Taccuini
LA VERSATILITÀ DEL
FLAUTO
di Angelo Gaccione
San Calimero |
Vale la pena
una gelida sera di febbraio vincere la pigrizia, sfidare il freddo
tagliente, e recarsi alla Basilica di
San Calimero per un incontro musicale, se a convocarti è l’Ensamble Vocale Harmonia
Cordis o l’Associazione Noema, che a San Calimero sono ormai di casa. Vale la
pena perché la qualità ed il valore delle proposte non deludono mai: si tratti
di musica sacra corale o strumentale, di melodie medievali, rinascimentali o
barocche, il godimento spirituale è assicurato per noi ammorbati di musica. Ma non è da trascurare il puro
nutrimento intellettuale: perché te ne torni a casa avendo imparato sempre
qualcosa. È accaduto così anche sabato scorso (3
febbraio) con il concerto A tre flauti
senza basso, con cui Noema (Associazione per lo studio e la promozione
della cultura musicale) ci ha regalati Capricci, Fantasie, Sonate, Suites,
tutti eseguiti a tre, a due, a un flauto solo, mettendo insieme un trio di
musicisti di provata esperienza: l’olandese Walter Van Hauwe, la giapponese
Seiko Tanaka e il nostro Daniele Bragetti che in quanto milanese giocava in
casa. Il programma, alquanto vario, ha compreso brani di autori super celebri
come Bach, Telemann e Bodin De Boismortier, ma ha spaziato dentro linee
temporali che hanno compreso i brevi Capricci cinquecenteschi di Vincenzo
Ruffo, spunti dell’inglese William Cornysh - che temporalmente lo precede di
circa cinquant’anni - e toccato il Novecento con Paul Hindemith e il cinese Isang
Yun. Ma senza trascurare un Preludio, un Allegro e una Ciaccona di un altro
autore sei-settecentesco, il tedesco Johann Mattheson.
San Calimero. La cripta |
Il
flauto ha origini antiche, come attestano cicli pittorici e incisioni su pareti
o vasellame. Se ne conosce l’esistenza di ogni foggia e dimensione, e anche il
trio che si è esibito a San Calimero, era munito di una discreta collezione. Ne
ha proposto una variegata campionatura: un esemplare rinascimentale solo in Fa,
sorta di “flautone” gigantesco e massiccio, accanto a un “flautino” minuscolo e
squillante dalla voce gentile, e abbiamo potuto gustarne i vari toni e le
diverse coloriture. Ma tutti a me paiono gentili questi flauti, dolci e
“magici”; di una dolcezza che è loro connaturata e se il Rinascimento ne ha
fatto uno dei suoi simboli più pregnanti (come dimenticare la stupefatta
meraviglia che il suo suono conferisce alla musica di corte così indispensabile
alla leggiadria delle danze e al sinuoso ondulare dei ricchi e colorati costumi?), assieme alla nobile famiglia degli strumenti
a corda, il Barocco ha saputo cavarne fuori tutta la gioiosa, ludica, virtuosa
armonia, in un ricamo di note per me celestiale. Un flauto barocco, un liuto,
un cembalo, assieme sono in grado ancora in questo nostro tempo freddo e
disincantato, di toccare in anime sensibili i più profondi abissi. Mi sono
spesso chiesto a quale parte del mio corpo è rapportabile il suono di questo
strumento, dal momento che esso è in grado di riprodurne una gamma mutevole che
va dallo straziato lamento al richiamo tribale, dall’imitazione di un ruscello
al cinguettio di un volatile e così via.
La natività attribuita a Marco d'Oggiono |
Strumento
particolarmente versatile, ho avuto la fortuna di vederlo impiegato negli
ensambles più eterogenei e fondervisi magnificamente. Persino nel jazz il
flauto è un meraviglioso supporto oltre che un primo attore straordinario in
grado di farsi strada, aprire il giro dell’improvvisazione, tracciare il
percorso, aprire la strada agli altri strumenti più canonici come un clarinetto,
un contrabasso o una tromba. Che possedesse i timbri giusti per fare la sua
bella figura anche dentro gli azzardi e le provocazioni antimelodiche delle
avanguardie, o dentro le sperimentazioni e le ricerche più ardite, si è potuto
averne le prove con l’esecuzione solista di Van Hauwe sui brani “Der Besucher der Idylle” (“Il visitatore
dell’idillio”) e “Die Hirtenflöte” (“Il flauto del pastore”) dai Quadri cinesi (Chinesische Bilder) che Yun scrisse nel 1993. L’abilità
dell’interpretazione e la natura della partitura, hanno permesso a uno
strumento dall’apparenza così dimessa, di sorprendere il pubblico per gli esiti
a cui può essere portato. Sì, è valsa proprio la pena interrompere la lettura
di Stendhal, sfidare il freddo di una sera di febbraio e il freddo della
chiesa, in fondo questa Basilica consacrata a un arcivescovo orientale dal nome
così ben augurante (Buongiorno è la traduzione italiana del suo nome greco),
conserva la sua fattura bizantina negli affreschi e nei mosaici, e come
contenitore è niente male. Intanto la si è voluta edificare lungo la direttiva
più importante della città, quella che porta a Roma, sede della cristianità, la
Porta Romana. Pare che il vescovo Ambrogio proprio per l’esistenza di San
Calimero in questa parte di città, abbia voluto che a pochi metri e sempre
sulla via romana, fosse edificata un’altra importantissima Basilica, quella di
San Nazaro in Brolo (a lui la tradizione attribuisce il disegno a croce latina),
nei cui sacelli riposano tuttora i resti della famiglia Trivulzio signori di
Milano. In queste occasioni è anche possibile visitare la cripta, leggere le
iscrizioni dell’altare e ammirare gli affreschi dei fratelli Della Rovere,
Giovanni Battista e Giovanni Mauro, i Fiamminghini, come la storia dell’arte li
ricorda. Ma c’è anche una splendida tavola di un’ Adorazione del Bambino attribuita
a Marco d’Oggiono, e c’è pure una crocifissione attribuita al Cerano:
autentiche o meno, sono meravigliose.