QUANDO I FASCISTI
SPARAVANO DAL PALCO DEI LORO COMIZI
di Franco Astengo
L’episodio accaduto ieri a
Macerata con la sparatoria attuata da un dichiarato razzista che ha messo a
ferro e fuoco il centro della cittadina marchigiana colpendo alcuni immigrati
di colore, ha portato alla ribalta il clima d’odio che sta esacerbando questa
bruttissima campagna elettorale, tutta incentrata sul personalismo e della
concezione assoluta del potere. Si è ceduto troppo, nel corso degli anni, allo
smarrimento di una cultura politica fondata sui valori dell’antifascismo, della
convivenza civile, della costituzione repubblicana. Si è ceduto oltre misura
all’idea del “né di destra, né di sinistra”, alla presunta obsolescenza dei
valori della Resistenza, all’indifferenza, alla concessione dell’equidistanza
tra i partigiani e i “ragazzi di Salò”. Si è sdoganato tutto in fretta e
soprattutto, con la proposta di deforma costituzionale per fortuna respinta il
4 dicembre 2016, si è aperta la strada all’idea della possibilità di modificare
la Carta Costituzionale, quasi come se si trattasse di un fatto politico tra i
tanti, una delle tante “modernizzazioni”.
Si è
dimenticato il periodo delle stragi fasciste, da piazza della Fontana a quella
della Loggia, e si è dimenticato quando
i fascisti sparavano dal palco dei loro comizi. Colgo l’occasione allora, allo scopo
di rinfrescare la memoria di tutti, per ricordare ancora una volta un episodio
del 1976, a testimonianza di un clima di violenza fisica e morale che non può
essere dimenticata per allora e che deve indurci, ancor oggi, al massimo di
vigilanza democratica. Non possiamo e non dobbiamo allentare la guardia,
mollare la presa. Ieri la grande manifestazione di Genova lo ha dimostrato: mai
come in questo momento l’antifascismo militante è fattore decisivo e dirimente
per una possibile ripresa democratica.
Ecco il
ricordo di quell’episodio, in apparenza lontano nel tempo, ma nella realtà
molto vicino al dramma della nostra epoca (ogni accenno all’attualità sul piano
della presenza di agenti del servizi intenti alla provocazione fascista è
puramente casuale…):
“Il 28
maggio del 1976, a Sezze Romano, cittadina in provincia di Latina, è previsto
il comizio di Sandro Saccucci, importante esponente del Movimento Sociale
Italiano. Ex paracadutista e sospettato di aver partecipato al tentato golpe
orchestrato nel dicembre del 1970 dal principe Junio Valerio Borghese con
l’aiuto di settori «deviati» di istituzioni e servizi segreti, il Saccucci
giunge nel centro pontino con un manipolo di fedelissimi. La scelta della città
è quanto mai provocatoria: Sezze è un centro tradizionalmente antifascista.
Intorno alle 19,30 un corteo di otto automobili entra in paese e si dirige
verso piazza IV Novembre, dove è previsto il comizio. A bordo degli automezzi,
tra gli altri, vi sono fascisti di dichiarata fede come Pietro Allatta, Angelo
Pistolesi, Gabriele Pirone, Miro Renzaglia e Franco Anselmi. A rendere ancora
più ambigua la comparsata neofascista è il curriculum politico di Saccucci: ex
paracadutista e membro dell' ufficio informazioni del corpo dei paracadutisti
nell'ambito del tentato golpe organizzato nel dicembre 1970 ad opera del
principe Junio Valerio Borghese.
Ad attendere
Saccucci c'è una piazza gremita di antifascisti, dal movimento studentesco a
Lotta Continua, fino ad arrivare alla Fgci. Il palco è presidiato da camerati
armati di bastoni e pistole, mentre le forze dell'ordine, disinteressate da
quanto sta accadendo, rimangono isolate ai lati della piazza. Non appena
Saccucci accenna a parlare viene ricoperto da fischi e insulti, e quando tenta
di ricondurre le stragi neofasciste di Stato alla sinistra extraparlamentare
viene raggiunto dal lancio di bastoni, pietre e bottiglie.
«Non volete
sentirmi con le buone, mi sentirete con questa»
Dopo aver
pronunciato queste parole, l'ex parà estrae di tasca una pistola e comincia a
sparare sulla folla. Seguono attimi di caos, mentre Saccucci ripara in auto e
fugge via a tutta velocità per sottrarsi alla rabbia degli antifascisti; i
manifestanti tentano di bloccare le vie d'uscita alle automobili, e per tutta
risposta vengono esplosi tre colpi di pistola dall'auto di Saccucci. Antonio
Spirito, studente-lavoratore militante di Lotta Continua viene colpito alla
gamba sinistra, mentre Luigi Di Rosa, 21 anni, iscritto alla Fgci, viene
colpito prima alla mano e poi al ventre, rimanendo ucciso. Pochi giorni dopo
vengono emanate le autorizzazioni a procedere per l'arresto di Pietro Allatta e
Sandro Saccucci, "tempestivamente" espulsi dall'Msi del repubblichino
Almirante soltanto due settimane dopo i fatti di Sezze Romano.
Il 13 giugno
1976 Saccucci viene arrestato a Londra e accompagnato alla frontiera francese
per l'estradizione; la scarcerazione però, si legge in una rogatoria, avviene
in tempi brevissimi e grazie agli interventi di don Sixto di Borbone, del
prefetto di Parigi e di un tale Jacques Susini, amico di Stefano Delle Chiaie,
altro personaggio controverso già coinvolto nella stage di Piazza Fontana e
«collega» ai tempi del golpe Borghese. Saccucci troverà riparo in America
latina, specialmente in Argentina, dove potrà contare su protezioni e aiuti
anche a livello "pubblico", e in Cile, dove alcune voci lo vogliono
coinvolto nella gestione del regime fascista del generale Pinochet. Pietro
Allatta è stato riconosciuto colpevole di aver impugnato l'arma che ha colpito
prima Spirito e poi Di Rosa, anche se le prove balistiche hanno dimostrato che
Luigi ha ricevuto due colpi di calibro diverso, avvalorando la tesi secondo cui
Saccucci sarebbe uno degli autori materiali dell'omicidio. Le indagini non
hanno mai chiarito inoltre la presenza a Sezze di un ex maresciallo dei
Carabinieri e agente del Sid, Francesco Troccia, indicato come colui che guidò
i missini fuori dal paese, evitando che fossero bloccati dalla popolazione.
La memoria
di Luigi Di Rosa negli anni non è mai venuta meno, nonostante le assoluzioni e
i depistaggi di Stato nei confronti degli autori della strage e i ripetuti
attentati al monumento posto, ad un anno dal suo omicidio, in ricordo di tutte
le vittime dell'antifascismo e culminato con la spregevole profanazione della sua
tomba avvenuta nel 1978”.