QUARTIERE LATINO
di Giorgio Colombo
CEZANNE. I TRE
INSEPARABILI
Claude (Cezanne),
Sandoz (Zola), Dubuche (Baille), “i tre inseparabili… si erano legati subito e
per sempre, spinti da segrete affinità, il tormento ancora vago d’una comune
ambizione”, scorrazzavano in gite anche
di parecchi giorni, “fughe dal mondo, istintivo abbandono al seno della buona
natura… Claude si portava già dietro… un
album dove disegnava scorci di
paesaggio, mentre Sandoz aveva sempre in tasca il libro d’un poeta… In quella
provincia arretrata, nel cuore della
torpida stupidità, erano vissuti dai quattordici anni , così, isolati,
entusiasti, divorati dalla febbre della letteratura e dell’arte”. I tre giovani
corrono per la campagna provenzale, nuotano nei fiumi, compongono versi, sognano
destini gloriosi, recitano brani di Hugo e de Musset. (E. Zola, L’œuvre 1886).
Sono passati trent’anni
quando Zola, autore di successo, scrive, voltandosi indietro, della sua
adolescenza insofferente nell’assolato meridione, della sua stretta amicizia
con un coetaneo bizzarro, predominante, Paul Cezanne, già pittore. Questi, inquieto
nella sua produzione giovanile, “con la brutalità dei timidi”, recalcitrante compagno degli
“Impressionisti” a Parigi, dalla fine degli anni ’80 alla morte, nell’ottobre
del 1906, vive e dipinge nelle terre della sua infanzia “in una reclusione
ostinata” (G. Geffroy), con la rara
visita di qualche ammiratore. La sua pittura della maturità, contrariamente
alle sue prove giovanili, viene lentamente, poco per volta considerata base
fondamentale delle innovazioni del ‘900.
Spero che si ricavi da queste poche righe la vicinanza di questo
‘caso’ Cezanne con quelli di Morandi e di Opalka, dei quali mi sono occupato
nei numeri precedenti di “Odissea”: la forte spinta pulsionale, la varietà
delle strategie di difesa etero e auto-dirette, lo spostamento su immagini
accettabili, vibranti, forti della pressione inconscia. L’espressione artistica,
lo stile che ne risulta si divide in due periodi diversi: il primo rozzo,
esagerato, romantico, il secondo raffinato, controllato, classico. Su questo
secondo si è più spesso concentrata, in
positivo, la riflessione: la complessità della percezione visiva, la sua
inusuale attenzione orchestrale, l’equilibrio delle forme (v. M. Denis o R. Fry o L.Venturi). Dualità che andrebbe
connessa a due diverse strategie difensive, una estroflessa, aggressiva,
scoperta, l’altra introflessa, riflessiva, nascosta. In entrambe lo sforzo paga
un prezzo nella quotidianità: i tic, le paure, la solitudine scontrosa.
Il suo aspetto di trentenne, scosso da
un tremito nervoso, barbuto, un cappello malandato di feltro a coprirgli la
pelata, è trasandato. Sotto un cappotto troppo grande, macchiato dalle strisce
verdognole della pioggia, dai pantaloni troppo corti e gli stivali spuntano le
calze blu. Al café Guérbois, dove
s’incontra con i suoi amici pittori, sospettoso, parla poco, lo distingue
l’accento meridionale; si allontana dal suo angolo prescelto, indispettito da
un argomento che non gradisce. Conosce gli scrittori latini, recita a memoria
Baudelaire, ama Flaubert e Wagner (M.L. Krumrine,“Cezanne The Earky Years”, London
1988). “…Ci si
rivelò immediatamente a tutti [Monet,
Rodin, Mirbeau, Clemenceau]
come un personaggio singolare, timido e violento, straordinariamente emotivo…” [A proposito di
Clemenceau, avrebbe detto]
“È che son
troppo debole… E Clemenceau non mi
potrebbe proteggere!… Non c’è che la
Chiesa che mi possa proteggere” (G. Geffroy). Pochi riferimenti cronologici. Paul
Cezanne nasce a Aix nel 1839 da padre benestante e autoritario. Iscritto come interno
al collegio Bourbon, dove riceve una solida educazione umanistica, si lega con
profonda amicizia ai compagni Emile Zola e Baptinstin Baille. Superata
l’opposizione del padre, si dedica alla pittura e nel 1861 si reca a Parigi,
dove si iscrive ad una scuola privata, l’Académie
Suisse. Rifiutato all’École des Beaux-Arts, dopo un breve rientro ad
Aix, ritorna a Parigi, dove frequenta Pissarro, Bazille, Renoir, Monet e Zola, che
difende il “Déjeuner sur l’herbe” di
Manet, esposto con scandalo al Salon des
Refusés. I suoi quadri sono regolarmente inviati e rifiutati ai Salons per
sei anni di seguito, dal ’64 al ’69. Durante la guerra del 1870 si rifugia in
un piccolo villaggio del sud, l’Estaque, vicino a Marsiglia. Di nuovo a Parigi
con la compagna Hortense Fiquet, gli nasce nel 1872 il figlio Paul. A Pontoise
dipinge con Pissarro ‘sur le motif ’.
Ha 33 anni, è il momento della svolta.
I suoi
dipinti del primo periodo, gli anni Sessanta, presentano una ossessiva insistenza sulle figure del gruppo famigliare
e la violenza sessuale. Il trio che si
ripete in queste opere, il maschio all’attacco, la femmina seduttrice-vittima e
l’osservatore, si ritrovano nei primi romanzi di Zola. Nel dipinto “La tentazione di S. Antonio” (un accenno
a Flaubert), il santo, alla sinistra, è tentato non dai demoni, ma da quattro
nudi femminili: tre sensuali e seduttivi, ma il quarto, accanto al fuoco,
androgino e in posa melanconica. Un aspetto che alcuni critici (v. The Earky Years cit.) hanno ravvisato
nel giovane Zola, ma pure in una ambiguità dello stesso Cezanne tra la
separatezza del monaco, l’attrazione del
nudo femminile e l’inserzione del fuoco ermafrodito. Il successivo “Déjeuner surl’herbe”, titolo ironico da Manet, è un indovinello. Il soggetto seduto sul prato (Cezanne), bruno e
stempiato accanto alla tavola, punta con il dito alla figura bionda di fronte,
un giovane dall’aspetto femminile, il suo ‘doppio’, e alla donna in piedi con
un frutto in mano, la tentazione di Eva. È con lei che si allontana alla sinistra della scena.
La donna a destra, simile alla sorella, è la temperanza. Una duplicità che
ritorna sino a “Jouers de cartes”. In seguito, invece di comparire come
partecipe dell’evento, Cezanne si ritrae come osservatore. Ne “L’Eternel Féminin” nelle vesti del pittore che dipinge il grande nudo sotto un
monumentale baldacchino, un anticipo degli ultimi ‘Mont de S. Victoire’. Nella
“Une moderne Olympia”, più che a
Manet pare vicino, per sua stessa ammissione, al Frenhofer del “Chef-d’oeuvre inconnu” di Balzac, una
infinita “moltitude de lignes bizzarres”. La
forza della pulsione erotica si ricava da altri soggetti dello stesso periodo: ‘L’Orgia’, ‘Satiri e Ninfe’ ‘Il ratto’, ‘La toeletta funebre’, ‘Assassinio’, ‘La
donna strangolata’, ‘Bagnanti’, ‘Pomeriggio
a Napoli (con servo negro)’. La
materia pittorica spessa, schiacciata con veemenza dalla spatola, ne accentua
il furore. Frequenti anche i ritratti dei famigliari, di sé e degli amici più
stretti, il cerchio di protezione. L’interrogazione allo specchio,
l’autoritratto, chi? quasi sorpreso da un incontro inaspettato, lo accompagnerà
sempre. Il tema della natura morta è ancora incerto. Quelle col teschio non
richiedono commento. ‘La pendule noire’, appartenuto a Zola, è un elogio dell’amicizia, della sua permanenza
-l’orologio manca delle lancette , della vivacità d’affetti- la conchiglia mossa
con i suoi labbroni. Amicizia che
s’interrompe con la pubblicazione de ‘L’œvre’ citata. Claude, il pittore protagonista,
tenta invano una congiunzione tra il potere dell’immagine artificiale e la
pulsione erotica, tra il nudo provocante dipinto e la modella e moglie
Christine. L’impossibile ‘vita’ dell’una, dell’immagine, dovrebbe crescere
sull’annullamento, altrettanto impossibile, dell’altra. La doppia impossibilità
spinge Claude al suicidio. Cezanne, riconoscendosi in Claude, rompe l’amicizia
con Zola. Per entrambi è la fine di un’adolescenza prolungata. Dicevo della svolta del ’72. Cezanne guarda all’ “umile e
colossale” Pissarro. Non c’è nero nell’ombra, non c’è contorno negli oggetti,
negli alberi, nelle rocce. Dappertutto, anche sul viso, nelle mani, brilla la
luce del cielo. Nel ’74 espone con gli “Impressionisti”, ma non ne condivide la
felicità del plain air. La passione
non si placa esaltandola, ma spegnendola nello spessore della immobilità,
spandendola ovunque, rendendo di sasso
il viso (povera madame Cezanne ferma, in posa per ore!) e trasparente la roccia.
Lo spazio diventa una vibrazione, “una transizione” di toni, il pennello scorre in obliquo, cogliendo i punti della
tensione e ritornando a cancellare, a
svuotare e riprendere. Le “piccole sensazioni” coloranti tastano “il motivo”. La
tela sul cavalletto, il lavoro è lento e
faticoso. Disegno e colore sono la stessa cosa, “ogni oggetto partecipa
dell’oggetto vicino”. Il pittore si ferma, guarda intorno pensieroso, valuta i
rapporti e all’improvviso ritorna sulla tela (Emile Bernard). I due sessi,
schizzati alla brava, nessun particolare anatomico, non combattono più. Addio “Lutte d’Amour”. Leggeri, tra alberi e
acque, da una parte la femmina, le bagnanti, dall’altra il maschio, i bagnanti.
Gli oggetti, le figure, i profili si richiamano, il sentiero sprofonda nel
verde, il fondo si ribalta in primo piano, le nuvole in rocce, le rocce in
corpi, lo spesso in leggero e viceversa. La geologia onnicomprensiva del
paesaggio e delle case non prevede l’individualità, tanto meno l’uomo. Un
silenzio, un brusio ad orecchio attento avvolge il mondo. C’è qualcosa sotto. Resiste
appena il profilo della Sainte-Victoire,
quante volte interrogata nell’ultimo anno, protettiva, materna. Strati sempre
più sottili, memorie, percorrono il vuoto, un vuoto inquieto quanto un pieno, un
tacere che sostituisce il sopratono di gioventù. Qualche segno di matita,
qualche tocco d’acquerello. Cezanne forse alla terza tappa. Un soffio. Ceneri
leggere, profumate, filtri del sottosuolo, di un vulcano non mai spento. Un
temporale gelido di ottobre 1906 gli fermò il respiro e la mano sino all’ultimo attenta all’ocra e all’azzurro del
capanno nel bosco, le cabanon de Jourdan.