SANTA TERRA
di Pierfrancesco Raineri
Pietre,
droni iraniani, caccia israeliano abbattuto, il muro che sigilla Betlemme, e
ancora, ancora…
Le notizie che arrivano dalla
Terra Santa, da Israele, spesso e volentieri sono drammatiche. Eppure mi sento
accinto con la mia famiglia a intraprendere un viaggio in quella Terra, con la
Diocesi di Torino, in modo sereno e fiducioso. Ancora oggi, continuo a pensare
alla straordinarietà di un popolo, di commercianti e intellettuali, come il
popolo ebraico, che inizialmente attraverso il movimento dei Kibbutz, e poi con
la nascita dello Stato di Israele, è riuscito a dissodare un deserto, e a
ridare dignità a Gerusalemme, e ai luoghi sacri anche di altre religioni,
ignorati per secoli dalla dominazione Bizantina e poi Ottomana. Certo, perché
la Palestina e Gerusalemme sono state per secoli abbandonate a se stesse.
Il recupero a San Giovanni
D’Acri dei luoghi templari, della città sotterranea, il ricordo dell’impresa
(fallita) di Napoleone, Sephoris con i suoi mosaici, è storia riemersa negli
ultimi decenni.
La Galilea culla del
Cristianesimo con Cafarnao, Magdala, il Monte delle Beatitudini, il lago, il
fiume Giordano, è oggi meta di pellegrinaggi, alle falde delle alture del Golan,
della Siria, della guerra, ma nonostante tutto è terra i pace, di meditazione.
Masada e il Mar Morto,
simboli della resistenza e della caparbietà del popolo ebraico nei secoli.
Il deserto del Negev e poi
naturalmente Gerusalemme, Gerusalemme è la città vecchia di impianto Bizantino,
e quindi non Suk arabo, crogiuolo di religioni monoteiste con i loro siti: il
Santo Sepolcro, il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee.
Gerusalemme ovest, la
capitale di Israele con la Knesset, il museo del Libro, le straordinarie
collezioni pittoriche donate, lo Yad Yashem.
Lo Yad Yashem, è il luogo del
ricordo della persecuzione e dello sterminio perpetrato dai nazisti.
Fra tanto orrore, mi è rimasta
negli occhi una piccola foto di una ragazzina di diciassette anni, con la
camicia bianca e una gonnellina a pieghe, appena impiccata con il collo storta
e la soldataglia attorno che ride. Di fronte al Muro del Pianto non ho pregato
né lasciato biglietti perché non sono una persona particolarmente religiosa, ma
ho chiuso gli occhi e, toccando il muro ho riflettuto. Mi sono chiesto come
fosse possibile dare giustizia a quella ragazzina almeno un poco. Per
arrivare a questo poco, credo si debba
cominciare a difendere l’esistenza dello Stato di Israele, al di là delle
opinione politiche. Difendere Israele
vuol dire difendere la giustizia e la libertà del nostro vivere, che
proprio come Israele, è oggi sempre più minacciato, e onorare, almeno un poco,
quella ragazzina…