ZANINI E IL REALE FELICEMENTE ABITABILE
di Gabriella Galzio
Sulla
lettura di Carrozza n. 7 di Claudio Zanini
Consegnandomi
il suo ultimo romanzo, Zanini mi dice: “non ne vengo a capo…è un libro che mi
sfugge”, e questo ovviamente m’incuriosisce…. E in effetti potremmo dire che
con questo romanzo Zanini compie la non facile operazione di portarci sul
terreno della teoria politica e delle sue grandi domande…a partire dall’interpretazione
obliqua della figura di Machiavelli, ripresa, tra gli altri, da Alfieri,
Foscolo, fino al Risorgimento, e cioè di un Machiavelli che, a fronte della
tirannia del principe, restituisce al popolo l’autorità di presidiare, e accusare
persino, il potere. Machiavelli è dunque il suo mentore per farci da guida nell’esplorazione
dei grandi temi collettivi a cominciare dalla morale interiore, dal rapporto
tra etica e politica, sapendo che “valori come libertà, uguaglianza, diritti
civili, vanno difesi ininterrottamente, giorno per giorno; [che] non sono
acquisiti per sempre”. E già, perché il protagonista, Zeit (il tempo), è uno
spirito incline alla paideia, come dire che il tempo, la storia insegna…a
coltivare in ogni uomo “l’esile pianticella della virtù”. Zeit è un maestro,
anzi un “cattivo maestro” la cui arma privilegiata è l’ironia. Del resto, ce
n’è per tutti, nulla e nessuno viene risparmiato dalla critica affilata di
questo libro, dalla vanità di artisti a caccia di successo ai giornalisti “come
mosche su un cadavere”, dai caudillos dei regimi autoritari dell’America
Latina allo strapotere dei gruppi finanziari internazionali, dal vile
trasformismo della casta militare aristocratica decaduta ai borghesi arricchiti
dell’usura planetaria, dai sadici torturatori di regime, di una tortura
infinita e fine a se stessa, ai mister Freibund, cinici rappresentanti di
cartelli di società d’affari per la ricostruzione postbellica in nome della
democrazia; in sintesi un libro di critica della civiltà contemporanea che traccia,
com’è riportato in quarta di copertina, “una lucida allegoria del nostro tempo”,
fino alla sottile ironia di un capitalismo industriale che si smaterializza nel
capitalismo finanziario on line, dove virtuale è tutto perfettamente spirituale.
Ma di fronte a questa critica l’Autore non è un testimone neutrale, poiché nel
libro continuamente riaffiorano le grandi domande rimaste inevase e inesauste
sui destini di liberazione del mondo, con la cruciale messa a fuoco dei nodi
fondamentali del potere, fino alla domanda delle domande, quella sul dominio
assoluto. Zeit, il cattivo maestro, si interroga su una possibile paideia,
su come si possa formare una coscienza collettiva, una cultura politica, una élite
sorta dal basso, come possano decisioni collettive avversare lobbies di
interessi, pensiero unico e manipolazione del consenso. Né manca una
riflessione sulla guerra. Se infatti la libertà dei mercati è “indiscriminata licenza
di caccia sull’intero territorio del pianeta”, la licenza per guerra viene con
sé. Di fronte all’annichilimento di ogni vita e di ogni speranza, vera
vocazione della guerra, il protagonista tuttavia non piega al nichilismo, disilluso
sì, tanto da non risparmiarci un finale amaro della storia, ma non cinico, perché
in lui non vi è assenza di una passione che nasca dal cuore, salvifiche in
questo talune figure femminili, dallo struggente candore di Alina alla
misteriosa attrazione per Olga Raum. Al nichilismo l’Autore oppone la passione
d’amore, il senso di un bene comune e la tensione ideale per un “reale
felicemente abitabile”. Stilisticamente merita una trattazione a parte la
figura magistralmente delineata sin dalle prime pagine di Olga Raum, amante e
libera, vista con gli occhi del pittore prima ancora che dello scrittore, dove
il dettaglio (le unghie laccate di rosso) funge da polarizzatore
dell’attenzione e assurge a dispositivo simbolico che innesca la suspence
della narrazione: “… le unghie, laccate d’un rosso carminio suscitano
un’intensa sensazione di ferina sensualità. Mi ricordavano il dipinto di Klimt,
Giuditta”. Ora quel dettaglio erotico caricato di senso è certamente tra
i dispositivi narrativi del libro che più richiamano la vocazione simbolica
della poesia. Come del resto, hanno qualità simbolica certe citazioni
letterarie o i nomi dei personaggi, Zeit (tempo), Raum (spazio), e quando Zeit
e Raum s’incontrano, riparte il flusso della vita. Colpisce peraltro la
capacità di mettere in scena tanto la volgarità maschilista incline alla
violenza e allo stupro, quanto di tratteggiare il sottile alone dell’eros e della
sensualità femminile, e di rendere il registro più alto delle sfumature
spirituali dell’eros laddove arte e mistica si confondono. Né manca la finezza
psicologica che individua le stesse modalità maschiliste di conquista e
asservimento che informano tanto la guerra quanto il rapporto con l’altro sesso;
come sessismo e bellicismo rientrino nella logica di un unico medesimo dominio:
“il dominio assoluto su qualcuno”. È questa un’intuizione che attraversa centrale
tutto il romanzo, e cui fa da contraltare il rapporto d’amore libero dal
dominio con Olga Raum. Di questa “equivoca virilità” sono parimenti partecipi
tanto la più antica aristocrazia militare avviata al tramonto (rappresentata
dal generale Interlandis), quanto la più plebea borghesia del danaro in ascesa
(l’ordinario e cameratesco parvenu Freibund); e infatti in “questa disputa da
galli per il dominio del pollaio, grottesca e tragica a un tempo, il nemico
comune [è] la rivoluzione. La superba virilità minacciata dalla rivoluzione,
che, naturalmente si immagina come femmina, passionale e vorace…”.
Rispetto ai libri precedenti si ravvisano numerosi elementi di continuità. Anche
in questo romanzo, come si è visto, ricorre il genere grottesco. Prime fra
tutte si rivelano grottesche le dinamiche del potere, e grottesco assurdo è lo
stesso treno, con il carico dei suoi passeggeri tragici e farseschi. Altro
elemento di continuità è proprio il luogo conchiuso; se nei romanzi precedenti
era un teatro, un albergo, qui è un treno, poi da questo luogo conchiuso
possono partire le riflessioni sui massimi sistemi… Anche se qui non si tratta
di un treno qualunque, perché l’ambientazione del romanzo ci riporta nell’atmosfera
un po’ fanée delle vecchie carrozze stile liberty dell’Orient Express; e
il viaggio in treno non avviene secondo canoni descrittivi di natura
realistica, piuttosto - tra l’onirico e il visionario - il protagonista si
specchia nel passaggio fuggevole di paesaggi vividi, spesso colti nello Zwielicht
dell’imbrunire o dell’albeggiare, tra “coralli dai rami infuocati incastonati
nella pietra” o nell’oscurità della notte, nella visione alterata del
dormiveglia quando più si è inclini a “viaggiare sull’onda d’ignote maree
oniriche”. Molti gli elementi di continuità, ma qui ho avvertito una passione
in più, non solo per le folgoranti descrizioni della figura femminile, più
incisive e più importanti che nei libri precedenti, ma perché qui passione
d’amore e passione politica si mescolano inestricabilmente, dalla memoria di
amori giovanili all’insegna di eros e rivoluzione, fino alla figura chiave di
Olga Raum curiosa di Machiavelli, in cui arde il seme della rivolta, che incarna
la passione politica con lo stesso impeto con cui suona il suo strumento e la
sua musica… arte, amore, politica… ancora una volta, anche se qui ancora più
amplificata, abbiamo la figura di una femme fatale, la donna-incontro
del destino, colei che segnala la direzione, il senso profondo di una vita. “In
lei guizzava una fiamma ardente… cupiditas di bellezza e passione. Pienezza
del vivere… E, in questa totalità, eguale legittimazione di ragione del cuore e
ragione dell’intelletto” volti a scongiurare la fine della politica e la pace
inerte. Infine, ciò che riscatta la narrazione dal finale amaro, è scoprire che
la meta altro non era che un ulteriore ricominciare… ripartire da capo
sempre…percorrere strade nuove…abbandonarsi a questa apertura al viaggio
suggerita dalla musica e alla vista della donna amata; il libro infatti si
chiude con queste ultime parole del protagonista: “in qualche minuto l’avrei
raggiunta”, in quel condizionale saldando tutta l’incertezza, e tutta la
speranza.
[Da
“Incontri tra Autori” (‘Salotto Galzio’) del 5 gennaio 2021]