ARTE
di Tania Di Malta
Gli Accatastamenti
di Pino Canta
Domenica 16 aprile 2023 c’è stata l’inaugurazione della mostra “Accatastamenti”
dell’artista realista terminale Pino Canta, a cura di Alessandro Mangiarotti,
direttore di Yellow Fish Art Galerie di Montréal. La mostra è stata fatta al
CRAR di Rho, con una bella performance del percussionista Fabrizio Carriero ed
un suggestivo reading dell'attrice Domitilla Colombo. Delle opere esposte, in fedele
e originale interpretazione della poetica del Realismo Terminale, fondato da Guido Oldani, abbiamo
parlato in tre: Oldani, Giuseppe Langella ed io. Pino Canta ci presenta
17 opere. Rispetto alla precedente mostra presso l’Università Degli Studi Roma
Tre del 2019, ce ne sono 13 in più, in cui si vede chiaramente l’evoluzione
creativa del percorso di Pino, che dal caos espresso nelle precedenti opere
diventa più mirato, chirurgico, con una struttura di base che si consolida
nell’espressione visuale dell’arte civile realistico terminale. Dal sogno
scomposto si passa alla parola, al concetto e infine al senso etico dell’arte.
Efficace il ritorno ad una precedente, giovanile sperimentazione di un fondo di
cartavetrata usato come canovaccio di sostegno in cui riproporre la nuova
esperienza espressiva. Sorprende l’acuto osservatore, come le creazioni di Pino
Canta, presentate sempre sul filo dell’ironia e dello stravolgimento onirico
degli elementi accatastati, si compiano in uno spazio tridimensionale. Nella
giocosità libera e matura c’e un recupero efficace degli elementi che potrebbero
essere comparati al jazz. Ma nelle mani del realista terminale l’oggetto non
rimane tale, semplicemente come dispositivo (se pur, ormai protagonista, nella
nostra contemporaneità), ma elemento fondante di comunicazione della storia,
della nostra storia.
Pino Canta con la moglie Mariella
E così che Pino, attraverso i suoi artefici
tridimensionali simbolici, ci parla del lavoro, in particolare nell’opera “Il
centro del dardo” dove la prevalenza del giallo evoca le solfatare, le miniere
dove i carusi lavoravano in uno stato di sfruttamento disumano, fra
Caltanisetta e Porto Empedocle, così come in Sudafrica e negli infiniti luoghi
di abuso della manovalanza infantile, simili
e forse peggio che in passato; “centro del dardo” lo chiama Pino, nella rappresentazione
visuale dei conflitti e paradossi che accompagnano questo secolo. Così Pino
Canta ci lascia un’altra testimonianza artistica, in questo secolo in cui si
pone l’incognita di un nuovo collocamento dell’uomo e della natura, nel cammino
verso il post umano e il tempo che verrà.