in mente un'immagine. Se è vero che riguardo la guerra in Ucraina, la NATO è colpevole per aver abbaiato alla porta della Russia, in questo caso abbiamo visto due cani rabbiosi abbaiare in faccia al legittimo presidente di un paese che fino ad allora aveva potuto contare sulla fedeltà di tanti cani dello stesso canile. Ma in fatto di cani bisogna fare molta attenzione alla razza perché per alcune non ci si può mai fidare, come si legge spesso nella cronaca deigiornali. A corollario di quell’incontro, un famoso Orso parla di quel presidente come di un porco. È questa dunque la nuova fattoria degli animali? Pensando al fallimento inflitto agli accordi originari della Conferenza di Jalta da Stalin riguardo la Polonia, può venire in mente un altro motto animalesco: “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Anche se in questo caso si tratta di quell’Orso che dicevo prima, insieme coi cani...
L’inusitata corrispondenza di “amorosi sensi” tra i due leader delle massime potenze nucleari è fondata su presupposti che non potranno portare pace e armonia né all'interno dei rispettivi paesi né tantomeno al resto del mondo. La volontà di spartizione del “bottino di guerra” è anche troppo evidente. Nel 1900 in risposta ad affronti molto meno gravi e tra persone molto più in basso nella scala gerarchica, ci furono dichiarazioni di guerra. ChiaramenteZelensky è intelligente abbastanza da non dichiarare guerra agli USA (come per esempio fece Mussolini per molto meno). Viceversa, l’eccesso di reazione da parte di Trump e del suo Vice è implicitamente una dichiarazione di guerra all’Ucraina. O forse vorranno chiamarla “operazione diplomatica speciale”?
Solo mostrando unità di intenti nel perseguire la Pace, facendo leva sulla sua enorme potenza economica e sulla sua ampiamente sufficiente forza militare (già presente ma non ancora unitariamente organizzata), l’Europa Unita potrà far valere la sua voce intellettualmente e storicamente autorevole, per evitare le conseguenze catastrofiche dell’attitudine mostrata dalle due principali potenze nucleari al mondo.
 

OTTO MARZO SCIOPERO GENERALE



  

OTTO MARZO A MONTELEONE  




lunedì 3 marzo 2025

GLI INTELLETTUALI DI FRONTE AL CAMBIAMENTO
di Tayeed Dibie
 

Dopo la mia visita in Tunisia e la mia esperienza con il suo grande popolo, che nutre grande rispetto per la Palestina, per la sua gente, la sua causa e i suoi luoghi sacri, l’immagine della Tunisia verde che resiste al colonialismo, impressa nella mente di ogni palestinese fin dall’infanzia, è diventata più profondamente radicata e bella. Ho scoperto che esiste una questione palestinese immaginaria che non ha quasi nulla a che fare con la realtà; questione che è stata formulata dai media e dal discorso religioso che hanno avuto un ruolo nel plasmare la consapevolezza araba, in particolare nei confronti della questione palestinese. Dopo la calorosa accoglienza di ogni palestinese in Tunisia, cominciano ad emergere strani stereotipi su ciò che è accaduto e sta accadendo in Palestina e sul popolo palestinese. Cliché che considerano quest’ultimo essere un tipo di popolo diverso, sovrumano, che accetta la perdita dei propri cari e delle proprie capacità e considera la propria umiliazione e il proprio sfollamento come qualcosa di normale e un inevitabile “prezzo” per il bene della patria e per la conquista dell’aldilà!



In questi stereotipi sono contenute domande che richiedono risposte sì o no, dopo le quali inizia un flusso di giudizi preconfezionati come: appartieni al gruppo di tizio o al partito di tizio? Sebbene il mio discorso sulla Palestina non abbia nulla a che fare, vicino o lontano, con alcun orientamento politico, questi luoghi comuni semplicemente riproducono l’esperienza soggettiva emersa dal cuore di una realtà che il soggetto non ha mai sperimentato; e quasi tutto ciò che sa su di essa è arrivato attraverso i media che lavorano in modo non così innocente per plasmare l’opinione pubblica per raggiungere obiettivi politici predeterminati. Dopo essere stata accusata in un batter d’occhio, mi ritrovo costretta a difendermi da accuse che Dio non ha autorizzato - se possono essere considerate accuse - perché appartenere a un partito politico, credo, non è un’accusa, ma lo è almeno per alcuni. Insistono nel dimenticare ciò che lo sceicco Muhammad Abduh disse più di un secolo fa: “La verità nelle questioni sociali è relativa e non assoluta, come nella filosofia e nella scienza. La questione nelle questioni sociali non viene affrontata secondo la logica della verità o della falsità”. Forse tutto quanto detto sopra può sembrare normale, ma ciò che è insolito è che ciò provenga da persone che si identificano come intellettuali, scrittori, poeti, romanzieri e altri. Riferendomi sia alla definizione dell'intellettuale presentata da Antonio Gramsci, che divide gli intellettuali in intellettuali organici e inorganici (l’intellettuale organico è diverso da tutte le opinioni comuni) che alla definizione che Ali Shariati nel suo libro “La responsabilità dell’intellettuale” ne dà come persona che pensa in un modo nuovo, esiste una stretta analogia con Edward Said quando affermò che uno dei compiti dell’intellettuale è quello di fare uno sforzo per infrangere opinioni stereotipate e affermazioni denigratorie che limitano notevolmente il pensiero umano e la comunicazione intellettuale.



Alla luce di quanto sopra, sembra che la maggior parte degli intellettuali dei paesi arabi, o coloro che si presentano come tali, siano ben lontani dall’essere uno strumento di cambiamento nelle loro società che stanno inesorabilmente arretrando. Queste persone che dovrebbero essere il seme del cambiamento si rifiutano di ascoltare un’opinione semplicemente perché contraddice gli schemi intellettuali che hanno creato per sé stessi sotto lo slogan della cultura e della conoscenza diffusa. Piuttosto, la loro cultura sembra una frusta con cui frustano chiunque non sia d'accordo con loro. Perché sto scrivendo di tutto questo ora? Perché sono una cittadina che fa fatica a vedere il proprio Paese spazzato via da un nemico coloniale criminale, e allo stesso tempo vedo coloro dai quali ci si aspetta che forniscano idee e soluzioni per uscire da questa crisi (se è lecito chiamarla crisi, perché ciò che sta accadendo è molto più pericoloso) che in tutti i Paesi del mondo arabo, compresa la Palestina, invece giustificano quanto sta accadendo come se si trattasse di un passaggio forzato verso la libertà e la salvezza. Forse attivando il nostro pensiero e sensibilizzare le istituzioni attraverso l’organizzazione dei nostri sforzi - il che richiede in anticipo che non restiamo prigionieri di schemi intellettuali stereotipati - aprendo dunque un dialogo tra idee diverse in quanto nessuno può affermare che tutto ciò che dice o rappresenta sia puro e corretto (il rapporto tra idee e visioni diverse non è come il rapporto tra fede e incredulità, patriottismo e tradimento), tutto questo potrebbe essere un modo per proteggere l’esistenza di un popolo esposto ogni giorno all’annientamento e per iniziare la dissoluzione della sua tragedia, giunta al termine.
 

 

PAROLE E PENSIERI 
di Romano Rinaldi



L’espressione verbale del pensiero ci fornisce una chiave di lettura della mente di chi lo esprime. Un vecchio detto americano dice: “before moving your tongue, make sure the brain is in gear” (prima di mettere in moto la lingua, assicurati che il cervello abbia la marcia innestata). In effetti, la scelta delle parole per esprimere un concetto è un procedimento che richiede, oltre a una mente sveglia, la capacità di esprimere concetti che il cervello acquisisce con una rapidità strabiliante, e con pari velocità riesce, nel migliore dei casi, a trasmettere attraverso il linguaggio una rappresentazione il più fedele possibile del pensiero all’interlocutore, in modo che perlomeno non ci siano malintesi e al meglio che il concetto sia pienamente compreso. La scelta delle parole adatte ad esprimere quel concetto (o pensiero che dir si voglia), è alla base di questo procedimento e questo è un meccanismo in cui entrano in funzione molti altri fattori che possono essere descritti nel loro insieme come la capacità di articolare il discorso attraverso le proprie conoscenze linguistiche e la pratica oratoria. È ben evidente che non tutte le persone, anche quelle con un elevato grado di educazione culturale e linguistica, siano in grado di esprimersi compiutamente a voce o per iscritto. A noi tutti è capitato di faticare per capire la dimostrazione di un teorema in un libro o di non capirla perfettamente seguendola dalla viva voce del docente. Inoltre, anche queste due espressioni verbali, scritta e orale, hanno caratteristiche espressive totalmente diverse data l’impossibilità di modulare il suono nella prima.



Questa piccola introduzione mi serve per spiegare il fatto che la povertà di linguaggio e la mancanza di articolazione denotano carenze intellettive perlomeno per quanto riguarda le capacità oratorie. Se poi, dietro queste carenze si celi una mente che riesce solamente a gestire a mala pena l’espressione linguistica oppure se questo handicap discenda da altri fattori che non inficiano le capacità intellettive dell’individuo, questo potrà dirlo solamente qualche test psicoattitudinale o psicoanalitico magari associato a qualche metodo fisico di determinazione dell’attività cerebrale. Quest’ultima possibilità sta infatti alla base delle iniziative tecnologiche tese ad interfacciare il cervello umano con strumenti cibernetici per incrementare le capacità intellettive dell’individuo anche normodotato o persino subnormale.
Tuttavia, finché non sorgerà l’alba del superuomo informatico e cibernetico, ce la dobbiamo vedere tra mortali comuni coi parametri di giudizio che il contenuto cranico di ciascuno riesce a metterci a disposizione.
L’altro fattore necessario per far intendere all’interlocutore il proprio pensiero risiede nella capacità di articolare il discorso dando conseguenza logica ai vari passaggi in modo da portare l’interlocutore a seguire il proprio percorso mentale attorno al ragionamento. La scelta delle parole; la loro sequenza nel contesto, le affermazioni circostanziate e i relativi aggettivi sono anche di fondamentale importanza. La padronanza linguistica è dunque il presupposto fondamentale per una comunicazione efficace, rapida e attinente alla realtà dei fatti. Sulla base di queste seppur generiche considerazioni, vorrei ora che ciascuno di noi provi a riconsiderare alcuni dei passaggi fondamentali di discorsi, trascrizioni e articoli, che abbiamo recentemente ascoltato o letto e che probabilmente segneranno cambiamenti radicali nelle sorti di una buona parte dell’umanità. Sto parlando evidentemente di tutto quanto ruota attorno al recente cambiamento al vertice della più antica democrazia occidentale e in particolare dello scambio tra il presidente, insieme col suo vice, di quella nazione, e il presidente di un’altra nazione fino a quel momento alleata della nazione dei primi due. Si è trattato di una riunione di enorme importanza in quanto avvenuta durante una situazione di belligeranza che si protrae da oltre tre anni con centinaia di migliaia di morti e milioni di feriti, profughi e relative immani distruzioni ed una conseguente divisione del mondo che sembra preludere a cambiamenti epocali. Situazione in cui sono corresponsabili, direttamente o indirettamente entrambe le nazioni suddette, oltre naturalmente alla nazione sul fronte opposto che ha avviato l’operazione militare che scatenò la guerra nel Febbraio del 2022.



A seguito di questi eventi, si ha ragione di temere per la sopravvivenza di Istituzioni nazionali e sovranazionali che hanno finora assicurato la coesistenza pacifica tra le nazioni che, nel secolo scorso, hanno dato prova della loro incapacità di convivenza civile e pacifica con due guerre mondiali e che finalmente si sono riconciliate da un’ottantina d’anni a questa parte, assicurando alle loro popolazioni il periodo di pace più lungo nella loro millenaria storia. Orbene, quel colloquio ha marcato un evidente tradimento dei principi e delle istituzioni che finora hanno retto un equilibrio, seppur precario, per tutti questi anni di pacifica convivenza.
Ora ho finito anch’io le parole. Chi ha la capacità di intendere l’idioma e le poverissime gergali espressioni linguistiche utilizzate da quel presidente e dal suo vice, si accomodi e provi a capire qual è il grado di comprensione semantica, storica, filosofica e umanitaria della situazione che avevano il compito di gestire a nome e per conto non solo delle loro stesse belle facce, ma di fronte all’umanità intera. Riguardo l’interlocutore che i due hanno assalito e difatti tradito, mancando persino all’elementare principio dell’ospitalità, principio rispettato e venerato in quella terra dalle tribù primitive che la abitavano prima che individui di questo stesso calibro e spessore culturale li annientassero, l’interlocutore, dicevo, non essendo padrone dello strumento linguistico soprattutto gergale e approssimativo col quale è stato aggredito, ha tutte le scusanti del caso.
Questa è la mia analisi dal punto di vista semantico e linguistico di un caso di “colloquio” che farà la storia. Sugli effetti pratici di questo scambio di parole che mi ha fatto ricordare quel famoso detto americano richiamato all’inizio, e di tutte le situazioni che preludevano questo esito, mi sono già ampiamente espresso negli ultimi due mesi e negli anni passati con una copiosa produzione alla quale rimando il lettore desideroso di capire il mio pensiero.

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