UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 4 ottobre 2025

IL COMUNICATO DI HAMAS


 
Speriamo che la sofferenza dei palestinesi dei rapiti israeliani e dei loro  familiari possa avere fine.


Al fine di fermare l’aggressione e la guerra di sterminio a cui è sottoposto il nostro popolo saldo nella Striscia di Gaza, e in conformità alla responsabilità nazionale, e per preservare i principi, i diritti e gli interessi supremi del nostro popolo, il Movimento di Resistenza Islamica “Hamas” ha condotto approfondite consultazioni con le sue istituzioni di leadership, ampie consultazioni con le forze e le fazioni palestinesi, e consultazioni con mediatori e amici fraterni, per giungere a una posizione responsabile nell’affrontare il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Dopo uno studio approfondito, il movimento ha preso la sua decisione e consegnato la sua risposta ai mediatori come segue:
• Il Movimento di Resistenza Islamica Hamas apprezza gli sforzi arabi, islamici e internazionali, così come quelli del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che chiedono la fine della guerra su Gaza, lo scambio di prigionieri, l’ingresso immediato degli aiuti, il rifiuto dell’occupazione e il rifiuto dello sfollamento del nostro popolo palestinese.
• In questo contesto, e al fine di raggiungere un cessate il fuoco e il ritiro completo da Gaza, il movimento annuncia la sua approvazione per il rilascio di tutti i prigionieri israeliani, vivi o morti, secondo la formula di scambio inclusa nella proposta del presidente Trump, a condizione che le condizioni sul campo consentano il processo di scambio.
 • In questo contesto, il movimento conferma la sua disponibilità a entrare immediatamente in negoziati attraverso i mediatori per discutere i dettagli.
• Il movimento rinnova inoltre la sua approvazione alla consegna dell’amministrazione di Gaza a un organismo palestinese di indipendenti (tecnocrati) basato sul consenso nazionale palestinese e con il sostegno arabo e islamico.
• Per quanto riguarda le altre questioni menzionate nella proposta del presidente Trump relative al futuro di Gaza e ai diritti intrinseci del popolo palestinese, queste sono collegate a una posizione nazionale complessiva basata sulle pertinenti leggi e decisioni internazionali. Esse saranno discusse all’interno di un quadro nazionale palestinese complessivo, del quale Hamas farà parte e a cui contribuirà in modo responsabile”.
 
La risposta di Hamas è stata studiata bene e appoggiata dalla Turchia e Qatar, a Gaza la gente sta festeggiando, incrociamo le dita. La sofferenza dei palestinesi e dei rapiti israeliani deve finire.

TRUMP COME CALIGOLA?


 
Questa mattina mi limito a proporre la riflessione di Bernhard di MoA. Il tema è Trump, il quale è sempre stato imprevedibile, e perciò inaffidabile; ma negli ultimi giorni l’improvvisazione e il disprezzo per vincoli, leggi, regole e istituzioni, in una parola per l’ordine, hanno toccato nuovi massimi. Il discorso agli alti comandi militari convocati d’urgenza, potrebbe far pensare addirittura a un impulso di follia, in particolare quando sembra istigare alla guerra civile. Bernhard fa un ultimo tentativo di trovare logicità nel (non) pensiero e nell’azione del presidente: questi sta chiaramente preparando la guerra all’Iran e al Venezuela, due potenze petrolifere, e il senso potrebbe essere di assicurarsi il controllo dei loro giacimenti, quindi dei prezzi dell’energia, in previsione - il fatto è ritenuto evidentemente probabile - del crollo di Wall Street e del dollaro. [Franco Continolo]
 



Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta spingendo il suo Paese in una direzione pericolosa. Quali potrebbero essere le ragioni per cui lo fa? Il suo recente discorso a un raduno straordinario di tutti i comandanti militari ha incluso la richiesta di combattere il “nemico” all’interno del Paese.  Ha tuttavia parlato con toni moraleggianti di alcune categorie di americani che considera una grave minaccia:
1-. La sinistra americana: “Sono davvero cattivi. Sono persone cattive”. Di nuovo, sta parlando degli americani.
2-. I suoi avversari politici interni: “Sono persone malvagie che dobbiamo combattere, proprio come voi dovete combattere le persone malvagie. Le mie sono di un tipo diverso di malvagità”.
3-. I giornalisti americani: “squallidi”.
4-. Gli abitanti dei quartieri poveri americani: “animali”.
Il Segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha invitato gli ufficiali di bandiera (generali) a seguire un’ideologia conservatrice. Ha anche annunciato una riduzione delle posizioni di ufficiali di bandiera, il che gli darà la possibilità di eliminare quegli ufficiali che hanno una posizione più progressista.
 
Trump vuole che l’esercito usi le città statunitensi come campi di addestramento. 
 
È stato in quel momento che il presidente ha raccontato una conversazione con il suo segretario alla Difesa: “Ho detto a Pete che dovremmo usare alcune di queste città pericolose come campi di addestramento per i nostri militari”.
Questo sembra essere, insieme ai raid dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) statunitense, una preparazione per contrastare gravi disordini interni. Ma finora non c’è motivo per cui si verifichino gravi disordini. La società statunitense non è in generale ribelle. Perché Trump dovrebbe pensare che i disordini siano imminenti?
Sul fronte esterno, Trump si sta chiaramente preparando per una guerra più globale. Un altro round di guerra con l’Iran è imminente. Aerei cisterna sono stati schierati in Medio Oriente, le difese aeree israeliane sono state rafforzate con più lanciatori THAAD e un gruppo di portaerei sta entrando nel Mediterraneo. Anche l’aumento delle forze vicino al Venezuela continua. È chiaramente un tentativo di cambio di regime.
Trump ha aumentato la condivisione di intelligence con l’Ucraina per consentire attacchi in profondità in Russia. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti sembrano aver ampiamente rinunciato a contrastare militarmente l’ascesa della Cina. Un cambio di regime in Iran e Venezuela potrebbe portare un’enorme quantità di risorse energetiche aggiuntive sotto il controllo di Washington. Quando il grande crollo del mercato azionario di cui tutti parlano si verificherà finalmente, l’economia statunitense subirà gravi danni.
I disordini negli Stati Uniti potrebbero quindi diventare reali. Avere il controllo su risorse aggiuntive attenuerebbe gli effetti negativi sul dollaro statunitense e sulla posizione debitoria. Trump si aspetta qualcosa del genere? [Trad. Google]

 

 

 

SCIOPERO GENERALE
di Franco Astengo



Mi sia consentito, scusandomi del disturbo, un telegrafico commento per punti a questa giornata di sciopero generale e nell’insieme dell’attualità politica:
 
1) 100 piazze per un milione di persone. Sono queste le cifre fornite da CGIL, USB, CUB e altri organizzatori di una giornata di lotta cui non si partecipava da molto tempo in Italia;
2) Alzi la mano chi fino a qualche giorno fa (diciamo allo sciopero del 22 settembre) avrebbe scommesso sulla CGIL che aderisce a uno sciopero indetto dall'USB e da altre sigle dell'area sindacale anti-capitalista. Sicuramente rimane da valutare la stabilità possibile di questa intesa rispetto alla geografia storica del sindacato italiano: il fatto però rimane e l'esito è stato sicuramente positivo, l'ostilità alla guerra rimane - nella storia - un potente fattore di mobilitazione popolare;
3) Mi permetto una valutazione del tutto personale: l'attrito esistente in questo momento tra il sindacato e la partecipazione popolare verso il governo non si verificava da Luglio '60. Una contrapposizione di questa durezza e radicalità con un governo così negativo non si ebbe neppure con la lotta per il contratto dei meccanici del '69, il decreto di San Valentino dell'84, il decreto sulle pensioni di Berlusconi dieci anni dopo, la manifestazione dei tre milioni al Circo Massimo. E' necessario andare indietro nel tempo, agli scioperi politici degli anni'50 e tener conto che in allora disponevamo della forza della classe operaia, quella forte, stabile, concentrata. Da ricordare di elementi fondanti di analogia con Luglio'60: in allora un governo quello Tambroni appoggiato dall'MSI e coltivante ambizioni gaulliste; oggi governo guidato da una formazione ex-missina che mira a trasformare il Paese in una "democratura" modificando la Costituzione antifascista;
4) Nello stesso tempo c'è stato il gioco delle mozioni a Montecitorio, con la divisione del cosiddetto campo largo, e l'astensione dei soggetti potenzialmente embrionali di uno schieramento di centro-sinistra sul documento della maggioranza. Anche in questo non si può non registrare una distanza rilevante tra le piazze e i cortei e l'atteggiamento parlamentare di PD, AVS e M5S. L'astensione sulla mozione della maggioranza assume, in queste condizioni, una sorta di avallo al Piano Trump e soprattutto di avallo alla subalternità verso gli USA fin qui dimostrata dal governo italiano, non tanto e non solo rispetto alla tragedia palestinese ma nell'insieme delle dinamiche in atto sullo scacchiere internazionale in un allineamento pericoloso sul terreno del taglio del rapporto tra politica e società portato avanti dall'attuale amministrazione della Casa Bianca;
5) Il limite vero dimostrato dalle forze parlamentari italiane del potenziale centro-sinistra è quello strategico e di agire sempre e soltanto in conformità con l'esigenza tattica del momento legato ai sondaggi e all'esito delle varie elezioni regionali. A prescindere dalla generosità degli atti compiuti e delle buone intenzioni come nel caso della presenza dei deputati nazionali ed europei nella flotilla;
6) Urge definire - appunto - un quadro strategico, predisponendosi anche a inevitabili "tagli" nella dimensione dell'alleanza (ricordiamo che l'Ulivo riuscì anche grazie alla desistenza del PRC; mentre l'Unione sostanzialmente fallì e l'Unione assomigliava molto al "Campo Largo" dai centristi-destra del'UDEUR fino ai trotzkisti di Sinistra Critica).
7)Si tratta di decidere se puntare sull'Ulivo (quindi una forza di governo, con leadership riconosciuta e declinazione del progetto in un programma elettorale che punti proprio al governo) o se puntare sul Fronte Popolare attraverso una radicalità adeguata allo stridore delle contraddizioni sociali passando attraverso una lunga marcia all'opposizione e predisponendo una capacità di aggregazione prima di tutto sociale che porti - alla fine - a costruire lo schieramento dell'alternativa. Nel primo caso si potrebbe anche accettare il dato costante nella riduzione della partecipazione elettorale che rimane comunque segnale di fragilità del sistema ricordando che questo in carica non è un governo da "bipolarismo temperato".

 

 

 

LO SCIOPERO GENERALE  

 

Per i palestinesi, per la Flottiglia.


Ho partecipato alla manifestazione: certamente una delle più partecipate degli ultimi anni. Superiore a quella del 1994, allora contro Berlusconi e molto bagnata. Diversamente da allora, dove era ancora prevalente la rappresentanza politica, qui oggi prevale la rivolta spontanea ma fortemente motivata per quanto è accaduto e accade a Gaza, per le violenze di Israele. Ho sentito in commenti amari e sinceri, che questo è il vero Paese, non quello che ci viene quotidianamente raccontato. L’iniziativa della Flotilla è il detonatore necessario, straordinariamente in sintonia con la storia migliore del nostro Paese: una forma pacifica, consapevole di Resistenza. La Flotilla è un inizio… sono in molti, molti, molti, quelli che ne riconoscono la generosità, il coraggio, l’esempio.   
Angelo Ferranti 

RISCHIO IDRAULICO A FIRENZE
di Associazione di volontariato Idra
 

L’Autorità di Bacino tace. 
  
Mesi e mesi di telefonate e lettere certificate all’Autorità preposta ad assicurare la difesa del suolo, il risanamento idrogeologico, la tutela della risorsa idrica. Ad agosto, le scuse telefoniche dell’Autorità per i ritardi accumulati, con l’impegno a ricevere finalmente l’associazione di cittadini costituitisi parte civile e ad adiuvandum nei procedimenti attivati per i disastri ambientali ed erariali TAV in Mugello e alle porte di Firenze, a Monte Morello. Lunedì scorso, in mancanza di conferme, è stata allestita una manifestazione di protesta pubblica davanti alla sua sede, in via de’ Servi 15 a Firenze. Ma ancora oggi l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Settentrionale non accorda l’incontro richiesto. Un caso troppo serio, però, quello della fragilità idrogeologica della città patrimonio dell’Umanità, per essere accantonato o sottaciuto. A maggior ragione quando occasione di aggravamento dei rischi sono le cosiddette ‘grandi opere’, come la temeraria stazione sotterranea TAV fra Novoli e il Romito, ubicata senza valutazione di impatto ambientale accanto al critico torrente Mugnone. Ed è stata proprio Gaia Checcucci, segretario dell’Autorità di bacino, a non lesinare prese di posizione pubbliche critiche nei confronti di questa scelta: «Attenzione, la cassa d'espansione del Mugnone mi diventa la stazione Foster» (Il Tirreno, 3 novembre 2024).  Salvo poi non trarne le necessarie urgenti conseguenze, parrebbe. A meno che non siano riposte in qualche cassetto che converrà allora aprire e consultare. Che si stia scavando la più grande fossa di Firenze (450x50x25 m di profondità) in un’area classificata a pericolosità idraulica alta sta scritto, del resto, proprio nelle carte dell’Autorità di bacino e in quelle della Protezione civile del Comune di Firenze!



Firenze ha visto di tutto e di più nella sua storia idraulica.
“Dalla fine del XII secolo al 1966 si sono susseguite sicuramente, a Firenze, ben 42 piene e inondazioni”, ci informa il prof. Leonardo Rombai, docente emerito di Geografia storica all’Università di Firenze. “Di portata diversa dal punto di vista dei danni arrecati. In primo luogo, eccezionali i veri e propri diluvi del 1333, del 1557 e ultimo quello tragico del 1966, probabilmente superiore a tutti. Rovinose furono tuttavia anche le piene del 1171, del 1289, de1 1547, del 1589, del 1740, del 1758 e del 1844, che giunsero ad inondare buona parte della città di Firenze”.
Ma dal 1992, quando a esondare sono stati anche i torrenti Mugnone e Terzolle, vige un’allerta supplementare, persino più insidiosa: quella che proviene dal comportamento del reticolo idrico minore. Qui il combinato disposto della crescente impermeabilizzazione del territorio, dell’abbandono della collina e della montagna, del moltiplicarsi di eventi meteorici estremi pone quotidianamente a repentaglio la sicurezza degli ambienti urbani.
Poco è mancato a gennaio e a marzo di quest’anno prima che il Mugnone invadesse nel quartiere delle Cure la sede ferroviaria su tranquillamente transitavano gli Italo e le Frecce Rosse!
A cosa servono allora i dotti convegni, seminari e webinar ‘partecipativi’ della Regione Toscana se poi non si adottano misure concrete e urgenti di prevenzione e salvaguardia laddove si presentano le criticità più stringenti? Quanto ancora a lungo potrà il presidente della giunta Eugenio Giani continuare a magnificare in ogni possibile frangente (evitando peraltro accuratamente di segnalare l’acclarato fiasco delle terre di scavo dirottate in impianti di gestione rifiuti…) le virtù e i pregi di un progetto di sottoattraversamento costellato di lacune procedurali, falle progettuali e disinvolte distrazioni? Ecco perché, se le prime tre ore di presidio sotto la sede dell’Autorità di bacino in via dei Servi 15 lunedì scorso non sono state sufficienti a risvegliare l’auspicata attenzione istituzionale dell’Autorità competente (la stessa che ha lamentato: «su queste grandi opere ci piacerebbe ci fosse la sensibilità di chiedere un parere all’autorità competente»), Idra continua a oltranza ad esercitare il diritto/dovere a manifestare il proprio radicale dissenso civile, restando in confidente attesa dell’incontro tecnico richiesto.
Gutta cavat lapidem…

COSTITUZIONE 3
di Luigi Mazzella


 
La bolgia mediatica voluta dai giudici.
 
Con l’aberrante interpretazione, data dalla Corte di Cassazione all’articolo 21 della Costituzione, si entra nel vivo di una delle alterazioni più profonde, radicali e sconvolgenti della vita collettiva di un Paese operata non da un sommovimento individuale o popolare ma da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione. Fino a quel momento la collettività Italiana si era sempre comportata in maniera abbastanza civile, contenuta nei limiti della moderazione. I giornalisti narravano i fatti di cronaca ponendo attenzione alle “prove” e alla loro possibile veridicità: e ciò al fine di non ledere l’onore e la reputazione dei cittadini con il racconto di eventi infamanti e buttati lì, spesso, senza alcuna verosimiglianza. Dopo quella decisione del più alto livello giurisdizionale, tutto cambiò in un “crescendo” di bolle mediatiche, incrementato da iniziative, spesso avventate, di pubblici accusatori.
Il Paese che era stato fino ad allora all’altezza delle sue buone tradizioni di convivenza e di civiltà decadde a livelli di scontri selvaggi. Il diritto di cronaca che era stato sempre tutelato come un diritto individuale di manifestazione di libertà del pensiero e, in quanto tale, contenuto nei limiti del rispetto dell’onore e della reputazione degli altri cittadini, penalmente protetti, divenne un super potere dei cronisti, una sorta di “licenza” di ingiuriare e diffamare perché considerato da quella sentenza più come un “dovere” che come un “diritto”.
Prima Domanda: che cosa era all’improvviso e inopinatamente cambiato con quella pronuncia giurisdizionale? Lo ius narrandi era stato dai giudici della Corte Suprema sovraordinato non solo a ogni altra manifestazione del pensiero ma a ogni qualsiasi diritto individuale di libertà, considerato meritevole di tutela, anche costituzionale.



Seconda Domanda: Perché? Com’è stato possibile interpretare la norma dell’articolo 21 in modo tale da degradare l’onore, il decoro e la reputazione altrui a livelli così bassi da non meritare più quella tutela pur prevista dal nostro in molte parti dell’ordinamento giuridico? 
La risposta è agevole. Riottosi a consultare il vocabolario (e ve ne erano, già a quei tempi, di ottimi!) i supremi giudici avevano distorto, con la loro decisione, il significato della parola “pensiero” sino a confonderla con “opinione”. Scarsa dimestichezza con il buon lessico patrio e pigrizia mentale erano stati complici di una rivoluzione nei confini dei mass-media, divenuti oltre tutto più potenti e lesivi. L’arzigogolo dei giudici era partito come ovvio da una (cattiva) lettura dello articolo 21 (che recita (testualmente: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Qualche magistrato aveva rilevato che, a suo giudizio, la norma non prevedeva il diritto di cronaca che sarebbe stato pretermesso e lasciato privo di tutela. Apriti cielo! Il Collegio giudicante non aveva avvertito l’umiltà di consultare il Vocabolario della Lingua Italiana e aveva deciso in base a una scarsa conoscenza della lingua italiana. Aveva del tutto ignorato che:
a) pensiero non era sinonimo di opinione ma designava l’intera attività della mente umana;
b) che quest’ultima si esplicava sia nella formazione delle idee e quindi delle opinioni e convinzioni personali e sia nella creazione di opere dell’immaginazione (racconti, componimenti poetici, dipinti pittorici, sculture, opere architettoniche) e sia nella narrazione con coscienza critica di fatti di attualità e di storia (id est: cronaca e storia).



In altre parole, quei Sommi giudici non avevano capito che il pensiero comprendeva certamente l’opinione ma non si esauriva in essa, includendo altre manifestazioni di attività mentale, tra cui la cronaca.
In altre parole, essi, dopo avere confuso i due termini, hanno costruito un vero “pastrocchio”, nell’erronea convinzione che i Padri Costituenti si fossero dimenticati della cronaca: racconto organizzato dal pensiero di eventi e circostanze.
Terza Domanda: Perché nei tanti decenni trascorsi da quella sentenza il Parlamento non ha ritenuto di porre riparo una così grave confusione terminologica, comprendendo espressamente la cronaca tra le attività mentali del pensiero? Difficile capirlo, anche perché le aberrazioni concettuali (ulteriori e ancora più gravi) non sono finite qui. 
Nell’ovviare alla dimenticanza dei Padri Costituenti il monstrum costruito dai giudici è diventato un invincibile “Golia”. Si è ragionato così: “Se per esprimere un’opinione bisogna conoscere persone e fatti, si deve, in conseguenza, ritenere che chi tesse il racconto non si avvale di un proprio diritto di libertà ma esercita una vera e propria funzione superiore (alias: più che avvalersi di un suo diritto assolve un dovere in favore della collettività). Orbene, trattandosi di un diritto-dovere, lo ius narrandi deve prevalere su ogni altra esigenza di riservatezza o di tutela dell’onore personale”.
Conclusione: I giornalisti hanno avuto dai giudici la licenza di “sbertucciare” chi più loro aggrada, ricevendo onore e gloria! Un motto francese dice: A la guerre comme á la guerre. Il caos mediatico italiano ha origine così: l’ha prodotto non la Costituzione ma la Giurisprudenza in vena legislativa!
E quel che è peggio, nessuno ha protestato (tranne me, vox clamans in deserto, che l’ho fatto già nella mia tesi di laurea e in articoli successivi su “Il diritto di cronaca”). È ora che si ponga riparo al “pateracchio” da troppi decenni accettato come una vera e propria infelicitas Fati.

giovedì 2 ottobre 2025

SCIOPERO GENERALE
Ore 9,30 in Porta Venezia a Milano.




PER LA NOSTRA UMANITÀ, PER LA NOSTRA COSCIENZA





Questa mattina “Odissea” ha tardato rispetto agli altri giorni la sua uscita. Rassicuriamo lettrici, lettori e collaboratori che va tutto bene. Abbiamo tardato perché abbiamo usato l’intera mattinata in maniera ancora più proficua: abbiamo inviato un video. Un video con creature innocenti palestinesi ferite e disperate su cui i macellai del Governo Israeliano e il suo lurido criminale esercito si stanno accanendo da mesi. Lo abbiamo mandato a  migliaia di indirizzi email, a migliaia di contatti, a migliaia di associazioni, a migliaia di singole persone per invitarle a non restare indifferenti. Domani è per queste creature innocenti che si sciopererà.  [Angelo Gaccione]  




ONORE ALLA FONDAZIONE MUDIMA
La Fondazione Mudima di Milano unisce la sua voce alla protesta contro il genocidio.  




GUERRE E PEGGIO ANCORA  
di Alessandro Pascolini - Università di Padova


 
L'esame della situazione globale e delle prospettive mondiali non può che dar adito a un profondo pessimismo. Parole come pace e disarmo sembrano divenute irrilevanti per tracciare vie perseguibili. Il futuro è già ampiamente pianificato per un mondo sempre più militarizzato, mentre si sta smantellando l'architettura legale e operativa per la gestione pacifica dei conflitti e il controllo degli armamenti. 
Ancor più che le guerre attuali, col loro carico di spietata crudeltà, preoccupa, per la sua rilevanza a determinare il prossimo futuro, la rinnovata corsa agli armamenti sia nucleari che convenzionali, con le potenzialità dirompenti dell'applicazione di nuove tecnologie e dell'intelligenza artificiale a fini militari. Ma il fattore più destabilizzante che si sta sviluppando, e che già infetta le relazioni internazionali, è il ritorno al principio della "legge del più forte", il catastrofico collasso delle norme sviluppate nel secolo scorso contro l'uso della forza nei rapporti fra i paesi. La resistenza alla militarizzazione delle società e al ritorno al "diritto della guerra" è tutta da inventare, ma è la sola speranza per la sopravvivenza di una speranza di pace.



Terza guerra mondiale a pezzi
 L’invasione russa dell’Ucraina ci ha colti impreparati, costringendoci a prendere coscienza della vicinanza concreta della guerra e della necessità inderogabile di confrontarci con le sue conseguenze. Oggi, se il conflitto ucraino trova un impatto mediatico ormai attenuato, le stragi quotidiane che colpiscono la popolazione civile a Gaza ci rammentano con forza l’inesorabile brutalità che ogni guerra porta con sé. Ma queste due guerre "vicine" non devono esaurire la nostra attenzione: il mondo sta vivendo un livello di bellicosità senza precedenti. Secondo l'Uppsala Conflict Data Program, nel 2024 ci sono stati 61 conflitti armati coinvolgenti gli stati: il più alto numero dal 1946; altri 75 conflitti fra entità non statali hanno contribuito a un bilancio totale di oltre 160 mila vittime, in gran parte civili. Fra le motivazioni della presente ondata di guerre vanno considerate mire imperialiste, l'eredità di decolonizzazioni incompiute, un aumento dei nazionalismi, l'arbitrarietà di confini tracciati senza tener conto della situazione locale e il corrente atteggiamento che dà preminenza alla violenza per risolvere dispute e conflitti. I conflitti attuali sono sempre più intensi e complessi e impongono maggiori problematiche alla loro risoluzione e per una migliore protezione dei civili. Le perdite umane, di beni pubblici e privati, la distruzione di risorse economiche e di strutture della vita sociale e i profondi danni ecologici incombono sul futuro dei sopravvissuti e di tutta la comunità internazionale.


 
Oltre le guerre, la corsa agli armamenti
Le spese militari stanno aumentando in tutto il mondo: nel 2024 hanno raggiunto 2.718 miliardi di dollari con un mostruoso aumento del 9,4% rispetto al 2023, aumentando il peso sul reddito globale lordo dal 2,2% al 2,5%. Questo livello di spesa sui bilanci statali ha effetti sociali negativi poiché altre esigenze rimangono insoddisfatte. Gli impegnativi piani di riarmo già decisi da molti paesi  prevedono che la spesa continui a crescere. In particolare, la Cina si propone di "avanzare globalmente la modernizzazione della teoria militare, delle strutture organizzative, del personale, degli armamenti e materiali entro il 2035; trasformare pienamente le forze armate popolari in un esercito di ‘classe-mondiale’ per la metà del XXI secolo”.



Il nuovo concetto strategico della NATO imposta la sicurezza su una postura puramente militare: "forza e determinazione per difendere ogni centimetro del territorio alleato... e prevalere contro qualsiasi avversario con una capacità nucleare, convenzionale e missilistica, integrate da capacità spaziali e cibernetiche." Da qui l'impegno per ulteriori enormi investimenti nel settore militare, a raggiungere il 5% del reddito nazionale lordo dei paesi membri. Una nuova corsa agli armamenti nucleari si sta intensificando. Tutti i nove stati dotati di armi nucleari continuano ad aggiornare i propri arsenali, alcuni anche aumentando il numero di ordigni e introducendo nuove classi di vettori (sistemi ipersonici, cruise a propulsione nucleare, ...). Nel solo 2024 per queste armi sono stati spesi oltre 100 miliardi di dollari e imponenti programmi pluriennali sono in corso.  Particolarmente destabilizzante appare lo sviluppo della difesa strategica antimissile, che, se funzionasse, costituirebbe uno "scudo" antinucleare a consentire a chi lo possiede di brandire impunemente la "spada" nucleare, non essendo più vincolato dalla deterrenza. Inevitabilmente, la prospettiva della difesa antimissile sta incoraggiando investimenti in tecnologie atte a eluderla.
Tra i principali punti di competizione dell'attuale corsa alle armi nucleari, sono preminenti le capacità tecnologiche nel cyberspazio, nello spazio extra-atmosferico e negli oceani, in una competizione più qualitativa che quantitativa, rendendo inadeguate formule numeriche del controllo degli armamenti, in una totale assenza di prospettive di nuovi negoziati per la limitazione di tali armi.
L'esperienza delle guerre in Ucraina e nel Medio-Oriente sta infiammando la corsa anche di sistemi d'arma non nucleari, in particolare di guerra cibernetica, armi ad alta precisione e di grande gittata, sistemi autonomi e droni per obiettivi tattici e come strumenti di terrore contro le popolazioni. Va osservato che attualmente non esiste un quadro internazionale che disciplini i droni armati, e neppure una sede politica per discutere la questione. 


 
Il ritorno alla "legge del più forte"
Col progredire nel XXI secolo, abbiamo segni sempre più evidenti di un assalto al principio che proibisce l'uso o la minaccia della forza per risolvere le dispute internazionali, principio codificato con il patto Kellog-Briant (1928) e istituzionalizzato con la Carta dell'ONU del 1945.
Esempi significativi sono l'invasione americana dell'Iraq nel 2003, l'espansione della Cina nel Mar Cinese Meridionale, l'invasione russa dell'Ucraina, fino ai recenti attacchi di Israele e Stati Uniti contro l'Iran e i piani israeliani di annessione di Gaza e della Cisgiordania.
Anche le minacce di Trump di annessione della Groenlandia e del Canale di Panama e l'imposizione all'Ucraina di cedere territori alla Russia in cambio di un armistizio vanno considerate come pericolosi segnali del ritorno alla legalizzazione della guerra come strumento ordinario di applicazione di interessi nazionali e dell'impiego di minacce militari per costringere i paesi più deboli a svantaggiosi trattati politici o economici. Paradigmatica della nuova tendenza è anche la ridenominazione del dipartimento americano 'della difesa' in dipartimento 'della guerra'.



Come uscirne?
Se lasciata incontrollata, l’erosione del divieto dell’uso della forza riporterà la geopolitica a una cruda competizione di potere militare. Le conseguenze saranno gravi: una corsa globale agli armamenti, guerre di conquista rinnovate, un restringimento del commercio e il crollo della cooperazione necessaria ad affrontare le minacce globali comuni.
L'ONU doveva essere lo strumento attuativo dei principi del Patto Kellogg-Briant, ma la sua struttura per cui ogni azione deve passare per il Consiglio di Sicurezza, ove Cina, Francia, Russia, UK e USA hanno il diritto di veto, garantisce alle grandi potenze di perseguire ogni loro piano. Mantenere il divieto dell’uso della forza richiede un nuovo modo di operare alle istituzioni internazionali: un sistema rinnovato per garantire la pace e la sicurezza internazionali deve consentire a una più ampia varietà di stati di condividere la responsabilità di sostenere le norme giuridiche, rendendole resilienti ai cambiamenti interni di qualsiasi singolo paese.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in quanto organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, deve rivendicare una maggiore autorità per far rispettare il divieto sancito dalla Carta sull’uso della forza. Una recente riforma, nota come “iniziativa sul veto”, rimanda qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza soggetta a veto all’Assemblea Generale per il dibattito; le risoluzioni dell’Assemblea Generale approvate in base a questa disposizione forniscono agli stati un sostegno legale per coordinare sanzioni contro comportamenti aggressivi di ogni potenza e per far rispettare le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale.

 

 

 

 

A ROMA CONTRO IL GENOCIDIO




SCIOPERO GENERALE A LUCCA



Ora tocca a noi essere conseguenti! Avevamo promesso il blocco e lo sciopero generale. Che ci sia unità, una volta per tutte! 
Romano Zipolini
Presidente Anpi sezione d Lucca

 

SCIOPERO GENERALE
Ad Ancona, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Pesaro, San Benedetto del Tronto.    



  
 

OGGI A TRIESTE IN PIAZZA DELLA BORSA




 

NONVIOLENZA
È tempo di criminali e guerrafondai, ma noi non perdiamo la speranza.    




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