RIVOLUZIONE E TIRANNI
C’è un
passaggio nello scritto di Rosella Simone Valchirie rosse (“Odissea” lunedì
14 novembre 2022) che va doverosamente corretto, quello in cui scrive che la
Rivoluzione russa sia miseramente implosa settant’anni dopo. Purtroppo
quella rivoluzione è tragicamente implosa quasi subito. Quando i soviet
vennero espropriati da ogni potere per concentralo nelle mani di un solo
partito, quando fu assassinata ogni forma di autogestione e di federalismo,
quando nel 1921 furono massacrati gli insorti di Kronstadt, quando i dirigenti
bolscevichi innamorati del fanatismo teocratico dei giacobini imposero la
dittatura “del proletariato”. Quando si acquisì pari pari la vecchia burocrazia
zarista, quando si ereditò l’esercito così com’era perché le milizie popolari
dal basso in fondo avrebbero fatto paura al nuovo potere autoritario. E i becchini
di quella rivoluzione si chiamano Lenin, Trotsky e compagnia. E furono loro a
spianare la strada al tiranno Stalin. Stalin non è venuto dalla luna, un po’ di
sano marxismo non guasta, anche se è stupefacente come un uomo dotato di grande
intelligenza analitica come Marx e con una grande capacità di leggere la
storia, non abbia capito che la dittatura, così come si è sempre incarnata
nella storia (dalla Grecia antica alla Roma imperiale fino a Napoleone, tanto
per restare in ambito occidentale), altro non è stata che concentrazione
assoluta del potere in poche mani. E dire che si era entusiasmato di quella
straordinaria e illuminante esperienza che è stata la Comune di Parigi. Stalin
cancellerà assieme ai protagonisti della rivoluzione, ogni barlume di idea
socialista e persino la speranza. Si fece dittatore e tiranno e regolò i conti
anche con Trotsky e i suoi seguaci. A Lenin andò meglio perché morì
prematuramente. Quello che seguì, nella sostanza è simile al nazismo. Cerchiamo
di impararlo una volta per tutte. [A. G]