IL TEMPO E IL CARCERE
di Alberto Figliolia
Il
tempo, la quarta dimensione. Il tempo infinito (forse) del cosmo e quello
finito degli esseri umani e di tutti gli altri viventi: una linea orizzontale
che si addentra nell'ignoto, ma anche un cerchio in cui il punto di partenza
coincide sempre con quello di arrivo, un eterno implacabile ritorno, in una
coazione che assume talora le vesti della dannazione. Un circolo vizioso.
Che
cosa è il tempo in carcere? Che cosa è il tempo per chi è condannato
all'ergastolo o, comunque, a pene lunghe decenni? Quale solitudine e quanta
disperazione conduce con sé questo tempo dietro le sbarre? Una figurazione
tremenda; una personificazione più che sovente maledetta. Non è un caso che il
tempo, il suo inesorabile silenzioso invisibile battito alato, accompagni tante
riflessioni delle persone detenute.
Scrivere...
Scrivere è una medicina; è catarsi, purificazione. Chi è in carcere usa la
penna più di quanto di creda, più dei tanti che vivono nel "mondo
esterno", quello dei liberi (a prescindere dalle prigioni mentali e culturali).
Scrivere aiuta a mettere ordine nel proprio caos interno, aiuta a dialogare con
quella variabile impazzita che è il tempo.
Da
ventisei anni opera a Opera, dove ha luogo (anche se potremmo usare la categoria
del non luogo dell'antropologo francese Marc Augé) il terzo carcere milanese,
un Laboratorio di lettura e scrittura creativa, di cui è stata fondatrice
Silvana Ceruti (tuttora, per l'appunto, lo anima con una nutrita e dotata
pattuglia di volontari). E sono stati anni e anni di feconda poesia, ciò che ha
consentito a tanti di riprendere il filo di vite perdute, di uscire dalle
secche di quello che veniva percepito con dolorosa acutezza come un fallimento
esistenziale, da un vuoto relazionale atroce.
L'operazione
dello scrivere è mano e pensiero, scavo intimo, un ponte
di idee gettato fra le rive dell'indifferenza. Ogni anno il Laboratorio produce
– tanta è l'acquisizione della capacità espressiva e formale da parte dei suoi
partecipanti, congiunta con la sfera motivazionale – oltre a eventuali antologie
collettive o personali, un Calendario poetico-fotografico (la prefazione di
questa ultima edizione è della poetessa Anna Maria Di Brina, mentre degli
scatti che fanno da stupendo pendant alle poesie è artefice Margherita
Lazzati): caleidoscopio di giorni, sentimenti, interpretazioni, fantasie. Il
tema specifico per il 2021 è Distanze... Orizzonti... Infinito. Un
intreccio, ben foriero di importanti meditazioni sui concetti di spazio e tempo
(e non solo), la “nostalgia” come splendida matrice, in un momento storico
assolutamente speciale e assai arduo e complicato.
«Il
mistero non è un muro, ma un orizzonte» diceva Antoine de Saint-Exupéry,
scrittore di professione aviatore che di orizzonti doveva averne visti molti.
Niente parla della natura umana più del complesso e misterioso rapporto tra il
concetto di muro, inteso come limitazione, invalicabile confine, e quello di
orizzonte, quale immagine affascinante eppure spaventosa dell’illimitato e
delle infinite possibilità dell’esistenza. È una difficile dicotomia su cui
negli ultimi mesi, a causa dell’emergenza virus Covid-19, l’umanità intera si è
trovata a riflettere, stimolata dalla reclusione forzata a casa e
dall’improvvisa limitazione delle libertà personali. Cos’è per l’uomo
l’orizzonte? È solo un concetto geografico o anche una dimensione psicologica
ed esistenziale? Cosa significa anelare all’infinito? Cosa vuol dire coltivare
libertà e spazio dall’angustia della reclusione? Sono domande antiche su cui
poeti e filosofi non hanno smesso nei secoli di interrogarsi, ma che si
ripropongono oggi con nuova impellenza e che imprevedibilmente hanno avvicinato
l’esperienza quotidiana di intere città al vissuto carcerario, solitamente
lontano e poco conosciuto. La letteratura ha avuto per molti, in questo strano
tempo, un ruolo importante nell’indicare strade, suggerire cammini di
resistenza. Nel suo Viaggio intorno alla mia stanza, scritto nel XVIII secolo durante un periodo di confino
forzato, l’autore francese Xavier de Maistre riflette sulla finitezza umana e
sull’infinito appena intuito nello spazio di cielo attraverso la sua finestra.
Com’egli racconta, il raggio di sole che lo colpiva dall’alto di quell’apertura
gli faceva sapere «che esiste una relazione tra lui e l’immensità»”. È uno
stralcio dalla bella prefazione di Anna Maria Di Brina al Calendario, parole e
significati che ci consentono di cominciare a penetrare nell'universo dei versi
(e nello spirito e nella coscienza) delle persone detenute a Opera, le quali a
un certo punto della loro vita hanno avuto (e scelto) la possibilità e la
ventura di immergersi nel magico e concreto spazio-tempo della parola scritta
(e letta). “Riflettere sull’orizzonte e la distanza dall’interno di un luogo di
reclusione è una sfida non facile, la proposta coraggiosa di affrontare un nodo
dolente, di accostarsi pericolosamente alla propria ferita, a ciò che è
strutturalmente negato”.
Immergiamoci
dunque nel mare magno di queste poesie, nel fulgore di inesplorate o nuove rotte
di viaggio:
Vorrei
tornare a sentire
l’odore
del mosto dell’uva
dei
mandorli in fiore
i
frantoi che schiacciano le olive.
Vorrei
tornare a Marsala
passeggiare
sulle rive
dello
Stagnone
rotolarmi
dalle dune di sale
e
sognare.
Sognare
di navigare
il
suo mare
e
approdare
nell’ultimo
suo orizzonte.
(G.B.D.C.)
L’orizzonte
fa capolinea
alla
mia inutile e sprecata vita
per
l’odio accumulato nelle vicissitudini
del
quotidiano, l’anima ormai satura
di
tutto, ma all’orizzonte la distanza
infinita
mi dà speranza
(V.S.)
Ho
inciampato spesso e sono anche caduto
franando
rovinosamente sugli innocenti
per
raggiungere e impadronirmi del mio orizzonte,
per
diventare orizzonte,
per
inebriarmi di ipocriti orizzonti.
[...]
Il
tempo tra il desiderio e il bacio,
i
passi tra il timore e la mano sicura di
una madre e un padre,
il
tempo determinante tra un sì e un no,
il
tempo di dare ad una mano l’ordine
di
impugnare la spada o di dare una carezza,
il
tempo prezioso di sussurrare una preghiera
tra
un orizzonte incerto
e un
infinito certo.
(F.V.)
Sveglio
nel cuore della notte
Ascolto
il canto del vento
Che
sussurra contro la finestra
Il
lento ticchettio della pioggia
Che
scivola sui vetri
Come
se questi suoni
In
un solo coro
Volessero
parlarmi
Nel
silenzio della stanza
Superando
le distanze
Superando
i ricordi.
Nel
mio domani
Nasce
la speranza
Cerco
una traccia
Voglio
misurarmi con il tempo
Dell’età
non conosciuta
Guardarla
in faccia
Quell’età
degli anni persi
Dove
non vedevo ancora
Con
gli occhi dell’innocenza
Dove
sono caduto
Per
l’ideale
Dell’ingannevole
apparenza.
Ora
è il tempo
In
cui è doveroso
Fare
pace con le proprie sconfitte
[...]
Ascolto
il silenzio
Urla
il vento
Ho
la quiete dentro.
(G.N.)
Viaggio
nella mia vita
colpito
da pensieri spogliati
in
un orizzonte che bagna l’anima.
Cirri
e cumuli volano nell’aria
sottili
e leggeri coprono il cielo
come
torri vaporose.
Nell’energia
del cambiamento
si
riaccendono nuove sollecitazioni
come
un succedersi di sorprese.
Nell’orizzonte
del mio cuore
ascolto
una musica
che
abbraccia il pensiero e mi illumina.
(B.Z.)
Quale
privilegio,
per
me, nutrire
la
speranza!
Quale
miglior custode,
per
me che bramo luce
in
questo labirinto!
L’infinita
distanza
non
ha orizzonte...
Avere
fiducia ridà vita.
Celato
tra le tue pagine,
aggrappato
come l’ippocampo
al
fluorescente corallo,
sfuggo
ai predatori
che
vivono in me.
Mimetizzato
fra altri 366
il
mio nome...
Provo
a ritrovare l’uscita
da
quest’ingorgo intricato
senza
storia.
Confido
in te, nella posizione
ove
vuoi pormi,
fra
gli astri della sfera celeste
[...]
(C.D.E.)
Il
sole all’alba
lo
trovo inginocchiato
come
una statua greca,
mi
spaventa (di) essere
nella
sua luce.
Il
nostro tempo
è
trasformato
in
lacrime e sofferenza:
hanno
imprigionato
e
sotterrato i sogni.
La
stanza, il cancello,
un
letto stretto,
dove
compongo le poesie,
mentre
gli sguardi
si
appendono
agli
sciami di nubi.
(C.C.)
Infine,
dopo questo florilegio di intuizioni, impressioni e metafore, sensazioni,
sentimenti e similitudini, un'amplissima citazione dalla poesia più lunga del
Calendario, un piccolo “disperanzoso” poema...
[...]
non
tocco la terraferma e non cerco contatti
vivo
in acque arrugginite
sopra
una logora nave
la
rotta è cambiata: non vivo più per la meta
respiro
per non recare dispiaceri a una madre stanca
ma
vorrei tuffarmi in questo mare
di
ferro e fondermi con esso
perché
questo è il mio destino.
Sono
tornato dalla guerra
prigioniero
del mio corpo
chiedo
aiuto, nessuno ascolta
c’è
chi mi guarda con disgusto
chi
si allontana con paura
giudicano
dall’apparenza
forse
non tutti crediamo
a
ciò che gli occhi vedono
non
si ascolta più il cuore che piange
o
la storia che pesantemente portiamo sulle spalle
io
sono tornato dalla guerra!
Io
sono prigioniero del mio corpo, io!
[...]
Ora
non faccio più paura e mi guardate
mi
custodite gelosamente
e
io... sono confuso
ho
tanta gente vicino e sono sempre emarginato
come
il marinaio che scrutava la vigliacca solitudine
i
conti non tornano
vivo
ma sono morto
sogno
ma non dormo
mi
esprimo con i pensieri ma non parlo
vedo
il giorno rincorrere la notte
e
la notte addormentarsi abbracciata al giorno
io
guardo, ammiro e odo
niente
è più come prima
la
distanza si accorcia
l’aria
intrisa dal profumo di ruggine
ricorda
accanto a me il vuoto assordante
di
un mondo piccolo
forse
sbaglierò
ma
io... vedo ancora l’utile nella disperazione
sorrido
e tendo una mano, scruto sgranando gli occhi
all’orizzonte
trovo il mare
sono
libero dal mio corpo che si era fuso
con
il ferro, sono libero dal mio corpo, libero
[...]
(M.C.).
Chiudendo con questa dolentissima e magnifica istanza di libero
pensiero, un grido d'aiuto tormentoso e pur fiorito, dall'inferno interiore che
agogna il paradiso della vicinanza umana, ricordiamo che il Calendario
poetico-fotografico del Laboratorio di lettura e scrittura creativa della Casa
di reclusione di Milano-Opera è in vendita (in realtà a offerta libera: IBAN IT29H0306909606100000133795) ordinandolo
direttamente all'editore (www.lavitafelice.it). Il ricavato della vendita
aiuterà le varie attività, in primis quelle di sostegno, del Laboratorio
stesso.
Per emozionarsi. Per pensare.
Un messaggio in bottiglia fra le onde dell'oceano, che approderà
infine, un giorno, a una sponda. Perché i naufraghi possano salvarsi. Perché
ciascuno di noi è un naufrago nell'incessante risacca dei giorni.