VALDESI E RESISTENZA
di Franco Sarcinelli
Una lettura di due libri su Willy Jervis. Una figura
di valdese
e di partigiano antifascista.
Cippo alla memoria di Jervis e altri partigiani |
Continua anche agli inizi del nuovo
millennio la pubblicazione di libri su figure protagoniste dell’antifascismo che
aiutano ad approfondire la conoscenza di quell’evento quale la Resistenza, una
svolta fondamentale nella storia del nostro paese. Ciò permette di mantenere i
riflettori accesi su vicende e personaggi che il passar del tempo porta a
dimenticare e, in ogni caso, a ridimensionare. È il caso di Willy Jervis,
figura emblematica della resistenza piemontese. Ne parlano Lorenzo Tibaldo in Quando suonò la campana. Willy Jervis
(1901-1944) del 2005 e Federico
Jahier in La guerra della Valli valdesi,
del 2015, entrambi pubblicati dalla casa editrice Claudiana. Nato nel 1901, Jervis
cresce in un ambiente familiare legata alla religione valdese, segue le orme professionali del padre
direttore tecnico della Lancia a Milano, si laurea in ingegneria meccanica. Amante della cultura anglosassone ereditata
dai suoi antenati inglesi, coniuga uno spirito eminentemente pratico ed un
grande amore per la montagna - scala tra l’altro la parete Nord del Monviso - con una assidua riflessione sui temi ispirati
dalla fede. È membro attivo del movimento giovanile valdese come la moglie Lucilla
Rochat, che sposa nel 1932, ed è coinvolto in prima persona nella rivista
“Gioventù valdese”, che raccoglie il meglio della intellettualità valdese
progressista sia sul campo teologico che politico fino alla sua soppressione da
parte del regime fascista.
Di poche
parole, ma affabile con gli amici e gioviale in famiglia, vive una importante
esperienza umana e di lavoro dal momento in cui comincia a lavorare dal 1934 presso
la filiale di Bologna della Olivetti e
l’anno seguente ad Ivrea, dove
assumerà presto il compito di
capo del centro formazione meccanici. La fabbrica diventa nel tempo, come scrive
Tibaldo “un cenacolo degli antifascisti”. Nel 1934 un fiduciario dell’Ovra infiltrato
negli ambienti antifascisti torinesi annota: “La casa degli Olivetti a Ivrea è
un centro molto importante. Tutti gli
Olivetti sono tarati”. Tibaldo sottolinea lo stretto intreccio di Jervis con Adriano
Olivetti per “un comune sentire di idee, convinzioni, valori”. Pertanto, raccontare
la storia di Jervis entra a pieno titolo
entro il quadro di una fabbrica così significativa come la Olivetti e di una famiglia di imprenditori che
costituisce un “unicum”nella storia dell’industria italiana del ‘900. La
situazione precipita con la caduta del fascismo e l’avvio della Repubblica
sociale dopo l’8 Settembre.
La copertina del libro di Lorenzo Tibaldo |
Già il 9 di
Settembre del 1943 Jervis aderisce in una riunione a Ivrea al primo nucleo di
antifascisti pronti a promuovere la lotta armata antifascista e l’11 di
settembre egli è tra coloro che in un ufficio della Olivetti dopo la giornata
lavorativa costituiscono il comitato interpartitico che darà vita al CLN di Ivrea. Jervis, sotto la copertura della direzione
della fabbrica, inizia una intensa attività
per portare in salvo in Svizzera attraverso sentieri montani a lui ben
conosciuti ebrei, antifascisti braccati dalla polizia e militari alleati
fuggitivi dopo la cattura da parte dei
tedeschi. A Berna grazie al suo ottimo inglese entra in contatto con l’OSS (
Office of Strategic Service) diretto da Allen Dulles per ottenere lanci di armi
e munizioni dagli aerei alleati a favore delle formazioni partigiane delle
valli valdesi ( Val Pellice, Val Chisone, Val Germanasca). Ma il 10 Novembre è
perseguito da un mandato di cattura che egli riesce a mandare a vuoto grazie
l’ospitalità che Adriano Olivetti gli concede nella sua villa presso Ivrea, la Villa
Ambrosetti. Presto deve abbandonarla per motivi di sicurezza e si rifugia in
Val Pellice, dove si sente maggiormente protetto e dove può intensificare la
sua attività partigiana. Diventa il
principale agente di collegamento delle formazioni di Giustizia e Libertà nell’arco
che va dalla sua valle di residenza fino all’alta Val di Susa. La sua è una
attività febbrile di sostegno e di spostamenti da un luogo all’altro, porta
munizioni e messaggi, fa la spola tra le valli e Torino per diffondere i
comandi che arrivano dal centro, dà vita con altri al giornale clandestino “Il
Partigiano Alpino”. In particolare, Jervis sfrutta le sue competenze tecniche
per trasportare e maneggiare candelotti di dinamite e già a fine del ’43 aveva
dato disposizione in fabbrica di “progettare e costruire in azienda un
dispositivo a pressione variabile per provocare l’esplosione di mine”. L’11
Marzo del 1944 è fermato mentre passa in motocicletta al ponte di Bibiana, che segna l’accesso alla Val
Pellice e gli trovano un tubo di esplosivo che aveva preso in una miniera di talco e messaggi
compromettenti, come altro materiale di
propaganda viene trovato nella successiva perquisizione nella sua casa, oltre
che 10 sterline avute per il supporto da lui offerto ad Adriano Olivetti nel
suo espatrio in Svizzera, particolare che non rivelerà mai nonostante le
torture subite in carcere per farlo parlare. Portato nella caserma di Luserna e
sottoposto a violenze di ogni genere senza che gli si cavi un solo nome di
altri antifascisti è consegnato alla Gestapo di Torino. La direzione della
Olivetti mette a disposizione una cifra assai consistente per avviare la sua
liberazione ma non ottiene alcun risultato. Neppure lo scambio con un alto
ufficiale tedesco prigioniero dei partigiani va in porto e le lunghe trattative
terminano con un nulla di fatto. Come risposta ad un attacco partigiano del 3 Agosto
1944, i tedeschi avviano la operazione Nachtigall
- letteralmente “usignolo” - nella valli valdesi mettendole a ferro e fuoco e
seminando morti e rovine, diffusamente descritte e documentate con fotografie
d’epoca nel libro di Federico Jahier.
La copertina del libro di Federico Jahier |
Il 5 Agosto Jervis ed altri 4 partigiani
vengono portati e messi al muro nella
piazza di Villar Pellice. Il racconto dell’evento lo si trova nel libro di
Federico Jahier ed il protagonista è un ragazzino di 13 anni, Enrico, figlio
del pastore valdese del paese che ha il giardino della abitazione prospiciente
la Piazza. È lui, che sgattaiolando tra i soldati tedeschi passa davanti ai
prigionieri e riceve un cenno da Jervis che vorrebbe parlargli ma ciò viene
impedito dall’intervento rude di un militare delle SS. È sempre Enrico che il
mattino dopo una nottata in cui si erano sentiti spari in continuazione per tutta
la valle, guardando dal giardino intravvede un cadavere penzolante da un
lampione, quello di Willy Jervis. Poi verrà
ricostruita la serie degli eventi: nella notte tra il 5 ed il 6 di Agosto dei 5
partigiani custoditi in piazza 4 erano stati fucilati ed il quinto era morto lanciandosi
da un muretto nel tentativo di scappare. Successivamente i visi dei
partigiani già cadaveri erano stati
deturpati e appesi con un laccio al collo, due dai lampioni della piazza, uno
da olmo e il quarto da un balcone così da terrorizzare gli abitanti del posto.
Il ritrovamento della Bibbia personale di Jervis vicino
ad un muretto favorisce il
riconoscimento del suo corpo. All’interno
della copertina nera Jervis aveva inciso con uno spillo la seguente scritta: “Dio vi benedica e vi guardi. Ci rivedremo lassù. Bacia i
bimbi per me poverini. Sii forte con loro. Il tuo Willy”. Alla moglie Lucilla Jervis lascia tre figli,
Giovanni (che diventerà uno dei più importanti psicoanalisti italiani), Letizia
e Paola. Appena rientrato dalla Svizzera Adriano Olivetti spedisce a Lucilla in
data 26 maggio 1945 una lettera in cui
scrive: “Desidero con questa lettera assicurarLa che sia la società, che io
personalmente considereremo un grande privilegio quello di poter dar prova
dell’amicizia che ci legava a Willy. In linea di massima desideriamo provvedere
interamente al mantenimento dei Suoi figlioli […]. Desideriamo inoltre di
stabilire un quid annuo per Lei quale forma di integrazione alla liquidazione
che concorderemo con l’intesa che esso
possa essere variato a seconda
dell’effettivo valore della moneta”. Il ricordo di Willy Jervis unisce ancor
oggi due località del Piemonte, Villar
Pellice e Ivrea. A suo nome è intitolata la piazza del paese dove fu ucciso, a
suo nome è intitolata la strada di Ivrea
dove si affacciano gli stabilimenti e gli uffici della Olivetti. Questo collega
unisce idealmente due personalità, Willy Jervis
e Adriano Olivetti, che, come
altre nobili figure di quegli anni, hanno dato in modi e ruoli diversi prestigio alla
storia del nostro paese e che rappresentano la concreta incarnazione di valori
troppo spesso trascurati e dimenticati, come se le pagine di quella storia
fossero ormai ingiallite e destinate ad essere definitivamente messe da parte. Contro
questa tendenza di negazione della memoria e di mistificata revisione di quei
fatti storici i due libri di Lorenzo Tibaldo e di Federico Jahier rappresentano una testimonianza preziosa per documentare
il contesto vivo e concreto di quegli avvenimenti e sottolineare il rigore morale ed ideale di chi, come Willy Jervis, è stato in prima
linea a combattere il nazi-fascismo fino al sacrificio dei suoi affetti
familiari e della sua stessa vita.
Lorenzo Tibaldo
Quando suonò la campana. Willy Jervis (1901-1944)
Torino, Claudiana
2005
*
Federico Jahier
La guerra nelle valli valdesi
Torino, Claudiana 2015.