Il racconto
IL COMPLEANNO
Opera di Giuseppe Denti |
Ricordo che anni addietro avevo trovato lavoro in
una azienda di Lecco la cui produzione consisteva nell’imbustare lettere,
depliants e quant’altro. La persona che mi aveva indicato questo posto era per
alcuni versi un personaggio ambiguo. Avevo deciso di smettere di fumare e mi
ero rivolto a lui. Non era nessuno e ben presto capii che era un bluff,
figuratevi che teneva corsi anche per guarire l’omosessualità come se si
trattasse di una malattia.
Partivo alla mattina alle cinque dalla mia abitazione che
era ancora buio ed essendo febbraio faceva un freddo cane, attraversavo il
largo viale Fulvio Testi con i semafori
ancora lampeggianti, controviale, viali centrali, controviale e alla
fine in via Pulci raggiungevo la fermata del tram linea 7, di nuova
costruzione, tram nuovissimo. Poche fermate lungo la via Rodi attraversando la
neonata Università Bicocca e giungevo sul piazzale della Stazione di
Greco-Pirelli. A quell’ora la sala d’aspetto era piena di clochards,
extracomunitari ed anche no che dormivano per terra con addosso una coperta o
dentro un sacco a pelo; io ero costretto ad aspettare il treno sulla pensilina
al freddo. Il treno era carico di persone e si andava sempre più riempiendo
soprattutto di studenti man mano che si avvicinava a Lecco. Di sedersi neanche
a pensarci.
Fuori il paesaggio invernale, gli alberi spogli, i rami come
mani ossute ghermenti il cielo plumbeo, grigio
come ferreo soffitto. I ruscelli e i torrenti si immaginavano inquinati,
forse erano la causa che privava della vita la
vegetazione laddove la fanghiglia melmosa
lambiva il corso d’acqua. Cloache, discariche che attraversavano lande
desolate tra i villaggi.
I nomi dei paesi dove il treno fermava alla stazione, Arcore, Carnate-Usmate, Osnago, Cernusco-
Merate , Calolziocorte; io scendevo a
Lecco Maggianico fermata prima di Lecco centro sul lago di Garlate, da dove per
arrivare alla fabbrica in riva al lago dovevo fare ancora strada a piedi.
Arrivavo alle 8-8.30. In azienda a
conduzione familiare vi erano pochi operai e operaie addetti all’imbustaggio,
macchine automatiche e poi macchine per l’operazione di confezionamento e lo
stoccaggio con i muletti. A mezzogiorno andavo a pranzare in un vecchio bar-osteria salendo dove vi erano
un gruppo di case. Una pastasciutta, un panino con il salame e un bicchiere di
vino, magari un grappino per poche lire. Poi tornavo in fabbrica . Mentre ero
intento a imbustare, dietro di me sentii la presenza di una persona, era il
titolare che con un rimprovero mi punzecchiava affinché io aumentassi il ritmo
di lavoro. Più di cosi cosa vuoi fare, pensavo io.
Venne il giorno del compleanno del capo ed è li che io
maturai la mia decisione di andarmene.
Tutti facevano gli auguri, ma in maniera affettata, troppo
falso, mellifluo e quanti complimenti superflui al taglio della torta che il
principale eseguì tutto compiaciuto come un pavone maschio dispiega la coda. Mandai
tutti a quel paese.
[Tiziano
Rovelli]