MORALITÀ ED EFFETTUALITÀ
di Fulvio Papi
La
nostra epoca sta vivendo, forse senza saperlo con chiarezza, la ben nota
contraddizione tra i contenuti del dire della parola e le condizioni del fare
della prassi. È a tutti evidente il fenomeno di migliaia di migranti dalle
guerre, distruzioni, condizioni di pericolo, di persecuzione, di assoluta
indigenza, che sfidano l’ostilità del mare con improvvisate imbarcazioni e
cercano di raggiungere le coste europee. Per comprendere le loro condizioni si
potrebbe meditare sui significati che porta con sé la parola “salvezza”. Non è
un fenomeno nuovo la migrazione, la novità consiste nella proporzione numerica
di migranti che pure, almeno per ora, non ha la caratteristica vera e propria
di migrazioni di popoli quanto l’innalzamento delle acque, comunque previsto
con un aumento della temperatura terrestre di due gradi, sarà un fenomeno che
riguarderà più di un miliardo di esseri umani.
La contraddizione. L’una
tesi, di cui è l’espressione più autorevole è quella di papà Francesco, parla
della necessità morale, di derivazione evangelica, dell’accoglienza di chi,
disperato (o con qualche residua speranza), la chiede. Il sottinteso è che
tutti gli uomini hanno diritto alla vita senza discriminazioni di alcun tipo.
La fratellanza, in Dio e in terra, con i più infelici e tormentati richiede, in
ogni caso, l’accoglienza nelle nostre terre. È un imperativo religioso che ha
la sua traduzione laica nell’umanesimo europeo. Dalla parte opposta vi è la
decisione di alcuni stati europei di creare sbarramenti alle proprie frontiere,
immagine soprattutto come deterrente per latre ondate migratorie. Non è una
semplice questione di “buoni” e “cattivi”. I motivi non sono affatto difficili
da capire. Lo sviluppo capitalistico, pur con tutte le sue gravi distorsioni
civili e morali, in queste nostre regioni ha creato condizioni di vita e di
pratica sociale e individuale che si sono consolidate e hanno creato figure
viventi con una identità di se stessi tramite consumi sociali come modi di vita
(simili in questo al linguaggio) che ritengono ogni mutamento che venga
dall’esterno come un pericolo che può mettere in crisi l’equilibrio. Vi sono
poi paesi che si augurano di raggiungere quelli più fortunati e quindi hanno lo
stesso comportamento. La decisione è quindi di sbarrare l’accesso ai propri
territori, sostenendo che i migranti debbano tornare indietro accettando il proprio
destino di sofferenze e di morte. “A chi tocca tocca” come si dice dalle parti
dei “Promessi sposi”. Ma, appunto, è
la peste.Tra questo comportamento e
quelle parole vi è dunque un abisso. Cerchiamo di esplorarlo. Le parole non
sono vuote, hanno il correlato della “coscienza”, ma presuppongono che la
soluzione del problema sia secondaria rispetto all’obbligo morale. Una questione
di efficacia pragmatica guidata da una buona volontà. La soluzione significa
però entrare nella prospettiva, quanto mai concreta, che l’Europa sono gli
europei. Il che vuol dire tenere conto non di uno stato immaginario con i
poteri del bene e del male, ma di organismi politici che devono legittimarsi attraverso
il consenso di un’opinione pubblica che considera già ora insoddisfacenti le
condizioni sociali per il lavoro non sufficiente per i giovani, e soprattutto
per la situazione futura. In concreto, se si bada alla reale percezione e non
necessariamente ad un desiderio intellettuale, l’accoglienza vuol dire mettere
in condizione le popolazioni di temere di perdere qualcosa rispetto alla loro
situazione. Sono finiti i tempi quando gli scrittori marxisti francesi notavano
che l’emigrazione nordafricana realizzava (in una serie di lavori) il proposito
capitalistico del minimo salario possibile. E sono finiti i tempi
dell’emigrazione turca in Germania quando l’insieme dello sviluppo produttivo
tedesco aveva bisogno di una forza lavoro che non era sufficiente considerata
la riproduzione demografica locale. Allora era lo sviluppo capitalistico a
interpretare positivamente i flussi migratori e, nei limiti di questo contesto,
non vi erano problemi particolari di difficile soluzione. In Italia abbiamo
l’esempio dell’migrazione dal Sud nel periodo del cosiddetto “boom economico”
che, correttamente, non era che una espansione capitalistica, tenuti presenti
gli equilibri europei, la semplicità della tecnologia, e l’assoluta
competitività dei salari, tra i più bassi del continente. Ora l’Europa è ancora
una zona ricca del mondo ma in condizioni molto diverse, ha una eccedenza di
forza lavoro soprattutto (in Germania in proporzioni molto differenti) a
livello giovanile, è in condizione difficile per mantenere il livello
precedente delle garanzie sociali, ha un arretramento sensibile della
condizione del cosiddetto “ceto medio”, non si sente protetta a sufficienza da
forme diffuse di anomia sociale, anzi teme contaminazioni, dal punto di vista
della sicurezza, proveniente da culture religiose diverse. E a questa
situazione di difficoltà corrisponde, dal punto di vista etico, un
individualismo materialmente diffuso che ha come ideale lo stile di vita di un
tempo passato, con una profonda delusione per la sua perdita. D’altra parte le
misure che qualsiasi dirigenza politica, condizionata dal consenso come
sicurezza del potere può prendere, sono condizionate dalla situazione sociale
esistente e dalle aspettative di una maggiore disponibilità di risorse per le
proprie condizioni individuali. Credo sia inutile non vedere la situazione. Una
degna accoglienza di milioni di profughi passa per una parziale modificazione
della vita degli europei. Come e quanto e in che modo, non lo sa nessuno, ma
questa è l’oscura paura che in alcuni paesi trova consenso al blocco delle
frontiere. Forse la generazione futura europea, con un’altra educazione nel
rapporto con la realtà, potrà rendere più facile il problema. Oggi restano
misure che cercano di conciliare l’ostilità di molte popolazioni con un livello
etico che appartiene alla tradizione e alla storia europea, attraverso modalità
di inclusione e di esclusione, di accoglimento e di sicurezza. In teoria rimane
sempre il discorso, facile a dirsi, della creazione nei luoghi di origine di
condizioni di vita accettabili per le popolazioni, ma questa prospettiva è del
tutto astratta, poiché in tutto il Medio Oriente e, in parte, in Nordafrica non
è facile immaginare possibile né dall’interno, né dall’esterno, un assestamento
pacifico e durevole. Tra moralità ed effettualità è sempre esistita una
differenza molto importante, oggi è in questa differenza che ci troviamo a
vivere, né rinunciare alla moralità, né poter ignorare l’effettualità.
Occorrerà trovare sempre una provvisoria strategia e chiedere agli europei
qualche necessario mutamento che è abbastanza facile trovare nella eliminazione
degli sprechi e degli eccessi. Anche se questo comportamento può condurre a una
diminuzione della redditività dei capitali. Non vorrei proprio esagerare, ma
non è male ricordare che è stata la prospettiva di “lacrime e sangue” di
Churchill a salvare l’Europa dalla catastrofe. Ci dovrebbero essere sempre
risorse sufficienti per affrontare con spirito adatto situazioni di emergenza.