UN’ODISSEA GIUDIZIARIA E ELETTORALE
di Felice
Besostri
Mio padre
commerciava frutta all’ingrosso ai Mercati Generali di Milano allora in Corso
XXII Marzo dove ora c’è il Largo Marinai
di Italia e la Palazzina Liberty era semplicemente il posto di ristoro per gli
operatori del Mercato e non il luogo delle sperimentazioni teatrali di Dario Fo
e Franca Rame e successivamente, dopo un lungo periodo di abbandono degrado, la sede dei concerti di Milano
Classica. A quel tempo c’erano ancora carrelli a mano con uomini tra le stanghe
come animali da tiro e gli stallazzi per i cavalli e nei pressi Gualtiero
Marchesi faceva le sue prime esperienze.
La gran
parte delle sue mele e pere a quintali e persino a tonnellate veniva dall’Alto
Adige, cioè dal Südtirol, e i contadini erano tutti di lingua tedesca, quindi
non per amore di Goethe, ma di astuzia commerciale, alle medie mi fu fatto
scegliere il tedesco: fui accontentato subito perché nell’unica sezione di
tedesco di norma finiva chi non era stato accettato nelle sezioni di inglese,
con meno posti rispetto alle richieste o in quelle di francese, allora la
maggioranza perché gli insegnanti erano soprannumero. Nella mia classe eravamo
appena in due che avevano fatto domanda di essere assegnati al tedesco e
l’altro per ragioni di sangue, in quanto figlio di un militare tedesco morto in
guerra.
Ho imparato
il tedesco, anzi l’Hochdeutsch la lingua colta e ovviamente non sono mai stato
in grado di capire cosa si dicessero tra loro i contadini nelle trattative con
mio padre: la ragione per la quale mi aveva fatto studiare tedesco. In compenso
mi sono appassionato al diritto costituzionale tedesco, tanto da prendere come titolo
per la mia tesi “ Il controllo materiale di costituzionalità sulle norme formalmente costituzionali nella
Repubblica Federale Tedesca”. In italiano è già impressionante, ma in tedesco
mi avrebbe fatto vincere una cattedra, se avessi scelto la carriera
universitaria in luogo della politica (con quelle premesse ovviamente Sozialdemokrat)
e della libera professione: “Die
materielle Verfassungskontrolle über formellen Verfassungsnormen in der BRD”
La sentenza
della Corte Costituzionale è stata una decisione giuridica e lo sarà chiaro per
tutti con il deposito del testo integrale della sentenza, che ha i suoi tempi,
perché dovrà affrontare una serie di questioni non sollevate nel procedimento,
formalmente in absentia di difensori
delle norme impugnate, quelli icasticamente definiti dal prof. Michele Ainis
gli amanti del Porcellum, che come
tutti i rapporti irregolari sono tenuti nascosti (con la tipica doppia orale),
tanto che nelle giunte delle elezioni di Camera e Senato all’unanimità è stata
deliberata nel 2009 la costituzionalità della legge n. 270/2005: per favore
chiamiamola così p e non Porcellum,
espressione che non mi piace perché offensiva di un nobile animale, che non merita di essere associato
ad una delle peggiori leggi elettorali di mia conoscenza, che no è poca avendo
insegnato per anni Diritto Pubblico Comparato in Italia e all’estero. Se,
invece di Calderoli, la paternità fosse stata del sen. Schifani il nomignolo
sarebbe stato bello pronto, risparmiando porci e scrofe.
Una decisione giuridica,
che si è sottratta alle pressioni politiche di ottenere o una dichiarazione di
inammissibilità ovvero uno spostamento della decisione nella pia illusione, che
il Parlamento trovasse un’intesa, non si sa dove tanto per cominciare alla
Camera o al Senato, in un paio di mesi, quando è inadempiente dal 30 gennaio
2008, data del deposito in cancelleria delle sentenze n. 15 e 16 del 16 gennaio
2008, relative rispettivamente alla Camera dei Deputati e al Senato ella
Repubblica. Sono questioni che conosco bene, non per sentito dire, ma per
essere stato presente alla Camera di Consiglio del 16 gennaio 2008 dopo aver depositato
memorie per i seguenti soggetti, tutti sollecitando la declaratoria di
inammissibilità del quesito referendario: i Socialisti Democratici Italiani
(SDI), il Comitato promotore nazionale per il costituendo Partito Socialista,
il Senatore Tommaso Barbato in proprio e nella qualità di capogruppo del
partito/gruppo politico organizzato denominato “Popolari U.D.EUR”, l'On. Dott.
Mauro Fabris, in proprio e nella qualità di capogruppo del partito/gruppo
politico organizzato denominato “Popolari U.D.EUR”, il partito/gruppo politico
organizzato denominato “per la sinistra” e l'On. Avv. Felice Carlo Besostri, i
gruppi politici organizzati “Uniti a sinistra”, “Ars Associazione Rinnovamento
della Sinistra”, “Associazione RossoVerde-Sinistra Europea” e “Gruppo
del Cantiere”. L’opposizione, cui per la prima volta era stato ammesso un singolo cittadino elettore, il solito rompiscatole
avv. Besostri era motivato proprio dallo scopo dei quesiti del prof. Guzzetta,
referendari tesi ad abrogare ogni riferimento alle coalizioni di liste per
attribuire l’abnorme premio di maggioranza unicamente alla lista più votata:
una distorsione intollerabile all’uguaglianza di voto. La Corte, come confessò
il Presidente Gallo alla vigilia della sua sostituzione con l’attuale
presidente della Consulta Silvestri, volle trattare il Parlamento con molta
delicatezza limitandosi a dire che «L'impossibilità
di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale
non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento
l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una
legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al
raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi.»(paragrafo 6.1
sent. n.15/20089 ripetute per il Senato nelle sentenza n. 16/2008 con la
precisazione «sia pure a livello
regionale,». Un richiamo gentile, ma assolutamente chiaro perché non
usuale, ma non “con c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, come dice la
proverbiale saggezza popolare Tanto più che c’era anche un espresso invito alla
magistratura a rimetterle la questione di costituzionalità nelle vie ordinarie.
Tutti hanno sottolineato l’inadempienza del Parlamento, ma nessuno tranne i
difensori dei ricorrenti, avvocati Bozzi, Tani e Besostri, l’inadempienza della
magistratura ordinaria e amministrativa, come hanno sperimentato sulla loro
pelle a cominciare dall’avv. Bozzi, che a seguito di un ricorso d’urgenza ex
art. 700 c.p.c. è stato condannato a € 10.000 di spese legali. I giudici
amministrativi TAR Lazio e Consiglio di Stato sono stati più benevoli, perché,
dichiarandosi assolutamente carenti di giurisdizione, hanno compensato le
spese. Tuttavia la loro decisione è stata la più grave, perché hanno blindato
le leggi elettorali sottraendole contro la Costituzione (artt. 24, c.1 e 2, 25,
c.1, 101, 102, c. 2, 111 e 113 Cost) ad un controllo giurisdizionale,
affermando che gli unici organi competenti ad esaminare i ricorsi contro le
operazioni elettorali, comprese le questioni di costituzionalità, sono le
Giunte delle elezioni delle Camere elette con legge….. di sospetta
costituzionalità? Quando lo raccontavo ai colleghi costituzionalisti stranieri
in una delle 6 lingue che conosco, non ci credevano: “Ne pas possible”, “Es ist unmöglich”,”Not possible”, “Imposible”, “não é possível”,”onbestaanbaar,onaannemelijk”. Inconsapevolmente o meno si era
legittimato un”golpe de estado”
legale. Si approva una legge elettorale con premio di maggioranza senza soglia
minima o massima, quindi in teoria anche pari ai 2/3 dei seggi come era la
fascistissima legge Acerbo (legge 18
dicembre 1923, n. 2444, quindi anche se la legge elettorale fosse palesemente
incostituzionale i ricorsi sarebbe esaminati da Camere dove i golpisti
avrebbero una soverchiante maggioranza e se questa non bastasse con i 2/3
potrebbero modificare ex art. 138 Cost. senza rischiare un referendum confermativo.
Naturalmente ci vorrebbe la complicità di un Presidente della Repubblica: un
pericolo sventato dal fatto che le maggioranze Berlusconian-bossiane hanno
governato in periodi in cui non si eleggeva un Presidente. Un puro caso!
Una sentenza
giuridicamente motivata, come giuridiche erano le motivazioni degli avvocati
Bozzi, Tani e Besostri accolte finalmente in parte dalla Cassazione, Prima
Sezione, con l’ordinanza n. 12060 del 17 maggio, sicuramente meditata perché la
discussione finale del ricorso era stata svolta dagli avvocati Tani e Besostri
il 21 marzo2013, dopo che era stata rinviata senza motivazione dal precedente
21 gennaio, quindi prima delle elezioni del 24-25 febbraio. Con il senno di poi si doveva
interpretare come un orientamento favorevole, ma con il senso di responsabilità
di non rimettere alla Corte Costituzionale la legge elettorale un mese prima
delle elezioni. Nello stesso periodo il Tar Lazio, sez. IIbis spostava l’udienza del 4 febbraio al maggio
per decidere con sentenza n.5163/2013 di rigetto delle eccezioni depositata
il 22 maggio, attenendosi alla giurisprudenza tradizionale della carenza di
giurisdizione. Gli effetti della sentenza sono politici, perché gli attori
politici dentro e fuori dal Parlamento si devono misurare con le conseguenze di
una delegittimazione politica, anche se restasse legalmente in carica. Per il
Senato è pacifico avendo terminato il procedimento di convalida sulla Camera
dove la Giunta delle elezioni è stata incautamente attribuita ad un grillino,
pensando che fosse più importante dare la bicamerale per la vigilanza sulla Rai
al PdL, malgrado che il M5S l’avesse richiesta. Malgrado il chiaro dispositivo
annunciato dal Comunicato della Consulta
si insiste per il Mattarellum, che è incostituzionale in quanto il 25% della
quota proporzionale è costituito da una lista bloccata. I levatori, della
Seconda Repubblica -fosse stata una levatrice, avrebbe fatto un parto migliore-
non si rassegnano alla scomparsa di un assetto bipolare, che oltre che essere
incostituzionale non ha funzionato, nessuna stabilità nel 2006 e nel 2008 e nel
2013 abbiamo eletto un Parlamento che non arriverà comunque alla scadenza
elettorale naturale del 2018: gli ottimisti sperano di votare nel 2015. Il
bipolarismo del tipo americano o al limite francese non è mai esistito malgrado
le maggioranze artificiali dei premi di maggioranza, che sarebbe meglio
chiamare premio alla miglior minoranza. Ed ora è formalmente seppellito dal
tripolarismo dei risultati delle elezioni 2013: 1) PD e alleati
nell’Italia Bene
Comune, 2) PdL e 3) M5S. Te poli di cui i primi 2 non esistono più con SEL
all’opposizione e la scissione del PdL e la sua separazione consensuale con la Lega Nord, che si
accentuerà con le elezioni europee con una legge elettorale di sospettata di,
anch’essa, come la maggioranza delle regioni(ordinanza del TAR Lombardia sez.
III, n. 2261/13 del 9/10/ 13: La tesi della delegittimazione funzionale del
Parlamento, sostenuta anche da chi vorrebbe che questo Parlamento licenziasse
una nuova legge elettorale, non sta in piedi. Per sostenerlo non c’è bisogno di
essere un fine giurista come Valerio Onida, basta la logica. Se la Consulta ha
delegittimato il Parlamento e a cascata
è illegittimo il Presidente della Repubblica, ne conseguirebbe l’illegittimità
del Governo nominato da un Presidente illegittimo e “fiduciato” da un
Parlamento fuorilegge. Ma Parlamento e Presidente della Repubblica in questi 8
anni hanno nominato giudici costituzionale, illegittimi anche loro. Se la
composizione della Corte Costituzionale fosse illegittima sarebbe invalida
anche la sentenza che ha delegittimato il Parlamento dichiarando
incostituzionale e di conseguenza nessun
organo costituzionale è illegittimo: un cerchio perfetto con ritorno al punto
di partenza. L’alleanza sul punto tra M5S e FI ha messo in ombra gli abusivi al
Senato di FI, che ha conquistato il premio di maggioranza in mole importanti
Regioni, cioè la consistenza della sua forza di ricatto nella Seconda Camera.
Dovesse insistere questi Senatori abusivi politicamente emigrerebbero verso il
Nuovo Centro Destra. La vera partita aperta è tra i nostalgici del
maggioritario e coloro, che seguendo l’insegnamento di Pietro Nenni, ricordato
davanti alla Consulta dall’avv. Tani, ritengono che la governabilità è
assicurata dalla capacità dei partiti di rispondere ai bisogni e alle
aspirazioni della Nazione e quindi del popolo italiano e di tutti quelli che
nel nostro Paese vivono, studiano e lavorano o sperano di lavorare.