UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 21 dicembre 2025

VERSO L’INVERNO
di Zaccaria Gallo


Monet
                                                                                         
Now is the Winter of our discontent”: sono le parole con cui, Riccardo III Gloucester, di William Shakespeare presenta sé stesso, all’inizio dell’omonima tragedia. “L’inverno del nostro scontento”, dunque, quello che è alle porte. È così anche per noi?  Per molti di noi? Per tutti quelli che ancora si trovano nel terrore di guerre e bombardamenti, perdita di persone care, bambini, mogli, mariti, padri e madri, fidanzati, case, averi, ricordi? È così per chi soffrirà la fame, per chi è in miseria, senza un lavoro, o è ricoverato in un ospedale, o in un ospizio per vecchi, o è nella cella di un carcere, o è semplicemente solo? Proprio per non dimenticarci di nessuno di loro, facciamo questo viaggio verso l’inverno, con nel cuore, nella mente, nell’anima, la speranza che, proprio dagli incontri che faremo, possa nascere una fiammella che unisca e ridia a tutti il senso della sacralità racchiusa in questa stagione. Ed ecco il nostro incontro. È preceduto dalle note del Lied di Wilhem Muller, musicato da Schubert nel 1827, un anno prima della morte, il “Winterreise” o “Viaggio d’inverno” (ciclo di canzoni, che racconta di un viaggiatore, o meglio del viandante, respinto da un amore, il cui percorso si trasforma in un viaggio notturno di solitudine, disperazione e introspezione, attraverso una natura invernale con nel cuore il dolore, la perdita e l’abbandono). Nel Lied, il nostro viandante incontrerà un sonatore di ghironda, il suo doppio spirituale, il suo destino. Invece noi abbiamo quest’altro incontro: viene verso di noi uno stranissimo personaggio, che molti di voi, che amate l’arte, avrete già certamente incontrato sulle pareti di un Museo).   

Arcinboldo

Un vecchio, fatto di tronchi e grovigli di rami stecchiti, disordinati, a far capelli, assieme a piccole foglie di verde edera (non coprono interamente la sua testa spoglia), e un’ispida, incolta, barba; e per bocca due funghi (di quelli che spuntano dalla corteccia degli alberi) e il collo e il torace fatto di attorcigliati tronchi, avvolti in una stuoia, da cui spunta un’arancia e un limone, entrambi protesi verso di noi. Lo riconoscete? È “l’Inverno” di Arcimboldo. Ora, a ben guardare, ci sovviene l’idea che il vecchio ci stia dicendo alcune cose, che vanno oltre il suo aspetto pauroso. Vero, farà freddo, ma, con tanta legna, puoi scaldare la casa. E poi, se osserviamo bene i due frutti, intuiamo che altre cose il vecchio vuole ricordarci. Quell’arancia nel mito greco, era il dono di nozze di Giunone e Giove e, dunque, simbolo di fertilità ed amore. E il limone? Simbolo di salvezza, purezza e fedeltà amorosa (vive infatti e cresce sotto al sole, di cui prende la luce e il vivo colore, in tutto l’anno, anche d’inverno). Gli faccio segno, proprio al limone, che ha sul davanti, con una interrogazione muta, come a chieder spiegazione del perché lui lo esibisce e lui mi guarda, lo guarda, sorride con la sua bocca spugnosa e improvvisamente mi recita, roco e grave, come vento di tramontana, i versi di Eugenio Montale (simbolo dell’oasi di una natura incontaminata, in contrapposizione all’inquietudine e all’illusione della città). 


Gagnon
 
Ascoltami, i poeti laureati / si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. / Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla: / le viuzze che seguono i ciglioni, / discendono tra i ciuffi delle canne / e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. / Meglio se le gazzarre degli uccelli / si spengono inghiottite dall’azzurro:/ più chiaro si ascolta il sussurro / dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, / e i sensi di quest’odore / che non sa staccarsi da terra / e piove in petto una dolcezza inquieta. / Qui delle divertite passioni / per miracolo tace la guerra, / qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza / ed è l’odore dei limoni. / Lo sguardo fruga d’intorno, / la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga / quando il giorno più languisce. / Sono i silenzi in cui si vede / in ogni ombra umana che si allontana / qualche disturbata Divinità. / Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo / nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. / La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta / il tedio dell’inverno sulle case, / la luce si fa avara - amara l’anima. / Quando un giorno da un malchiuso portone / tra gli alberi di una corte / ci si mostrano i gialli dei limoni; / e il gelo del cuore si sfa, / e in petto ci scrosciano / le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità.  


Chagal

Non è, allora, davvero l’inverno, completamente, la stagione del nostro scontento. Guardando quel vecchio, che si allontana con la sua arancia e il suo limone, tanti ricordi nascono dalle letture fatte, affiorano e sono immagini quasi tutte di luce e speranza. Per gli antichi Egizi era la stagione del Peret, quella che seguiva l’inondazione del Nilo, stagione di felice attesa per il ritorno del Sole e dell’inizio del raccolto. Per gli ebrei, l’inverno è legato principalmente alle festività di Hanukkah, la festa delle luci e, nell’antica Grecia, era stagione di preparazione e cambiamenti del quotidiano. Eventi come le Dionisiache rustiche e le Elenee, offrivano una via di fuga dalla routine invernale e dalla solitudine delle dimore. Nell’antica Roma, si celebravano i Saturnali, festa di sette giorni in onore di Saturno, durante la quale venivano sciolti i legami sociali e si organizzavano banchetti e scambi di doni. Durante quei giorni si invertivano i ruoli sociali: gli schiavi erano serviti dai padroni ed era anche la festa del Sol Invictus (25 dicembre) il“compleanno del Sole Invitto”, poi passata al Natale cristiano. L’inverno, per gli Aztechi, era un periodo importante, soprattutto legato al solstizio d’inverno, in cui si celebrava la nascita del loro Dio del sole. Luce e luci, come in Danimarca o in Inghilterra, con la celebrazione del solstizio d’inverno a Stonehenge: druidi e folle osservano, all’alba, il sorgere del sole illuminare il cerchio di pietre. Un magico momento che simboleggia il rinnovamento e il ritorno della luce. Ecco mi allontano ora, più sereno, e mi accompagnano le note dell’Inverno di Vivaldi, tratto dal “Concerto per le quattro stagioni”. Se, nel primo movimento, Vivaldi descrive la lenta caduta dei fiocchi di neve e poi l’arrivo, con un rapido violino, del Dio dei venti, nel secondo movimento è evidente la presenza di un uomo felicemente vicino al calore del suo focolare, mentre osserva e ascolta il classico suono energico prodotto dalle gocce della pioggia tipicamente invernale. Con un’atmosfera estremamente dolce, trasmette un senso di grande pace, che poi si interrompe, però, alla fine, con i suoni che provengono dalla strada, dove c’è la gioia di scivolare, danzare sul ghiaccio. Sì, si cade, ma poi ci si rialza, gioiosi. Vivaldi, così descrive quel contrasto di emozioni che l’inverno può provocare: essere duro e difficile, ma la sua grande forza e bellezza termina sempre con un finale esaltante.
 

  

MILANO. IL PALAZZO AFORMA DI ESSE...
di Angelo Gaccione


 
E le case colorate di via Balzaretti.


L’unica immagine che sono riuscito a vedere dell’ex stabilimento Rizzoli, l’ho trovata in Rete. Naturalmente è in bianco e nero e la sua stazza, che occupava un’area considerevole già allora, quand’era stato costruito, si distendeva in quelle che sono la via Pascoli, la via Balzaretti, la via Pinturicchio e affacciava, con quello che doveva essere a tutti gli effetti l’ingresso dei dirigenti e degli impiegati, sulla piazza Carlo Erba. Non avendo all’epoca pressoché niente attorno, la struttura doveva apparire ancora più vasta. Il numero non si legge; si legge, invece, con un po’ di fatica perché le foglie degli alberi coprono alcune lettere, il nome Rizzoli che campeggiava sul frontale in alto. Bombardato nel 1943 durante il Secondo conflitto mondiale, gli andò bene e la Rizzoli poté restarvi per tutto il dopoguerra fino agli anni Sessanta, quando lo spazio non bastava più e si trasferì in via Civitavecchia a Crescenzago. A comprare il complesso fu La Rinascente che vi insediò i propri uffici e vi rimase per oltre vent’anni. Alla fine degli anni Ottanta nuovo cambio di proprietà: questa volta nelle mani della compagnia immobiliare LA SA Spa, che la cederà a sua volta alla Zurich Assicurazioni. La compagnia svizzera vi rimase fino al 2009 e alcuni anni dopo il suo trasferimento, nel 2012, l’opera di demolizione ha potuto avere inizio. Il passaggio di mano ha fatto scomparire la scritta, ma ora il numero di quella che era l’entrata si legge bene: è il numero 6 e di originale è rimasto il balconcino che sovrasta il portone. Un portone in metallo dalla graziosa trama composta da fantasiosi segni geometrici. L’area era appetibilissima e gli appartamenti realizzati dagli architetti Eisenman, Degli Esposti e Guido Zuliani, avranno fruttato alla proprietà bei quattrini dai facoltosi acquirenti. Oggi la costruzione che si è elevata di diversi piani in altezza, appare ancora più massiccia. Vista dall’alto, ha la forma sinuosa di un’ansa di fiume o di una esse e non passa di sicuro inosservata. In genere quando venivo da queste parti lo facevo per vedere le belle case in cotto di via Plinio, Piazza Carlo Erba e dintorni in finto gotico, ma di recente, girando nella via Balzaretti, mi sono imbattuto in un gruppo di case “fiorite” e colorate. La Casa della Musica ha porte, serrande, finestre e balconcini colorati di un rosso squillante; pareti esterne azzurre e nere con riprodotti strumenti a fiato, mani che impugnano rossetti e, chissà perché, dondola appeso ad un balcone, la coda di uno squalo di plastica gonfiato. Sul fianco di un’altra abitazione è riprodotto un globo con dentro gli stati del Nord America; su un’altra facciata delle gigantesche rose, e giganteschi gigli su quella di un’altra casa ancora. Una vera galleria d’arte en plein aire realizzata per il Fuori Salone dal magazine Toiletpaper di Maurizio Cattelan. Negli ultimi tempi è divenuta una moda, questa di dipingere le facciate in maniera così fantasiosa, e sta interessando diversi quartieri della città. Comunque la pensiate, alcune vie diventano meno grigie, più allegre, e attirano curiosi: anche se a volte possono apparirci kitsch.


ALBUM

Il vecchio stabilimento Rizzoli


La nuova costruzione 1

La nuova costruzione 2

La nuova costruzione 3

La nuova costruzione 4

La nuova costruzione 5

La nuova costruzione 6


La nuova costruzione 7


La colorata via Balzaretti 


La Casa della Musica


Il delfino appeso


Case fiorite 1


Case fiorite 2




Casa con Globo


IL CONTORNO

















Una pietra di inciampo 
nella zona

UNA GIOIOSA FATICA
di Giuseppe Langella


 
Questa nota è apparsa domenica 7 dicembre 2025 su l’Altravoce - il Quotidiano Nazionale. Si ringrazia la Redazione per averne autorizzato la pubblicazione per i lettori di “Odissea”.
 
Una gioiosa fatica di Angelo Gaccione (La Scuola di Pitagora, Napoli 2025, pagine 160 € 16) è il libro di una vita, come confermano le date poste in coda al titolo: 1964-2022. Raccoglie, infatti, buona parte della produzione poetica dell’autore, dalle prime precocissime prove (Le ritrovate), stupefacenti per qualità di canto, alle poesie più recenti (Le ultime), una piccola Spoon River paesana d’intonazione quasi metafisica, affacciata sul mistero della morte. In mezzo, scandito in 12 stazioni tematiche disposte in ordine approssimativamente cronologico, si svolge il lungo viaggio, anche geografico, di un uomo innamorato della vita e dei suoi doni, pacifista convinto e impegnato nella difesa dei diritti e della giustizia sociale. In questo senso, Una gioiosa fatica è un libro di spiriti e umori prevalentemente civili, dove si alternano, come ha sottolineato Tiziano Rossi nell’Introduzione, «l’indignazione e l’incitamento, il giudizio pacato e la frustata polemica, la confessione inerme, la caricatura e la gelida constatazione». Ne fanno fede anche i titoli, in specie, di alcune sezioni, dalle Arrabbiate alle Dolenti, fino alle Incivili. Non per nulla, il libro è uscito nella collana “Fendinebbia”, espressamente dedicata alla poesia civile. Vediamone uno fra i testi più esemplari, si intitola “La coppia” e chiude la raccolta; lo troviamo nella sezione de Le Ultime ed è stato scritto il 28 novembre del 2022. “Un uomo con Dio e uno senza Dio / si misero in cammino per giorni. /Alla porta della città / videro un uomo che pendeva da un gelso. / Lo avevano appeso nudo per dare l’esempio. / L’uomo con Dio si levò la giacca / e l’uomo senza Dio i calzoni. / Lo vestirono e lo seppellirono in un fosso. / Fuori dalle mura l’uomo con Dio piantò la croce / e l’uomo senza Dio sparse i semi che portava in bisaccia. / Nessuno dei due varcò la porta. / Né quello con Dio né quello senza Dio.     

Per richieste alla Casa Editrice:
info@scuoladipitagora.it 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANTEPRIME
di Alida Airaghi

La copertina del libro
 
Anticipiamo uno dei testi del Decalogo. Omaggio a Krzysztof Kieślowski di Alida Airaghi, in pubblicazione presso Ignazio Pappalardo Editore, Roma, aprile 2026.
 
Ricordati di santificare le feste  
 
Natale non è mai la festa di tutti.
La moglie tradita si illude che torni
pentito il suo uomo di nuovo
affidabile, il padre annoiato riapparso
affettuoso. Paziente decora la casa,
prepara una cena sontuosa, promette
regali ai bambini se mentono
gioia e stupore. Lui arriva impacciato
di fretta a fare gli auguri, a fingere
baci; la moglie fedele confessa
di averlo aspettato con ansia.
 
Notte di vigilia, la neve copre
il dolore di pochi esiliati da casa.
Ubriachi, ladruncoli sfiniti,
folli inseguiti da vigili e ambulanze.
Nel cerchio luminoso dei lampioni
sostano donne al freddo
specchiandosi in vetrine inesorabili.
La brava gente non esce: dopo la Messa
si chiude in una stanza, brinda
alla nascita del salvatore.
 
Ricorda, è importante. Il settimo giorno
appartiene al Signore. Non farai alcun lavoro:
tu, i tuoi figli, chi vive con te, gli animali.
Stai fermo, stai zitto, riposa. Non perderti
intorno a cercare qualcosa di nuovo.
Difendi la quiete, il silenzio, e quello
che ti è stato dato. Ricorda la festa:
il suo bene giusto, il suo bene santo.
Preserva l’incanto e il tesoro.
 
L’amante ossessiva aspetta nascosta
l’infastidito arrivo dell’amato,
già pronta a esibire bugie,
scuse fasulle, infantili ricatti.
Davvero domani è Natale, se il gelo
congela l’abbraccio di lui che accanto
rimane distante, indifferente?
Così evidente il suo disinteresse,
la sua smemoratezza mai più
riconvertibile. Lei piange.  
 
Alternative alla morte di un amore:
sezionare il già detto, riesumare
il passato, meditare vendette.
O partire. O schiantarsi con l’auto.
Sei come tutti gli altri, dice lei.
Ero pronto a cambiare, a guarire:
annaspa lui sfiancato. Passeranno
giornate rancorose, tentati
dal ritorno impossibile.
Sfrondati di sé, asciutti, muti.  

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TRADUZIONI
di Anna Rutigliano


Nadya Siyam

Hath not a Jew eyes? Hath not a Jew hands, organs, dimensions, senses, affections, passions? Fed with the same food, hurt with the same weapons, subject to the same diseases, healed by the same means, warmed and cooled by the same winter and summer, as a Christian is? (“Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano?”), sono queste le parole, tratte dal soliloquio di Shylock, protagonista dell’opera drammaturgica de Il Mercante di Venezia di Shakespeare, con cui, spesso, il professor gazawi Refaat Alareer era solito rivolgersi ai suoi studenti, nelle ore di insegnamento di letteratura inglese, presso l’università islamica di Gaza e che la poetessa e docente di letteratura inglese Nadya Siyam ha voluto fortemente ricordare il 29 Gennaio 2024, sulla rivista digitale di letteratura internazionale Word Without Borders, quale atto etico di omaggio al suo Professore, da sempre impegnato attivamente nei diritti dei giovani palestinesi e nel progetto We are not Numbers e venuto purtroppo a mancare, assieme ad alcuni suoi familiari, in seguito al raid aereo israeliano del 6 Dicembre 2023. Sul poeta Refaat Alareer mi ero espressa lo scorso ottobre sul nostro blog internazionale “Odissea”, menzionandolo assieme alle voci dei poeti e delle poetesse di Gaza appartenenti alla raccolta Il loro grido è la mia voce, Fazi editore, di cui avevo scritto una recensione. Oggi vorrei ancora una volta rendere omaggio al professore anglicista e poeta Alareer, con la traduzione di alcuni suoi versi in lingua inglese, dal titolo I am You ( Io sono te), la cui testimonianza ritengo preziosa per l’accostarsi dell’autore non solo al pensiero filosofico-pedagogico buberiano incentrato sulla filosofia della dialogicità, in cui l’Io esiste nel mondo in quanto coppia relazionale di Io-Tu, di reciprocità e intersoggettività (“Ich Und Du”), dai significativi risvolti in ambito socio-politico e culturale, particolarmente per la questione arabo-israeliana, ma anche per i richiami musicali al re del Pop Michael Jackson, che nel 1987 si proponeva sui palchi del mondo con il brano Man in the Mirror (Uomo allo specchio):



Io sono Te. (I am You)

Due passi: uno, due…
Guardati allo specchio:
L’orrore, l’orrore!
Sul mio zigomo l’estremità del tuo M-16,
macchiato di giallo.
Si espande la cicatrice a forma di proiettile
come una svastica
strisciando sul mio viso,
il dolore scorre fuori dai miei occhi
e gocciola dalle mie narici,
perforando le mie orecchie, allagando il posto in cui sono.
Esattamente quanto accadde a te
circa settant’anni fa.
 
Io sono te
Sono il passato a caccia del presente e del futuro.
Lotto per vivere come te,
combatto come te,
resisto come te.
Per un attimo la tua tenacia
sarebbe per me esempio
se non fosse che stai puntando la canna
della pistola fra i miei occhi sanguinanti.
 
 
Uno, due…
La stessa pistola,
lo stesso proiettile
che uccise tua madre
e che uccise tuo padre
lo stai usando tu ora contro di me.
 
Marchia questo proiettile fin dentro la canna,
se lo annusi, odora del mio e del tuo stesso sangue,
sa del mio presente e del tuo passato,
sa del mio presente
e del tuo futuro.
 
È la ragione per cui siamo gemelli,
stesso destino,
stessa arma,
stessa sofferenza
stesse espressioni facciali incise
sul viso dell’assassino,
tutto identico
se non fosse che nel tuo caso,
la vittima si è trasformata in assassino.
Te lo ripeto
Io sono Te.
Ma non ciò che tu ora sei diventato contro di me.
 
Non nutro odio,
voglio solo aiutarti a porre fine
al tuo sentimento di odio e morte
nei miei confronti.
Il rumore della tua pistola
ti rende sordo,
l'odore della polvere
si mescola a quello del mio sangue.
Le scintille deformano
le mie espressioni facciali.
Smetteresti di spararmi,
per un solo attimo,
smetteresti?
 
Basta solo chiudere gli occhi,
(tenerli aperti ora rende ciechi i nostri cuori),
serra gli occhi
e immagina nella tua mente
di guardarti allo specchio.
Uno, due…
Io sono Te,
sono il tuo passato:
uccidendo me
uccidi te stesso.
Refaat Alareer

 

ARTE


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Odissea” rende omaggio all’illustratore Luigi Melandri con questa mostra in cui riproduciamo ben 26 copertine di altrettanti celebri libri che la sua abile mano ha reso ancora più preziosi e accattivanti. Sono libri pubblicati da case editrici come Vallardi, Paravia, Società Editrice Internazionale, Edizioni Primavera, Utet, Edizioni Fabula, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento. [A. G.]


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