IL PENSIERO CRITICO E LA SINISTRA OGGI
di Franco Toscani
Marx |
Per dire
qualcosa sulle prospettive della sinistra oggi occorre a mio avviso ripartire
dalle rinnovate ragioni di un pensiero critico, il quale è costretto a
riproporre le proprie esigenze tenendo comunque conto di due aspetti
essenziali, assolutamente ineludibili, sui quali non abbiamo qui la possibilità
di soffermarci a lungo e con la dovuta attenzione.
Da un lato non si può
prescindere dalla crisi irreversibile, definitiva, anzi dal tragico fallimento
del comunismo staliniano novecentesco, del "socialismo reale", della
ideologia "marxista-leninista" intesa come ideologia ufficiale dei
regimi comunisti dell'Est, che ha palesemente stravolto e rinnegato le preziose
e forti istanze di liberazione umana e sociale contenute nel pensiero di Marx.
Tale esito fallimentare pesa naturalmente tuttora, non poco, sulle prospettive
di alternativa al sistema capitalistico dato.
D'altro lato, com'è a
tutti evidente, la riproposizione di un pensiero critico diventa assai ardua
nell'attuale mondo della mercificazione totale e della globalizzazione
neo-liberista che, per le sue caratteristiche strutturali, impedisce, vanifica,
ammorbidisce, comprime, isterilisce e soffoca in vari modi il pieno
dispiegamento di quelle istanze critiche e di liberazione che pure continuano a
sorgere al suo interno.
Riprendendo le analisi di
Marx, sarebbe oggi importante (come ha ottimamente mostrato nei suoi scritti
Diego Fusaro) tornare ad approfondire la critica del feticismo delle merci
nella società sirenico-spettacolare e tutte le odierne, nuove forme di
alienazione e di barbarie. Ritorna di grande attualità la critica mossa da Karl
Marx nel XIX secolo all'economia politica borghese di Smith e Ricardo, i grandi
economisti borghesi che pretendevano di considerare come leggi naturali ed
eterne quelle proprie del modo di produzione capitalistico - un modo di
produzione, invece, transeunte come tutti gli altri.
Anche oggi, date quelle
che sono le caratteristiche strutturali della cosiddetta globalizzazione - in
primo luogo, il fatto che il modello di sviluppo economico capitalistico si è
ormai esteso all'intero pianeta, trasformato in un unico e gigantesco mercato
mondiale -, l'ideologia neo-liberista dominante - come ideologia della classe
dominante responsabile sia della gravissima crisi economica mondiale in cui ci
dibattiamo sia della mistificazione e dell'occultamento menzognero che la
ricoprono - ritiene intrascendibili le condizioni socio-economiche in cui
viviamo e condanna all'utopia astratta tutto ciò che non rientra in quanto essa
ha stabilito.
Va invece ribadito con
forza che una nuova globalizzazione sarebbe possibile - non più sotto il segno
del trionfo del capitale e delle merci, del denaro e del mercato -, capace di
salvaguardare l'ambiente e l'umanità dell'uomo, di conservare il meglio della
nostra eredità culturale, di restituire spessore alla svuotata parola
democrazia, nella direzione di una nuova civiltà dell'uomo planetario, indicata
con forza soprattutto - nei suoi scritti profetici, oggi piuttosto
sottovalutati o dimenticati - da Ernesto Balducci.
Simmel |
Ora, non solo la lotta per
questa nuova globalizzazione e civiltà planetaria si presenta molto difficile e
ardua, ma tutto congiura a far sì che le stesse frequenti e gravi crisi
economico-sociali e politiche riguardanti il mondo capitalistico siano rivolte
a far pagare i loro costi soprattutto alle classi subalterne, cioè a coloro che
non ne sono responsabili e che, anzi, ne subiscono le peggiori conseguenze. La
crisi in atto - ha scritto recentemente Paul Krugman - è una "guerra
sociale scatenata dai super-ricchi che pretendono di essere esentati dal
contratto sociale".
Di mondo rovesciato (verkehrte Welt), capovolto, a testa in
giù parlava già Marx nel XIX secolo a proposito dell'economia e del mondo
capitalistico del suo tempo. Noi ci ritroviamo ancora nelle stesse condizioni.
L'aspetto più grave consiste nel fatto che stanno crollando e scomparendo la
fiducia nell'uomo, la speranza collettivamente condivisa in un mondo più
giusto, conviviale e solidale, i progetti etico-politici rivolti alla
trasformazione del mondo. Come ha rilevato Luciano Gallino, la classe dei
vincitori sta conducendo una tenace e spietata lotta di classe contro la classe
dei perdenti.
Nella situazione caotica e
depressiva del mondo attuale, servirebbe oggi, come il pane, una nuova
antropologia della contemporaneità che, nel "villaggio globale" che è
ormai diventato il nostro pianeta, comprendesse e favorisse il movimento nella
direzione di una nuova civiltà planetaria, dell'avvento dell' "uomo
planetario", come appunto amava dire Ernesto Balducci.
Avviene invece che
all'indubbio aumento di potere, tecnologia e sapere proprio del nostro mondo
corrisponda paradossalmente una diminuzione della saggezza e l'accentuazione di
nuove forme di alienazione e barbarie.
Occorre dunque sì ancora
cambiare il mondo (come voleva la undicesima Tesi su Feuerbach di Marx, che suona: "Die Philosophen haben
die Welt nur verschieden interpretiert, es kömmt drauf an, sie zu
verändern", "I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il
mondo; si tratta di trasformarlo"), ma il cambiamento veramente necessario
passa oggi attraverso la ineludibile coscienza ecologica, così che, come
mirabilmente scrive Günther Anders in Die Antiquiertheit des Menschen
(1956-1980): "Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in
larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra
collaborazione. Nostro compito è anche d'interpretarlo. E ciò, precisamente,
per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di
noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi".
Il nostro mondo ha
urgentemente bisogno di un nuovo sapere antropologico e, soprattutto, di buone
pratiche della convivenza tra i popoli e le culture della Terra. Nel suo
linguaggio, Feuerbach parlava dell'esigenza di una Philosophie der Zukunft (filosofia dell'avvenire) e il problema si
ripropone in forma nuova anche nella nostra epoca.
Si tratta per noi oggi,
ancora una volta, di ritrovare il senso di un'universalità culturale concreta
capace di oltrepassare gli orizzonti angusti di ogni cultura etnocentrica e
nazionalistica, di recuperare il senso della nostra umanità perduta, di tutta
l'umanità - non solo di una sua parte, magari privilegiata - e, insieme, il
senso del nostro rapporto con le cose, il mondo intero, la verità.
All'inizio del XX secolo,
nella sua Philosophie des Geldes (Filosofia del denaro, 1900), Georg
Simmel osserva che il linguaggio sta diventando sempre più scorretto e banale,
sempre meno dignitoso e tutto si sta trasformando nella nostra civiltà in
qualcosa di più piatto, di meno interessante e serio. Egli nota pure che si
assiste a un netto predominio di quella che chiama la "cultura oggettiva"
sulla "cultura soggettiva", sulla vita interiore e soggettiva.
All'enorme accrescimento
della "cultura delle cose" e delle tecniche corrisponde
un'arretratezza della cultura delle persone, dello sviluppo spirituale degli
individui. Simmel è ancora convinto, all'inizio del XX secolo, che la
"cultura oggettiva" (o "delle cose") sia essenzialmente la
cultura degli uomini che, forgiando e coltivando le cose, plasmano e coltivano
sé stessi in un processo di "elevazione dei valori", ma si interroga
inquieto sulla enigmaticità e sulla crescente discrepanza esistente fra
"cultura oggettiva" e "cultura soggettiva", fra i prodotti
della civiltà e l'esistenza frammentaria e squilibrata degli individui. Simmel
avverte che i cosiddetti fini ultimi divengono illusori nel momento stesso in
cui si assiste ai progressi e alla valorizzazione della tecnica, al trionfo
della ratio strumentale-calcolante, al predominio dei mezzi sui fini, dei
prodotti e degli apparati sugli individui.
A proposito del dominio
della tecnica, egli scrive nel capitolo "Der Stil des Lebens" ("Lo stile della vita") della sua Filosofia del denaro: "Questo
predominio dei mezzi sui fini si riassume e culmina nel fatto che la periferia
della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si sono
impadronite del suo centro, di noi stessi".
Adorno |
Al centro non vi sono più,
infatti, la qualità della vita e delle esperienze, il valore dei rapporti e
della comunicazione non effimera tra gli uomini, la spiritualità. Non vi è anzi
più nulla di definitivo nel centro dell'anima, tutto è liquido e fluisce senza
alcun reale raccoglimento e consistenza. Il denaro, in questo sistema di vita,
diventa "il mezzo dei mezzi", la tecnica più generale, la potenza
comprensiva e totalizzante che ci allontana dagli scopi essenziali e autentici
della vita, nel momento stesso in cui ci consente l'accesso alle cose e il loro
possesso.
Che cosa direbbe oggi
Simmel? Credo che oggi inorridirebbe. Gli è stato risparmiato uno spettacolo
deprimente, benché in apparenza luccicante e variegato: lo spettacolo
senz'anima proprio della società sirenico-spettacolare.
Come ha già notato Martin
Heidegger nei Bremer Vorträge (1949),
"das Entsetzliche schon geschehen ist" ("il terrificante è già
accaduto"). Il terrificante consiste nel venir meno e nell'oblio sempre
più marcato del senso dell'umanità dell'uomo, del coseggiare della cosa e del
mondeggiare del mondo. Il terrificante è già accaduto e sta ancora accadendo
sotto i nostri occhi senza che si profili davvero all'orizzonte un'inversione
di rotta e un'alternativa praticabile allo stato attuale delle cose.
Nel trionfo odierno dell'
"individualismo senza individuo" (come lo ha ben definito Tito
Perlini), l'essenza dell'uomo è svilita, degradata e si affaccia sulla scena
del mondo una nuova ideologia (intesa come manipolazione e falsa coscienza, nel
senso critico-negativo privilegiato da Marx) che pretende - falsamente e
surrettiziamente - di non aver nulla a che fare con qualsivoglia ideologia.
Troppo pieno di sé, colmo
della sua vanità e volontà di potenza, l'io è di fatto svuotato di senso, preda
dei meccanismi del sistema dello spreco e del consumo, della produzione e
mercificazione totali. Ridotto alla mera logica dell'avere, della produzione e
del consumo illimitati, l'uomo diventa essenzialmente un consumatore e
produttore che non conosce più sé stesso, il senso della propria vita, la
misura, il proprio destino, la verità.
L'uomo oggi è sempre meno
in grado di soppesare, valutare e distinguere ciò che è essenziale e ciò che è
inessenziale.
La "dittatura del
tempo sprecato" (secondo un'azzeccata espressione di Claudio Magris), il
primato assoluto del profitto economico, il dominio del bla bla, del
chiacchiericcio massmediatico e non, della società sirenico-spettacolare, delle
incombenze tecnico-burocratiche, delle pratiche esteriori, di ciò che i grandi
esponenti della Scuola di Francoforte come Adorno, Horkheimer e Marcuse
chiamarono nella seconda metà del XX secolo l' "amministrazione totale del
mondo" conducono all'inaridimento e all'impoverimento dell'umano,
all'eclissi della politica e della qualità della convivenza. Dell'umano resta
sempre di più solo la scorza superficiale.
L'accelerazione
sistematica di tutto ciò che concerne la produzione e il consumo, l'efficienza e la funzionalità
del sistema, il lavoro e la comunicazione massmediatica, il denaro e le merci,
la tecnica e lo spettacolo, il capitale
e il mercato rende un inferno quotidiano la vita degli individui delle
società cosiddette avanzate, sottratta a ogni effettiva possibilità di vivere
le dimensioni essenziali della meditazione e della contemplazione, del
linguaggio e della comunicazione tra persone, della preghiera, dell'ascolto,
dell'attenzione e del dialogo autentici.
In queste condizioni si
pretende di vivere al massimo, ma in realtà "la vita non vive"
(secondo il celebre aforisma di Theodor Wiesengrund Adorno) o vive
prevalentemente sul piano dell'apparenza, della menzogna, dell'effimero,
dell'illusione.
Così può scrivere un
grande filosofo come Karel Kosík, nel saggio La morale al tempo della globalizzazione (1999): "l'uomo
persiste nella sua presunzione di essere signore e padrone, cosa che tanto
nettamente contrasta con la sua posizione servile. La dialettica del padrone e
del servo si svolge come burlesca ironia della storia. (...) Al posto della
differenza tra bene e male è di scena una distinzione sostitutiva,
surrogatoria: non bene e male, bensì priorità del rendimento, del successo, del
profitto, della redditività, dell'ascesa rapida e dell'arricchimento. (...)
L'umanità è murata in un ingannevole gioco di specchi. Gli uomini, imprigionati
nello specchio falso, ma incantatore dei mass media, levano lo sguardo sulle
celebrità planetarie e le venerano come modelli irraggiungibili. Alla stregua
di incatenati prigionieri di uno scatenato soggettivismo imperiale,
caratteristico dell'età della globalizzazione, proiettano la propria smisurata
bramosia nello spazio e nel tempo: considerano questa realtà deformata l'ultima
parola della storia" ( K. Kosík, La
morale al tempo della globalizzazione, 1999, in Id., Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia. Saggi di pensiero
critico 1964-2000, a cura di G. Fusi e F. Tava, Mimesis, Milano 2013, pp.
258-259).
Così l'uomo si arrende
all'inessenziale e rinuncia al sostanziale, cede alla presunta fatalità di un
mondo in cui non sono più in primo piano la bontà, la giustizia, la virtù,
l'etica, ma vincono la perdita di senso, il vuoto della morale, la corruzione e
la mafiosità, l'opportunismo e il cinismo, la legge dei più forti e dei più
ricchi, la storpiatura, la burla, la perdita del gusto, la decadenza della
lingua, il degrado dello stile di vita e dei comportamenti, la farsa, il
grottesco, l'assenza di pensiero e di spirito critico.
Horkheimer |
Ancora Kosík rileva nel
saggio Lumpenborghesia e superiore verità
spirituale (1997): "Il capitalismo odierno non è solamente un motore
potente che vomita una varietà indescrivibile di merci, di artefatti, di
informazioni, di attrazioni, produce inoltre, e in un certo senso soprattutto, vuotezza
e sterilità. Da una parte profitti e comfort, dall'altra povertà di spirito e
d'animo: il dritto e il rovescio della stessa moneta. Lo svuotamento, la noia,
la droga, il porno, la trivialità sono fenomeni connessi, scaturiscono dalla
stessa fonte" (K. Kosík, Lumpenborghesia
e superiore verità spirituale, 1997, in Id., Un filosofo in tempi di farsa
e di tragedia, cit., p. 250. Su Kosík si veda fra l'altro L. Cesana- C. Preve, Filosofia della verità e della giustizia.
Il pensiero di Karel Kosík, Petite Plaisance, Pistoia 2012 e F. Toscani, L'epoca del Gestell. La tecnica, l'uomo e
il sistema, in AA. VV., Sulla via
della polis infranta. Assedio ai diritti e manipolazione globale, a cura di
S. Piazza, Cleup, Padova 2004, pp. 103-133).
Molti segni, ancor oggi,
vanno nella direzione dello stravolgimento dell'intero senso dell'esistenza
umana, del declino e forse della scomparsa dello spirito. Non proponiamo
ricette prefabbricate e infallibili, ma
innanzitutto la coscienza di ciò che è inaccettabile e che va trasformato.
Il XX secolo è stato per
Kosík il "secolo di Grete Samsa", la sorella di Gregor Samsa, il
personaggio che, nel racconto di Kafka Die
Verwandlung (La metamorfosi,
1911), nel giro di una notte si ritrova trasformato in un insetto. Grete non riconosce
più suo fratello, lascia che la domestica rimuova i resti di Gregor come se
fosse un animale schifoso ed è il simbolo della disumanizzazione, del trionfo
di un'umanità mediocre e meschina, irretita nei meccanismi del mondo alienato
della pseudoconcretezza e nella banalità della vita quotidiana.
Ricerchiamo spiragli di
luce per quell' "animale non stabilizzato" (Nietzsche), imprevedibile
e aperto al senso della possibilità che è l'uomo. Non è facile intravederli.
Nella lunga storia della
cultura occidentale ragione e sentimento, pensiero e cuore, sfera intellettuale
e sfera affettiva sono stati troppo a lungo separati e concepiti in termini
dualistici. Anche qui registriamo uno dei dualismi metafisici tipici della
cultura occidentale e pure a causa di ciò il mondo è rimasto a lungo un mondo
senza cuore o - come sostengono Ezechiele e Geremia (cfr. Ez 11, 19-20; Ez 36,
26-27; Ger 31, 31-34) - con un "cuore di pietra". Sono più che mai
necessari, invece, un "cuore nuovo", una μετάνοια (conversione) dei cuori
e delle menti, l'esercizio dell'Einfühlung
(empatia), ossia della capacità di
immedesimazione, di sentire l'altro, di metterci, in qualche modo e per quanto
possibile, nel suo punto di vista.
Ora, una ragione non
caratterizzata dalla παρρησία - ossia dal parlare libero e schietto, fresco e
franco, caro alla grecità antica - e non finalizzata all'amore, alla
condivisione, alla fraternità, alla giustizia, alla pace, alla solidarietà tra
i popoli e le culture rimane certamente arida e - nella nostra epoca così
fortemente condizionata dall'illimitata volontà di calcolo, potenza e dominio -
rischia di condurre, come mera ratio strumentale-calcolante, alla
desertificazione dell'uomo e della Terra.
Rispetto a tutto ciò la
cultura politica della sinistra oggi mi sembra, nel suo complesso, del tutto
inadeguata e non all’altezza. A destra e a sinistra dilaga una retorica
rabbrividente del riformismo: quasi tutti, a destra e a sinistra, si riempiono
la bocca di parole come “riforme” e “riformismo”, che risuonano però come mere
parole vuote, seduttive, appunto retoriche. E’ questa la politica-spettacolo
perfettamente inserita nei meccanismi e nelle modalità tipiche della società
sirenico-spettacolare di cui è parte ed espressione. E’ questo ciò che oggi
prevale, ma, se non torneremo a riscoprire le ragioni autentiche di un pensiero
critico e di una cultura politica della sinistra al servizio dell’umanità planetaria
– e non delle oligarchie economico-finanziarie oggi dominanti e profondamente
influenti sulla politica odierna –, non solo non faremo passi avanti, ma la stessa sinistra perderà pure il suo
peculiare senso d’essere.