WAGNER ANTISEMITA?
di
Gabriele Scaramuzza
R. Wagner
La
Rivista Wagneriana è una pubblicazione della “Associazione Wagneriana di
Milano”, e risulta dalla collaborazione con “La Voce Wagneriana -Associazione
Richard Wagner di Avellino”. Coordinatore ne è Aaron Tagliabue, responsabili
per Milano e Avellino sono rispettivamente Guido Agosti e Luca Maria Spagnuolo.
Del Comitato Editoriale sono parte Andrea Camparsi (che non ricordo di avere
conosciuto) e Giorgio Tagliabue, di cui apprezzo taluni tratti umani. Mi ha interessato il recente L’antisemitismo
di Wagner. Già il sottotitolo tuttavia - Una deplorevole colpa
dell’uomo, ma un finto problema riguardo all’artista -, e poi il modo di
argomentare dell’autore, suscitano qualche perplessità, riprendono i lati più
problematici del wagnerismo. Innanzitutto la drastica separazione dell’uomo
dall’artista. Che cosa sia raccolto sotto l’indice “artista” sembra facilmente
individuabile: i drammi, e anche gli innumerevoli scritti che Wagner ha dedicato
alla difesa, alla chiarificazione, alla pubblicità della sua innovativa artisticità.
Dovremo attribuire all’ “uomo” tutto il resto che ci è pervenuto di lui? Le
testimonianze sulla “vita” nei suoi molteplici aspetti, i suoi interventi
pubblici di varia natura, tra cui Das Judentum in der Musik?
Perché
separare, e in modo tanto drastico, l’uomo dall’artista, la vita dalle opere?
Certo, l’aspetto della personalità per cui Wagner va famoso è quello artistico;
ma ci son altri aspetti della sua persona con cui fatalmente l’arte
interagisce. Ho sempre rifiutato di scindere persona e opera: i drammi di
Wagner sono parte della sua vita. La sua persona (come ogni persona) è un
tessuto di relazioni variabili, tra aspetti differenti; da non mettere sullo
stesso piano, certo; ma neppure da preordinare gerarchicamente. Un
innamoramento accade a tanti, ma è di pochissimi farne l’incentivo per la
creazione di un dramma musicale quale il Tristano. Un viaggio a Venezia
è di molti, ma ben diverso è il risalto che assume ove sia Wagner a compierlo.
Ovvietà, che qui servono tuttavia a mettere in risalto che rifiutarsi di distinguere
arte e vita non significa affatto metter sullo stesso piano tutto quanto accade
a una persona. Nessun accadimento psicologico, biologico, storiografico basta a
spiegare un’opera d’arte; l’estetica fenomenologica lo ha compreso bene, e per
questo sta alle origini del formalismo, di ogni considerazione dell’opera che
ne rivendichi lo statuto immanente. Ma anche sappiamo che questo non significa
tagliare i ponti con la soggettività che la costituisce, in presenza della
quale si istituisce come opera d’arte. Fare i conti con l’antisemitismo di
Wagner è stato per me anche un problema personale. Mi sentivo stretto tra
l’apprezzamento di tanta sua musica e l’assoluta renitenza ad accettare non
pochi aspetti della sua personalità: il suo estremo narcisismo, il disprezzo
per l’altro, ma soprattutto il razzismo, suo e tanto più dei suoi eredi bayreuthiani.
Encomiabile
è l’intento di Paolo Fenoglio di vedere l’antisemitismo alla luce del mondo in
cui si è prodotto. Contestualizzare non è tuttavia ridurre-a, tanto meno
giustificare. Nel caso delle opere esiste sempre una loro emergenza nel tessuto
in cui si sono prodotte, rispetto alle contingenze della vita; e a maggior
ragione nel caso delle grandi opere d’arte. C’è modo e modo di far valere la
scissione opera-vita del titolo, una loro separazione tout-court non convince;
un modo fenomenologico di farlo valere rimette in gioco ad altro livello la
soggettività.
R. Wagner |