di Giorgio Riolo
Leonardo Sciascia |
La
letteratura come smascheramento del mondo
e
delle trame del potere.
Non
è solo un anniversario (essendo nato a Racalmuto il 8 gennaio 1921) a muoverci
e a ricordare Leonardo Sciascia. Ci sono letterati e intellettuali che hanno
una presenza permanente, che ci accompagnano e ci aiutano a decifrare la nostra
Italia, e, in senso lato, il mondo, in ogni dimensione, politica, culturale e
antropologica. Ricordo qui solo Sciascia e Pasolini, soprattutto anche per il
loro piglio profetico. Ma molti altri e molte altre potremmo ricordare.
La letteratura nella concezione di
questi intellettuali possiede una carica totalizzante, conoscitiva e
oppositiva, critica e costruttiva al medesimo tempo, che, più passa il tempo e
più la realtà contemporanea diventa così degenerata, così povera di figure
intellettuali di tal fatta, più ne sentiamo il bisogno, più emerge la sua
importanza.
Qui, in questo breve intervento, si
indicano alcuni punti, alcuni passaggi, e alcune opere sue, solo come esempi da
cui poter trarre l’importanza di questa letteratura e di questo genere di
intellettuali, veri, autentici.
I
Le parrocchie di Regalpetra è il luogo d’origine di tutti i temi, di tutti i contenuti di pensiero e narrativi di Sciascia. Sono i temi che egli svilupperà e articolerà in varie opere fino alla morte avvenuta nel 1989. Apparsa nel 1956, a partire dal primo nucleo delle Cronache scolastiche scritte nel 1954, in essa si concentrano le grandi questioni che contrassegnano la “eterna sconfitta della ragione” e quindi la scaturigine del necessario nuovo illuminismo, della chiamata civile e d’impegno dello scrittore, quale novello philosophe della
grande tradizione illuministica. Il potere e le sue trame, le imposture e le congiure ordite da esso, la mafia, il rapporto organico, consunstanziale, di mafia e politica, la Democrazia cristiana, l’uso delle istituzioni e dell’apparato pubblico ai fini clientelari, mafiosi e politici. La Chiesa, gerarchie in primo luogo, ma anche i
preti tipici del Sud e della Sicilia, collusa con il potere,
mafioso e politico. L’Italia come luogo d’elezione dello “spagnolismo” (Sciascia e prima l’amato Manzoni, come
fustigatori di questa modalità di servilismo, di esibizione barocca e teatrale
del potere, dell’essere “forti con i deboli e deboli con i forti” ecc.), della doppiezza e
dell’ipocrisia, in politica e
nella vita sociale, della mancata Riforma protestante, del mancato 1789 ecc.
Nella bella e densa Prefazione della riedizione del 1967 presso Laterza (assieme a Morte dell'Inquisitore) l’autore spiega bene il retroterra culturale di tutto ciò e la sua visione della missione del letterato. Esplicita bene l’origine dell'opera, dalle Cronache scolastiche, appunto, ai vari capitoli che compongono questa preziosa e concentrata antologia, a mo’ di
requisitoria critica, storica, sociologica, politica, antropologica.
Ma esplicita bene anche la sua professione di fede nella forma stilistica di questo impegno. L'inconfondibile stile sciasciano, la sua prosa secca, concisa, scarna, profondamente antiretorica, fatta di frasi brevi, con il sapiente e proprio uso delle parole. Mai ridondante, aderente alla “cosa”, ai fatti, ma che risulta nondimeno di grande godimento estetico. Il suo non preoccuparsi del “corso delle teorie estetiche”, ma di “seguire piuttosto l'evoluzione del romanzo poliziesco”. E molti suoi celebri romanzi, di forte e denso contenuto storico, politico, sociologico, culturale ecc. sono, formalmente, esemplati sul romanzo poliziesco, Il giorno della civetta, A ciascuno il suo, Il Consiglio d’Egitto, Il contesto, Todo modo, ecc.
Le parrocchie sono composte di vari capitoli e costituiscono un documento di prim’ordine per conoscere la realtà meridionale, nello specifico, siciliana. La composizione sociale e le culture e le subculture delle feroci e incolte classi possidenti, nel capitolo Il Circolo della Concordia, il ruolo dei partiti e del clientelismo politico, il voto di scambio e le relative truffe elettorali nel capitolo Diario elettorale.
Il capitolo centrale delle Cronache scolastiche (Sciascia era maestro di scuola elementare a Racalmuto, Regalpetra nel
titolo) costituisce un documento sociologico importante della condizione della scuola, della povertà e del lavoro minorile, della scuola cosiddetta di classe, del bisogno di un'altra didattica e di un altro sapere che veramente potessero contribuire all'emancipazione di quei ragazzi poveri, affamati, subalterni. Tutto ciò detto dieci anni prima del documento del rivolgimento copernicano della concezione della scuola e del sapere, la fondamentale Lettera a una professoressa di Don Milani e della Scuola di Barbiana del 1967.
È l'opera che mostra la stupefacente continuità della storia italiana, il passaggio, quasi indolore al Sud (ma anche nel resto d’Italia) dal fascismo al cosiddetto antifascismo, il trasformismo molecolare e politico (i tanti fascisti, monarchici, liberali ecc. poi confluiti nel vero attrattore di tutto ciò, luogo della confluenza, la Democrazia Cristiana, vero Moloch onnicomprensivo, onnivoro). E quindi il ruolo della Chiesa e dei preti, collusi con la mafia, con il potere, con la Dc ecc. Chiesa e preti di allora, oggi al Sud e
in Sicilia spesso in prima fila contro mafia, ‘ndrangheta, camorra ecc.
E poi, a mo' di pionieristica inchiesta e denuncia della condizione dei lavoratori, la descrizione della vita dei salinari, operai delle miniere di salgemma, degli zolfatari, dei braccianti agricoli, delle malattie cosiddette “professionali”, dei salari da fame. Insomma le Parrocchie costituiscono il compendio enciclopedico delle malefatte del potere al Sud e nella Sicilia, dello Stato e della Chiesa collusi, della condizione e della rassegnazione e del fatalismo delle classi subalterne, della insipienza e della ferocia delle classi dominanti.
II
Seguendo e denunciando l'eterna
“sconfitta della ragione” (e relativa sconfitta della giustizia sociale e
politica), nel 1971 Sciascia sentì il bisogno di imprimere una svolta alla sua
attività di scrittore, di intellettuale, di polemista. La parabola della
sconfitta della ragione parte dalle Parrocchie del 1956 fino alla Recitazione
della controversia liparitana, dedicata a A.D. (Alexander Dubček)
del 1969, attraverso, tra gli altri, i notissimi romanzi polizieschi Il
giorno della civetta e A ciascuno il suo, sulle condizioni sociali e
politiche della Sicilia, sul rapporto mafia e politica, sul malgoverno Dc ecc.
Il discorso ruotava sì attorno alla Sicilia, ma ormai occorreva un discorso
universale, sull'Italia e sul mondo. Poiché la Sicilia era, ed è, metafora
dell’Italia e del mondo.
Le imposture e le trame del potere
occorreva descriverle e smascherarle nei suoi luoghi d'elezione. Ed è la
politica nazionale, anche se la finzione letteraria ci porta a un paese
apparentemente latino-americano. Un paese “dove non avevano più corso le idee,
dove i principi - ancora proclamati e conclamati - venivano quotidianamente
irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni nel
giuoco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il
potere contava”.
È Il contesto, uscito alla fine
del 1971. “Una parodia”, come recita il titolo. Ma in realtà “un apologo sul
potere nel mondo”. Potere e politica che sempre più vengono a configurarsi come
“mafiosi”, oscuri, apparentemente indecifrabili. Una dinamica autonoma di varie
uccisioni di magistrati a opera dell'ex farmacista Cres intercetta un'altra
dinamica parallela di complotto vero e proprio, una vera e propria “strategia
della tensione”, a opera del partito al governo e dei suoi apparati per
perpetuare e consolidare vieppiù il proprio potere. Senonché il diligente
ispettore Rogas che ha scoperto il complotto e che vuole rivelarlo ad Amar,
segretario del partito d'opposizione, il Partito Rivoluzionario Internazionale,
viene ucciso assieme ad Amar. L'intellettuale Cusan, al quale Rogas aveva
rivelato tutto e che aveva consigliato all'ispettore di riferire al segretario
del suo partito, scopre con orrore, parlando con il vicesegretario del PRI, che
questo epilogo è quello voluto anche dal partito di opposizione, sedicente
“rivoluzionario”. “Siamo realisti, signor Cusan. Non potevamo correre il
rischio che scoppiasse una rivoluzione” e aggiunse “Non in questo momento”.
Nel racconto, a un certo punto, ci si
imbatte nella aperta confessione del Ministro dell'Interno secondo il quale il
proprio partito ha malgovernato per trent'anni il paese e che si mal governerebbe
meglio, assieme, se a sedere nella propria poltrona ci fosse il segretario del
partito di opposizione.
La polemica divampò subito. Venendo
all’Italia, e con qualche forzatura da parte di Sciascia, ma le forzature servono
in letteratura e nel pensiero a meglio intendere l’assunto che si vuole far
valere. L'apologo mostrava chiaramente come Dc e Pci tendessero, nell’apparente
e/o reale scontro, a essere collusi. Partito al governo e partito
all'opposizione che svolgono un gioco delle parti. E la sinistra
extraparlamentare variamente utilizzata dai servizi e dalle forze repressive
per i propri fini, sempre al fine del consolidamento del potere. Intellettuali
ed esponenti del Pci reagirono e attaccarono frontalmente Sciascia e così
Giovanni Raboni sui Quaderni piacentini, diciamo dal versante
extraparlamentare. Profeticamente Sciascia anticipava i tempi e i dilemmi del
compromesso storico, dove il dialogo comunisti-cattolici non solo avveniva al
vertice, tra partiti, Pci-Dc, e non alla base, ma dove in realtà non esisteva
la base dal lato Dc poiché “non esistevano le masse cattoliche”. Anticipava i
tempi e i dilemmi dei posteriori governi di unità nazionale, dell'uso
eterodiretto dei gruppi clandestini, sempre soggetti a essere infiltrati e in
qualche modo manovrati dai servizi e dagli apparati dello Stato.
Il lato della Democrazia Cristiana e
del suo retroterra profondo, l'eterna ipocrisia, l’eterno “spagnolismo” e l’eterna
doppiezza della Chiesa cattolica, in un paese dove occorreva parlare piuttosto
di “cattolici” e non di “cristiani”, Sciascia lo affrontò con il romanzo Todo
Modo, apparso alla fine del 1974. È la resa dei conti finale con il sistema
di potere democristiano. “Giallo metafisico”, “sottile metafora degli ultimi
trent'anni di potere democristiano” lo definì acutamente Pasolini nella sua
recensione del romanzo. È un giallo senza soluzione. “Giallo metafisico” poiché
dei tre omicidi commessi in quel albergo, durante il soggiorno per gli esercizi
spirituali, solo quello di don Gaetano si potrebbe ascrivere al pittore.
Un famoso e ricco pittore laico si
trova a pernottare in un albergo dove annualmente si ritrovano i classici
notabili democristiani per compiervi gli “esercizi spirituali”. Ministri,
deputati, amministratori di aziende di stato, direttori di giornali ecc., con
tanto di mogli e di amanti al seguito, compiono questo dovere formale sotto la
guida di don Gaetano, prete colto, intelligente, sottile, luciferino. Un prete
esplicito nei serrati e acuti colloqui con il pittore nel mostrare l'arcano
della Chiesa, e quindi della Democrazia Cristiana. Il titolo Todo modo
viene da un precetto di Ignazio di Loyola. “Con ogni mezzo, per cercare la
volontà divina”. Con ogni mezzo, anche l'assassinio. Così come intimamente
hanno pensato e giustificato il loro operato molti alti dirigenti Dc nella
reale storia italiana del secondo dopoguerra.
Il romanzo offre il retroterra per
comprendere ancor più l'altra opera di Sciascia del 1978. L’affaire Moro
dimostrò definitivamente come un letterato della finezza intellettuale del
nostro possa comprendere immediatamente quale dramma celasse la vicenda di
Moro. Vittima egli stesso del sistema di potere del quale fu uno dei maggiori
artefici. Anche con l'uso di un linguaggio alieno rispetto ai canoni della
ragione e della verità, ma ampiamente comprensibile entro la visione barocca
della doppiezza, dell'allusione, del dire e non dire, del linguaggio del potere
fine a se stesso.
Sciascia aveva replicato, negli
interventi polemici dopo l'uscita de Il contesto, a un furioso Scalfari
che egli non aveva il dono della prudenza e dell'opportunità. Nel paese per
eccellenza del trasformismo e dell'opportunismo. Così come dimostrò nei fatti
quando si provò a svolgere attività politica diretta, sempre come indipendente,
prima al Consiglio Comunale di Palermo e poi alla Camera dei deputati. Nei due
casi Sciascia denunciò come il vero potere non risiedesse nei luoghi deputati,
appunto i consigli e i parlamenti. Come disse allora “il potere è sempre
altrove”.
Oltre il teatrino della democrazia
rappresentativa, della competizione elettorale, dell'attività pubblica e
palese, del visibile. Il “segreto”, l'invisibile essendo la vera chiave per
capire come si svolge la politica, come si esercita il potere. La mafia, la
politica svolgono la loro attività vera dietro le quinte, nei gruppi ristretti,
nelle massonerie, nelle consorterie, nelle combutte, nei salotti, nei circoli
ecc. E lì si compie il misfatto. Il potere per il potere. Esponenti di governo
ed esponenti di opposizione. Destra, sinistra, centro oggi nel grande
frullatore della “circolazione delle élite”, nell'epoca del trionfo del
neoliberismo e della degenerazione finale del senso della politica e del fare
politica.
Oggi questo è chiaramente visibile, a una mente lucida e non
obnubilata da pregiudizi di parte. Allora, in Sciascia, era visione profetica.
Proprio perché “scrittore di cose” e non “scrittore di parole”. Proprio perché
“scrittore di opposizione”, come fu Pasolini. E dobbiamo alla sua mente lucida
e alla sua prosa tersa, affilata, essenziale, insomma alla “letteratura come
verità”, da lui tenacemente perseguita, questa visione, questo dono prezioso
per noi, ancora oggi.
III
Sciascia non è stato un semplice letterato, è stata una delle poche coscienze critiche che la storia italiana abbia avuto (nel dopoguerra, assieme a Pasolini, come si diceva sopra) e come tale ha svolto il suo dovere civile e politico. I suoi romanzi, i suoi scritti su vari argomenti storici, letterari, culturali rappresentano le pietre miliari di questo impegno. Ma il suo acume critico, investigativo quasi, di reperimento e di inchiesta, a partire da pochi dati, da pochi documenti, mostrano come spesso un letterato veda più in là dello storico (Morte dell'Inquisitore, per fare un solo esempio). Veda più in là del filosofo e dello storico della scienza (La scomparsa di Majorana). Veda più in là del critico e dello storico della letteratura (le varie raccolte di saggi La corda pazza, Fatti diversi di storia letteraria e civile, Pirandello e la Sicilia, per non elencare altro). Veda più in là di giornalisti, politici, storici (L'affaire Moro).
A ogni pie’ sospinto Sciascia ha onorato il suo assunto iniziale. Il suo voler essere erede, e quale erede! della battaglia culturale illuministica di emancipazione umana. Buon epigono di Voltaire, di Diderot. La penna dello scrittore può essere un'arma, se usata bene, una spada al servizio della ragione e quindi lo scrivere non è ornamento, orpello culturalistico, buono per i salotti e per le amene conversazioni dei suoi frequentatori. La battaglia culturale è cosa seria, al pari della battaglia sociale e politica. Nessuna gerarchia è tollerata (e ricordiamoci in tal senso le vicende di Vittorini, Pavese, Calvino ecc.). E se la ragione è eternamente sconfitta, tuttavia è possibile contrastare le trame e le congiure del potere. E le collusioni di chi dovrebbe opporsi fieramente a ciò, e da qui i suoi molti dissapori, e financo scontri, anche violenti da ambo le parti, con il Pci, per esempio.
In Nero su nero, sorta di diario intellettuale, a un certo punto Sciascia cerca una definizione di letteratura e non trova di meglio che la lapidaria definizione: la letteratura è verità. E Sciascia, come il Calvino delle Lezioni americane, si ritrova a concepire la letteratura come luogo del potenziamento delle capacità conoscitive, del “sistema di sistemi”, della possibile visione di una totalità, aperta, mai conchiusa, sempre multilaterale e multidimensionale, che nessuna scienza o arte particolare possiede o può dare.
Ripeto, tutto ciò entro una concezione formale e stilistica che personalmente considero tra le più efficaci e affascinanti, che ci aiuta a riconciliarci con il mondo. Anche se “molto offeso” è questo mondo. Mondo che Sciascia ci ha aiutati a decifrare, a cogliere, a smascherare. Ripeto, senza veli, senza orpelli, nella sua nuda e impietosa crudezza. Soprattutto per le tante vittime del potere, dell'arroganza, dell'ingiustizia.