IL SILENZIO SULL’IRAN
di Guido Salvini*
In gioventù si manifestava per la Spagna, contro i processi agli
oppositori del regime franchista e ai militanti baschi, contro le condanne a
morte come quelle comminate dalla Corte di Burgos nel 1971. Si sfilava sotto i
consolati spagnoli con slogan e bandiere. A Milano il Consolato spagnolo era in
viale Monterosa, un lussuoso viale residenziale. Oggi proprio in viale
Monterosa, ironia della storia, c’è un altro consolato, quello della Repubblica
Islamica dell’Iran. C’è il presidio della Polizia, ma non sfila nessuno. A ben
pochi, compresi gli “impegnati” e coloro i quali molto spesso si indignano,
importa delle centinaia di ragazze, da Mahsa Amini in poi, ragazzi e cittadini uccisi
dagli sgherri del regime, i basiji, nelle strade delle città iraniane. Solo perché
chiedono libertà di vita e diritti che il regime teocratico ignora. Le ragioni del
vuoto sotto il consolato sono le più varie, anche tra loro quasi opposte, ma
tutte funzionanti per giustificare l’indifferenza. Per alcuni bisogna
continuare a fare affari con l’Iran, il “valore” che conta più di ogni altro e
quindi è meglio essere prudenti.
Per altri il regime di Teheran è comunque antiamericano, gratifica il proprio odio per l’Occidente, cioè per sé stessi, ed è quindi un istinto psicologico tacere. Tacere anche se il regime ha sequestrato per 45 giorni una nostra connazionale, la giovane Alessia Piperno, “colpevole” di aver partecipato ad alcune manifestazioni e l’ha chiusa nell’orribile carcere di Evin dove si tortura e si decidono le esecuzioni capitali. Una volta liberata la ragazza, nessuno ha pensato di rimandare a casa l’ambasciatore iraniano come persona non gradita. Mi hanno colpito, quasi agghiacciato le ultime parole di Majidreza Rahnavard, un ragazzo di 23 anni, prima di essere impiccato pubblicamente dopo un processo farsa. “Non leggete il Corano, non pregate dinanzi alla mia tomba” ha detto “voglio che siate felici e che suoniate musica allegra”. Dopo l’esecuzione la sua casa è stata vandalizzata dagli uomini del regime. Nei paesi islamici la musica è ostacolata e a volte del tutto proibita perché, idea incomprensibile, allontanerebbe da Allah. E in Iran, che per millenni è stato, ricordiamolo, non di cultura araba ma persiana ove si coltivava il bello, è proprio la musica in questi giorni uno dei motori di quella che più che una momentanea rivolta sembra una vera rivoluzione in corso. E le parole del ragazzo dimostrano ancora una volta come, al di là del dispotismo in sé che vige da sempre in Medioriente, la religione e le sue distorsioni siano il cuore del problema perché ogni richiesta di libertà è considerata un “peccato contro Allah” e come tale va punito. In Iran i processi politici si fanno in fretta, sono finzioni di processi, la sentenza è già scritta e le esecuzioni continueranno se qualcuno non sentirà il dovere morale di intervenire. È indilazionabile fare qualcosa. Pochi giorni fa è stata rapita, torturata e uccisa una dottoressa che curava i manifestanti. Gli avvocati, i professori, tutti coloro che lavorano nel mondo del diritto e gli uomini di cultura devono essere i primi a chiedere di agire. Senza tentennamenti, pubblicamente e ad alta voce.
*magistrato