L’EUROPA DOPO LA PANDEMIA
di
Fulvio Papi
È
una opinione comune che dopo la pandemia l’Europa non potrà più essere quella
di prima. Una proposizione molto azzardata per quanto riguarda il “dopo”, che
in questo momento è tutto racchiuso nella speranza di rapidi ed efficaci
vaccini ad alto indice di efficienza. Quanto all’Europa si guardano i modelli
relativi agli interventi finanziari messi in atto come possibili indicazioni
generiche ma eticamente valide per le iniziative future: se non altro mostrano
prassi economiche e politiche che mettono o potrebbero mettere nella spazzatura
le tesi sovraniste che gruppi di incompetenti assoluti e di irresponsabili
avevano negli anni demagogicamente diffuso. Questo
non vuol dire affatto che i problemi relativi all’Europa possano essere facili e
scorrevoli come percorrere un’autostrada. Ma almeno sono problemi chiaramente
visualizzati come i dibattiti in atto mostrano con chiarezza.In
questo quadro ritorna alla mente una infelice contesa intorno alle radici
ideali dell’Europa alla quale parteciparono anche personaggi illustri, che,
nell’occasione, mostrarono invece più che poca tolleranza, una molto modesta
cognizione storica. Oggi, in un’età in cui dominanti sono i problemi economici
e finanziari che hanno assunto una propria fondamentale dimensione planetaria,
le identità simboliche riconoscibili nelle diverse forme culturali e religiose,
mantengono il loro valore identitario, al quale, penso, nessuno voglia (o
peggio, debba) rinunciare, ma hanno una loro autonomia che può avere un peso
anche a livello economico, ma molto ridimensionato se ci si colloca nella
prospettiva di un bene comune che è possibile elaborare.Può
anche non piacere, ma è indubbio che è la dimensione economica quella nella
quale bisogna operare e trovare ragionevoli soluzioni per un bene collettivo,
come in altra epoca fu un pacifico equilibrio religioso.I
contendenti degli anni passati nella radice europea che non mi va nemmeno di
ricordare, indicavano come fondamento europeo, quella cristiana e, all’opposto,
quella illuminista. Erano semplificazioni dogmatiche e insensate. Da un punto
di vista astrattamente calcolatorio è facile mostrarlo: basta ricordare quali e
quante fossero le modalità sociali della tradizione cristiana che oggi, e solo
oggi, mostrano più che una loro tolleranza, il desiderio di una possibile
comunione. E l’illuminismo non ebbe a sua volta interpretazioni molto diverse
che ebbero echi sociali molto differenti? Le imperatrici illuministe erano
uguali agli atei “holbachistés”, di filosofi che mettevano in discussione la
proprietà privata? Che oggi storici di valore mettono del tutto ai margini
della autentica storia illuminista.
Il
fatto è che la metafora delle “radici” adoperata in una dimensione macrostorica
è per lo più fuorviante, come, invece, non lo è affatto se si pensa a vicende
personali, come per esempio, hanno saputo fare Primo Levi e altri, che hanno indagato
sulla composizione delle loro personali certezze materiali.A
livello storico c’è sempre un gioco di influenze, di poteri, di tradizioni, di identità,
di credenze che possono avere epocalmente condizioni egemoni, ma che, se
vengono guardate storicamente, nel “pozzo del passato” mostrano pluralità
individuali così come contaminazioni, modificazioni, reciproche influenze,
trasformazioni non insignificanti della loro tradizione.Non
vedo perché un antropologo possa usare come necessarie queste categorie, mentre
uno storico o un filosofo possa ignorarle per qualche eccesso intellettuale
privo di ragionevolezza.Se
vogliamo poi essere generici e un poco gnomici possiamo anche dire che, quali
che siano i suoi argomenti non c’è nessuno il quale, nella realtà, sia padrone
nella fede o nella ragione.Tutto
questo discorso per dire che, “dopo la peste” si dovranno scegliere solo gli
argomenti opportuni per unificare il continente. Oggi c’è chi, giustamente,
dopo la sciagurata presenza di Trump, sostiene che tra Stati Uniti ed Europa
dovranno stabilirsi nuove forme di collaborazione soprattutto economica.
Aggiungerei che il continente e la sua complessa storia, nella quale ha certamente
buona parte anche la tradizione socialista nelle sue varie dimensioni, dovranno
guardare al mondo nel suo complesso, dalla Cina all’India, alla Russia. Una
voce è più forte quanto più è diffusa, non quando si ascolta nella sua
solitudine.
È
una opinione comune che dopo la pandemia l’Europa non potrà più essere quella
di prima. Una proposizione molto azzardata per quanto riguarda il “dopo”, che
in questo momento è tutto racchiuso nella speranza di rapidi ed efficaci
vaccini ad alto indice di efficienza. Quanto all’Europa si guardano i modelli
relativi agli interventi finanziari messi in atto come possibili indicazioni
generiche ma eticamente valide per le iniziative future: se non altro mostrano
prassi economiche e politiche che mettono o potrebbero mettere nella spazzatura
le tesi sovraniste che gruppi di incompetenti assoluti e di irresponsabili
avevano negli anni demagogicamente diffuso.