Giuseppe Martucci ci ha lasciato
di Cataldo Russo
La rivista Artecultura |
È morto il
direttore di “Artecultura” da sempre impegnato
in favore
della pace e dell’arte.
Sono
certo che Edgar Lee Master, il grande e fortunato autore de L’Antologia di Spoon River, il libro di
poesie più letto del XX secolo, avrebbe ben volentieri scritto un epitaffio o
un componimento per Giuseppe Martucci, il direttore di Artecultura scomparso
alcuni giorni fa, in punta di piedi, ignorato dai media e dai poteri forti, verso
i quali il poeta e critico d’arte non è stano mai tenero e accondiscendente.
Lo avrebbe scritto perché il poeta
americano amava le storie delle persone umili, che preferiscono l’agire al
parlare.
Fa rabbia, in questo mondo di
apparenze, farcito di falsi intellettuali, VIP di cartapesta, veline e
giornalisti giullari, che una persona come Giuseppe Martucci non abbia avuto
nemmeno due righe su un giornale e due parole alla radio o alla televisione.
Martucci è stata una persona straordinaria e vera. Un uomo sanguigno che non si
è mai piegato alla logica del potere, che per tutta la vita ha portato avanti
con l’ostinazione tipica dei lucani, le sue battaglie a favore del disarmo,
della pace, della poesia, dei valori della laicità.
Martucci era un uomo generosissimo,
sempre pronto ad aiutare e incoraggiare un artista che si rivolgeva a lui per
un consiglio, un parere, una critica. Così generoso da destinare, a dispetto
delle ristrettezze economiche che caratterizzava la sua esistenza, borse di
studio per gli studenti che partecipavano alle sue iniziative a favore della
poesia, della pace, dell’integrazione e del disarmo.
La vita di Martucci è stata tutta in
salita, ma lui non si è mai arreso. Bracciante, operaio, sindacalista, il
direttore di Artecultura è l’esempio più nobile di auto- emancipazione
attraverso la cultura.
Martucci era un uomo di cultura, ma
mai si è atteggiato ad accademico. Anzi, a volte guardava coloro cui viene
appiccicata l’etichetta di intellettuali con sospetto per la loro attitudine ad
ammiccare al potere o di vivere all’ombra dei padrini, cosa che lui non ha mai
fatto.
Martucci era un critico d’arte
preparato e serio, avulso dalle sviolinate, era un poeta autentico, che
attribuiva alla poesia il nobile ruolo di riscattare l’uomo dalle brutture
della guerra, dal degrado ambientale, dalla violenza e dalla corruzione. Martucci era anche uno scrittore raffinato,
pronto a intraprendere o aderire a un’iniziativa per rinvigorire la cultura e
innovare e svecchiare la politica.
Alcuni anni fa, lo scrittore Angelo Gaccione,
io e pochi altri amici lo candidammo al Premio Nobile per la pace. Non si
trattava solo di un’iniziativa provocatoria verso un’istituzione che negli
ultimi tempi ha attribuito il prestigioso premio per la pace a leader che poi
si sono dimostrati dei veri e propri guerrafondai, ma di una proposta che
riconosceva il valore morale e la coerenza di un uomo che si è sempre battuto
per la pace, l’emancipazione degli ultimi, l’uguaglianza e l’integrazione,
senza distinzione di pelle.