UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 31 marzo 2016

PER RIMANERE UMANI
A MORTARA CON
CHIARA PASETTI E GRAZIELLA BERNABÒ



martedì 29 marzo 2016

CONTRO LE TRIVELLAZIONI VOTIAMO SI
di Sergio Bellucci -Roma-



Chiediamo al Governo di informare sul referendum del 17 aprile!
Il referendum del 17 Aprile viene tenuto segreto!
I mass media sono obbligati a rendere reale una democrazia: devono informare sul referendum del 17 aprile!
Il servizio pubblico faccia ciò che è nel suo obbligo: informi i cittadini del Referendum da subito!
Il governo faccia ciò che è in suo potere: informi gli italiani della scadenza referendaria.
Renzi faccia un tweet al giorno!
L’ 11 giugno 2004, in relazione allo svolgimento delle elezioni politiche europee del 12 e 13 giugno, L’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi “ricordò” agli italiani lo svolgimento dell’appuntamento elettorale con un sms firmato “Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
Una cosa sbagliata per un appuntamento politico, diviene un obbligo morale e sociale per un appuntamento referendario: un appuntamento che la stampa, le televisioni commerciali, il servizio pubblico, stanno ignorando.
Il governo invii un SMS informativo ora attraverso i gestori di telefonia mobile per garantire la conoscenza della scadenza referendaria.
Il Presidente della Repubblica faccia un richiamo ufficiale al Governo, al Parlamento, alla Rai all’intero mondo dell’informazione.
Il 17 aprile 2016 gli italiani, infatti, saranno chiamati a votare per una cosa che raramente accade: il modello del nostro sviluppo. Spesso cittadini, economisti, politici, commentatori si sbizzarriscono nelle critiche e nelle constatazioni che il mondo così com’è non possa andare avanti. Inquinamento, qualità dell’aria, malattie, spesa sanitaria alle stelle, bombe d’acqua e siccità, clima “impazzito” e industrializzazione della vita, drammi personali e collettivi, distruzione di quelle poche certezze spesso costruite con i sacrifici di una intera vita.
Ora abbiamo la possibilità di scegliere!
Insomma, come per il referendum sull’acqua, i cittadini possono dire finalmente la loro non su questo e quel politico, su questo o quello schieramento, ma su un tema preciso: dobbiamo ancora puntare sul modello di sviluppo basato sul petrolio e gli idrocarburi e, nel fare questo, dobbiamo consentire alle industrie petrolifere di far diventare il nostro mare un campo di estrazione petrolifera? Mettendo a repentaglio la vita dei nostri mari e il nostro futuro?
L’informazione relativa al referendum del 17 Aprile è negata ai cittadini. La Presidenza del Consiglio, così solerte a informare su tutto, sembra scegliere la strada del disinteressamento.
Per questo motivo, è opportuno che ogni cittadino solleciti conoscenti ed amici a informare sulla scadenza referendaria: utilizziamo i social, gli SMS, le nostre bacheche per informare i cittadini del loro diritto a votare sul loro futuro.
Un gesto di autoinformazione della società in assenza di quello istituzionale.
Questo il testo del messaggio che possiamo far circolare:
Il 17 aprile si voterà per il referendum contro le trivellazioni petrolifere nei nostri mari. Invia questo messaggio ad almeno 10 amici, pubblicalo sul tuo profilo social, rilancialo sulle pagine dei giornali e dei siti di informazione”.
ALLI BENIGNI LETTORI


Segnaliamo ai lettori ed alle lettrici l’intervista di Laura Margherita Volante
a Giancarlo Trapanese nella rubrica “Biblioteca di Odissea”
e la nota di Angelo Gaccione al libro di Ambrogio da Treviri “La vigna di Naboth”. 
Buona lettura a tutti.
REFERENDUM TRIVELLE
"SIAMO A SOSTEGNO DEI SINDACI CONTRO IL BAVAGLIO"




Ecco spiegato il motivo per cui molte persone sono all’oscuro del referendum del 17 aprile. Una ragione in più per fare propaganda. Mettiamocela tutta. In zona 8 a Milano, appena abbiamo la sala ci troveremo per costituire il comitato. Aprendo il link “vedi le adesioni”, potete aderire e trovare  del materiale da diffondere. (Amalia Navoni)
Da: stop-ttip@googlegroups.com [mailto:stop-ttip@googlegroups.com] Per conto di Monica Pepe
Inviato: sabato 12 marzo 2016 15:54
A: Dirittocittaroma@inventati.org; cinecittabenecomune@googlegroups.com; sm-roma@inventati.org; stop-ttip@googlegroups.com
Oggetto: [stop-ttip]  
I SINDACI SI TOLGONO IL BAVAGLIO E PARLANO
DEL REFERENDUM DEL 17 APRILE SULLE TRIVELLE
IL COMITATO REFERENDARIO DELLA SOCIETA' CIVILE SOSTIENE A GRAN VOCE I SINDACI E IL DIRITTO DEI CITTADINI A ESSERE INFORMATI
Comunicato Stampa
Roma, 12 marzo 2016
Una circolare del Ministero dell'Interno, in merito al Referendum di domenica 17 aprile in cui i cittadini italiani saranno chiamati al voto per il "referendum sulle trivellazioni" entro le 12 miglia dalla costa, ha disposto il divieto “a tutte le Amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni” ai sensi dell’art. 9 della legge del 22 febbraio 2000, n. 28.
Non la pensano così i Sindaci di moltissimi Comuni italiani, dalle Marche alla Sicilia, in tutta la fascia costiera interessata dal Referendum che ribadiscono di aver già espresso in passato la propria contrarietà alle trivellazioni. Centinaia di primi cittadini che sono pronti a togliersi la fascia se non verranno rispettate le prerogative democratiche della loro funzione istituzionale.
Il Comitato Referendum 17 aprile 2016 "Vota SI per fermare le Trivelle" che rappresenta la società civile a favore della consultazione referendaria, esprime tutta la propria solidarietà ai Sindaci che intendono garantire il diritto dei cittadini e delle cittadini italiani di essere informati sulle conseguenze ambientali delle estrazioni di combustibili fossili nei nostri mari entro le 12 miglia.
"Chiediamo al Ministero degli Interni di permettere ai Sindaci e alle amministrazioni di permettere di fare liberamente campagna referendaria perché questo referendum li vede protagonisti nella difesa dei loro territori e dei cittadini che rappresentano" afferma in una nota il Comitato del Referendum della società civile.
Tutte le associazioni, i comitati e le forze produttive che aderiscono al Comitato Referendum 17 aprile 2016 "Vota SI per fermare le Trivelle" sostengono con forza la volontà delle istituzioni che più di ogni altre ha un contatto diretto con i propri cittadini affinché la Campagna referendaria diventi l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le scelte energetiche strategiche che dovrà fare il nostro Paese, per un’economia innovativa che metta al primo posto il rispetto delle risorse naturali e la salute dei cittadini.

Ufficio stampa
Monica Pepe, cell. 340 8071544
Comitato nazionale delle Associazioni
www.fermaletrivelle.it
Referendum 17 aprile 2016
"Vota SI per fermare le Trivelle"
facebook.com/fermaletrivelle/https://twitter.com/fermaletrivelle
L' INTRUSA

Oggi si discute in parlamento di unioni civili, udite questa storiella capitata veramente in un paesino della bassa che pare ricordare la canzone di De André "Bocca di rosa".
In tale paesino viveva un vecchio di nome Armando proprietario di un bar alquanto antiquato del resto come lui. Capitò che la moglie, non so per quali motivi, si separò da lui con queste parole: "Non troverai più nessun altra donna". Armando volendo ad ogni costo farla in barba alla moglie che lo aveva lasciato con così infausta profezia che suonava una canzonatura alla sua virilità, si recò in Romania donde trasse una giovane donna e la portò a vivere con sé, non senza tribolazioni burocratiche e tante scartoffie da compilare (si era nel tempo antecedente alla caduta del muro di Berlino). Questa giovane donna aveva quattro figli che portò seco e divenne la pietra dello scandalo del piccolo tranquillo villaggio che per altro vedeva i suoi abitanti dediti al lavoro e devoti alla chiesa. Dalle forme sexy, si vestiva vistosamente e sculettava. I figli sicuramente non erano tutti dello stesso padre. All'arrivo vi fu un viavai di uomini del paese al bar dell' Armando per vederla e ci fu un gran chiacchierare e vivaci apprezzamenti sulle probabili doti della donna che pure balzavano apertamente agli occhi. Sono sicuro che in tale occasione il bar ebbe un notevole incremento dei guadagni. Uno dei figli frequentava la piccola scuola elementare ed era sempre pieno di soldi che prelevava impunemente dalla cassa del bar del patrigno. Quando la suddetta si presentò in classe ad una riunione dei genitori... certe occhiatacce! certi sguardi! da parte delle signore mamme del luogo. Non so che fine abbia fatto l'Armando ma la nuova moglie giovane aveva tutta la vita davanti a sé.

Tiziano Rovelli 
CONSIDERAZIONE


Le condizioni di luce, di illuminazione esterna diurna variano non solo con le stagioni e i mesi dell’anno, cambiano molte volte durante lo stesso giorno, pure repentinamente.
Ci fanno vedere le cose in maniera diversa, ci mostrano la città cambiare volto. Influenzano i nostri stati d’animo che attraverso i nostri occhi valutano la realtà come ci appare mutevole oppure sempre la stessa.
La fontana dei Giardini Pubblici Indro Montanelli a Milano mi appare squallida, il getto d’acqua centrale fioco e insufficiente a colmare la vasca che perciò è in parte asciutta e polverosa. Il cielo nuvoloso, coperto, dalla tinta grigio-plumbea sopra i giardini coniuga un inverno che stenta a lasciare il passo all’incipiente primavera e il freddo e gli alberi spogli e scheletriti mi comunicano un senso di lieve tristezza. Mi sento perduto senza motivo apparente. Ricordo da bimbo giocavo nel sole in questi luoghi.
Ho visto passeggiando nel parco i migranti dormire per terra nei sacchi a pelo o con addosso una coperta nel chiosco e perfino in quella che un tempo era la grotta dell’orso bianco quando vi era lo zoo; per entrare nella caverna hanno in parte divelto la rete che ne impedisce l’accesso.
I migranti e il loro mondo accanto ai fanciulli e ai cani che giocano e alla gente che in una livida e cupa domenica di inizio marzo cerca “di spendere ‘sti quattro soldi de felicità”.

Tiziano Rovelli 

sabato 26 marzo 2016

I minori stranieri non accompagnati
nel girone infernale di Messina
di Antonio Mazzeo


Roger ha percorso una decina di chilometri per raggiungere a piedi la sede dell’Arci nei pressi della stazione centrale. Chiede assistenza medica. Ha dolori diffusi in tutto il corpo e problemi odontoiatrici. Hamed è gravemente affetto da disturbi post traumatici da stress, sopraggiunti dopo aver assistito all’omicidio di un amico in Libia. Omar zoppica vistosamente. Ha forti dolori a una caviglia dopo essere stato pestato brutalmente in Libia. Alla orribile tendopoli di “prima accoglienza” di contrada Annunziata dove è stato confinato, l’unico farmaco che somministrano è il paracetamolo. Abdou presenta un’evidente ferita alla testa e un’altra alla gamba sinistra, causate ancora in Libia dall’ennesimo pestaggio. Alla tendopoli-lager è un altro fantasma e non è mai stato sottoposto a controllo medico. Con lui c’è Mamadou, anch’egli invisibile ai gestori del centro dell’Annunziata, da più di un mese con tosse, emottisi e febbre ricorrente. Mai una visita per Afful che lamenta forti dolori ad una gamba e alle costole. Sumaila porta visibile all’addome le cicatrici di una terribile ferita da coltello.
Hamed, Omar, Abdou, Mamadou, Afful, Sumalia hanno 15, 16 e 17 anni; sono fuggiti da Sudan, Yemen, Camerun, Costa d’Avorio, Gambia e Ghana, paesi lacerati da conflitti ad alta e media intensità e da insostenibili discriminazioni economico-sociali. Con loro sono stati assistiti dal circolo Arci “Thomas Sankara” altri undici minori stranieri semireclusi nella tendopoli per soli adulti di Messina. Il primo febbraio scorso, l’Arci ha presentato un esposto al Dipartimento politiche sociali del Comune e, per conoscenza, al Ministero del lavoro. “Segnaliamo la presenza di 17 giovani all’interno del centro prefettizio per l’attivazione immediata di collocamento in luogo protetto e l’apertura della tutela dei minori stranieri non accompagnati di cui si indica generalità e date di nascita”, scrive l’Arci. “Dai colloqui con i minori emergerebbe inoltre una gravissima violazione dei loro diritti. Nonostante la maggior parte di essi abbia manifestato la minore età e un minore è in possesso di certificazione anagrafica, operatori del centro avrebbero omesso la segnalazione. Sembrerebbe che l’avvocato della cooperativa gestore abbia dichiarato loro che dovranno segnalare la minore età nel luogo dove verranno trasferiti insieme agli adulti, poiché tale prassi non è prevista alla tendopoli. Alcuni di questi minori riferiscono di essere a Messina da oltre due mesi. Tutti hanno segnalato l’insalubrità della tendopoli, che più volte si è allagata in seguito al mal tempo, una carente assistenza sanitaria, nessuna assistenza da parte dei servizi sanitari territoriali, la mancanza di vestiario adeguato. Si evidenzia che dentro la tendopoli ma anche nell’altro centro realizzato nell’ex caserma Gasparro si sono ripetuti episodi violenti, rivolte e proteste”.


All’esposto dell’Arci, il Comune ha replicato 48 ore dopo con una laconica nota a firma dell’assessore ai servizi sociali Antonina Santisi, indirizzata alla Prefettura, alla Questura e al Tribunale per i minorenni di Messina. “Si dichiara la disponibilità immediata del Dipartimento delle Politiche Sociali, tramite il proprio servizio sociale professionale, a prendere in carico tutti i soggetti che venissero dichiarati minori per procedere alla loro collocazione negli SPRAR di prima accoglienza”. Ponzio Pilato avrebbe fatto di meglio. Con un cinico gioco di parole, il Comune si autosospende sino alla certificazione dei dati anagrafici dei minori da parte di quelle autorità di polizia che hanno omesso di farlo sino ad oggi. Con l’aggravante di mettere nero su bianco una grossolana inesattezza. Lo SPRAR infatti, acronimo di Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, è la rete dei centri di “seconda accoglienza” destinata ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale.
“Abbiamo richiesto più volte di intervenire con immediatezza per verificare la presenza dei minori nei centri per soli adulti e ripristinare la legalità”, spiega Patrizia Maiorana, presidente del Circolo “Sankara”. “Anche stavolta è stato inutile. Quei ragazzi sono stati trasferiti d’urgenza in altri centri per richiedenti asilo (Cara) del centro-nord Italia. Oggi non sappiamo dove sia la maggior parte di loro. Due minori, purtroppo, sono finiti in una delle strutture peggiori per condizioni e trattamento, il Cara di Bari”. La prima settimana di marzo i volontari dell’Arci hanno identificato altri quattro minori stranieri non accompagnati trattenuti illegalmente nella ex Caserma Gasparro di rione Bisconte, l’altro squallido centro di “prima accoglienza” che sarà trasformato presto in un hub siciliano per le identificazioni forzate e le espulsioni dei richiedenti asilo. “Stavolta non ci siamo limitati a una segnalazione scritta, ma ci siamo recati subito in assessorato in compagnia dei minori per chiedere l’intervento dei servizi sociali come previsto dalle leggi”, racconta la ricercatrice Giuliana Sanò dell’Arci di Messina. “L’assessore e tutte le assistenti sociali erano assenti e dopo lunga anticamera siamo stati ricevuti dal dirigente Domenico Zaccone. Lui ci ha detto che stava provando a chiamare il commissario dell’anticrimine perché è lui che deve cambiare i dati anagrafici e solo dopo, il servizio sociale può intervenire. A quel punto è entrata l’assessore Santisi, ma si è seduta in un altro tavolo. Ha solo mostrato di conoscere la situazione per aver letto la Pec ma non si è né avvicinata né ha detto altro. Il dirigente non riuscendo a mettersi in contatto con il commissario mi ha invitata ad accompagnare io stessa i quattro minori alla caserma Zuccarello e così ho fatto. Per una settimana abbiamo chiesto del responsabile preposto alle identificazioni. In ufficio risultava sempre assente. Attendiamo ancora che l’Amministrazione comunale e i responsabili delle identificazioni si attivino sulla questione”.


Ai ragazzi a cui sono negati i diritti e le prerogative riservate ai minori di età si aggiungono quelli che al compimento del 18° anno vengono prelevati dal centro Ahmed di primissima accoglienza attivato a Messina, per essere condotti e confinati alla tendopoli dell’Annunziata o a Bisconte. “Ho incontrato due ragazzi che, dopo una lunga permanenza al centro Ahmed, il giorno stesso che hanno festeggiato i 18 anni sono stati trasferiti alla caserma Gasparro”, denuncia Donatella Sindoni, Presidente della VI Commissione consiliare del Comune di Messina. “Per loro si è trattato di un’esperienza davvero traumatica. Al centro per minori avevano avviato percorsi di formazione professionale, studiavano l’italiano e uno di essi aveva perfino ottenuto un attestato come aiuto cuoco. Mi hanno detto che nella ex caserma si sta tanto male, i bagni sono sporchi, i letti nelle camerate addossati gli uni sugli altri, il mangiare scadente. Ogni volta che uscivano dalla caserma, portavano con sé lo zainetto con tutti i loro effetti personali. Se lo dovevano portare sempre dappresso perché se lo lasciavano alla Gasparro correvano il serio rischio di non trovarlo più. Nonostante avessero entrambi già ottenuto la protezione umanitaria, il giorno dopo quell’incontro, i due giovani sono stai trasferiti al CARA di Mineo, insieme ad un altro richiedente asilo ospitato a Messina”.


Il 7 marzo il deputato Francesco D’Uva del M5S ha effettuato un’ispezione al centro di Bisconte insieme ad alcuni operatori e attivisti antirazzisti. “Ho trovato una situazione molto disagiata”, ha dichiarato D’Uva. “Il fattore più critico è quello del sovraffollamento. Il centro dovrebbe fungere da prima accoglienza, ossia per non più di 72 ore dall’arrivo di un migrante, eppure ho rilevato che questi profughi vivono lì da più di 30 giorni. Poi, secondo l’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione, i potenziali testimoni di un processo dovrebbero stare in un luogo protetto. Lì non è così, poiché vi sono una ventina di uomini che dovrebbero testimoniare contro i loro scafisti”. Lo scenario simile a un girone dantesco è descritto minuziosamente da Giovanna Vaccaro di Borderline Sicilia Onlus. “Nel fare ingresso nell’edificio di Bisconte siamo passati davanti ai due container dei servizi bagno e doccia dove le condizioni igieniche erano davvero scarse, con acqua stagnante sul pavimento e un cattivo odore proveniente dagli scarichi”, scrive Giovanna Vaccaro. “I dormitori dove sono stipate 198 persone sono stati ricavati in tre stanzoni, il più grande dei quali misura 10 metri X 18. In queste stanze le file di letti, per la maggior parte a castello, sono disposte su tutto il perimetro e nel centro della stanza. Tra alcuni di questi letti non vi è neanche lo spazio per il passaggio. L’odore che le caratterizza è molto forte e la privacy inesistente. Il locale mensa è decisamente piccolo rispetto al numero di persone che ne deve usufruire e lascia presagire lunghe code al momento della distribuzione e del consumo dei pasti. Anche la stanza adibita ad infermeria non si presenta affatto bene: dà l’idea di un luogo abbandonato a se stesso, in cui vi sono farmaci disseminati ovunque e scarse condizioni igieniche. Le caratteristiche strutturali e la carenza di servizi che caratterizzano questo C.P.A. delineano un’accoglienza di tipo contenitivo che non solo si presenta in violazione delle leggi e della dignità della persona, ma che a fronte della prolungata permanenza, ha delle conseguenze molto gravi sulla vita dei migranti”.


Anche i componenti dell’èquipe che ha ispezionato Bisconte con Francesco D’Uva hanno fondati elementi per ritenere che nel centro ci siano diversi minori. “Sono davvero tanti i giovanissimi che si trovano in un luogo destinato agli adulti per gli errori-orrori di operatori e organi di polizia o perché da un giorno all’altro si sono ritrovati maggiorenni adulti, anche dopo aver passato un periodo di tempo da minorenni nel centro comunale Ahmed”, commenta la sociologa Tania Poguisch dell’Associazione Migralab  “A. Sayad”. “Ragazzi ammassati, attaccati uno accanto all’altro, che per trovare un po’ della loro intimità coprono lo spazio circondandolo di coperte. Giovani la cui vita quotidiana è scandita solo dagli orari per i pasti e a cui è impedito perfino d’imparare la lingua italiana e avere dei documenti. Ancora peggio quanto lo Stato ha riservato a coloro che hanno denunciato gli scafisti e da diversi mesi sono inspiegabilmente bloccati a Messina in attesa di un trasferimento in strutture protette. Testimoni di giustizia giovanissimi la cui vita non è al sicuro in un posto dove promiscuità e affollamento non garantiscono incolumità e sicurezza”.
Il futuro potrebbe però essere ancora peggiore. I dati in possesso della Commissione consiliare del Comune di Messina lasciano presagire che almeno un centinaio di minori stranieri da qui a qualche mese finiranno nell’inferno della tendopoli o della ex caserma-hub. Il 9 marzo scorso, al Centro di primissima accoglienza Ahmed erano registrati 189 minori. Una ventina di essi, in questi pochi giorni, hanno compiuto il 18° anno d’età e hanno lasciato la struttura in cui erano ospiti da sei-otto mesi. Entro la fine della prossima estate un’altra cinquantina di minori diverranno maggiorenni dopo una permanenza al centro Ahmed che sfiorerà i dodici mesi. “Questo scenario impone a tutti d’intervenire con urgenza e determinazione”, commenta Carmen Cordaro, avvocata del Circolo “Sankara” e tutor di numerosi minori stranieri non accompagnati. “La questione che si pone è il superamento del Centro Ahmed nel senso di una riduzione delle presenze dei minori in questa struttura con una assunzione di responsabilità da parte del Comune di Messina e la creazione di un altro centro di prima accoglienza. In ogni caso è necessaria una perequazione dei servizi offerti a quelli previsti per gli SPRAR minori. Nel frattempo bisogna impedire che i minori stranieri lascino il centro esistente a Messina per essere trasferiti in un altro centro di prima accoglienza, magari dove le condizioni e i servizi sono anche peggiori. Occorre infine aprire la vertenza in tutte le sedi istituzionali preposte per un dignitoso trasferimento dei minori stranieri in strutture di seconda accoglienza idonee”.



Il completo fallimento delle politiche di “prima accoglienza” dei minori stranieri non accompagnati è testimoniato dal destino riservato ai giovani accolti al Centro Ahmed. Dalla sua attivazione, il 25 novembre 2014, la struttura convenzionata prima con la Prefettura e poi con il Comune di Messina ha ospitato (sino al 9 marzo 2015) 1.108 ragazzi. Solo tre minori sono stati poi inseriti in famiglie italiane; 476 sono finiti in comunità-alloggio, 16 in SPRAR per minori, 138 in SPRAR adulti mentre ben 284 si sono “allontanati arbitrariamente”. Un fallimento che le solite aziende-coop hanno miracolosamente trasformato però nel pozzo di san Patrizio dell’affaire migranti. Approssimando per difetto, è possibile stimare l’ammontare delle risorse finanziarie pubbliche finite in mano al raggruppamento temporaneo d’imprese che gestisce ininterrottamente da 17 mesi il Centro Ahmed, costituito da Senis Hospes Società Cooperativa Sociale di Senise (Pz), la Cascina Global Service Srl e il Consorzio Sol.Co. Soc. Coop. Sociale di Catania. Considerato che lo Stato versa per ogni minore straniero 45 euro al giorno, moltiplicato per un numero di ragazzi che in media non è mai stato al di sotto delle 160 presenze quotidiane, alla fine abbiamo un totale di 3.672.000 euro. Un business sulla pelle di decine di migliaia di esseri umani di cui tutti noi dobbiamo vergognarci.  
DEMOCRAZIA E VERITÀ PUBBLICA
di Fulvio Papi

I filosofi Fulvio Papi e Roberta De Monticelli
a destra con in mano "Odissea" il sociologo Nando Dalla Chiesa


La crisi della democrazia, almeno in Italia, è in atto da almeno vent’anni. Capisco tuttavia che gli elementi della crisi che sono evidenti a livello teorico, possano essere tenuti in ombra dalla pratica politica che continua ad agire secondo gli spazi storici e istituzionali che pure ormai fragili continuano ad esistere perché non hanno alternative serie e accettabili. Non mi piace disprezzare il lavoro di chiunque, ma non riesco a superare l’idea che la riforma del Senato sia un pasticcio, e, in generale, sia un sintomo ovvio che un ceto politico, strutturato com’è strutturato, non può riformare se stesso. Lo può fare un ipotetico potere esterno, come per esempio l’ottimo Tito Boeri sul tema delle pensioni, subito bloccato dalle considerazioni che le decisioni toccano al governo, il quale deve tener conto dei poteri diffusi, di potenti corporazioni privilegiate di cui non può (e non vuole) perdere il consenso. Il cambio generazionale, oltre a mutare le apparizioni televisive, non ha cambiato e non poteva cambiare quasi nulla perché, magari in forma critica molto in superficie, era all’interno del medesimo modello di cultura. Poteva dire il contrario di un costume, ma il negativo è nella stessa relazione del positivo, è solo la differenza che si costruisce materialmente a cambiare la scena. Ma questa è un’impresa difficile, spesso drammatica, e comunque tale che nessuna istituzione può progettare per se stessa, dato che, insegna la sociologia, ogni istituzione ha nella sua stessa natura, il presupposto della sua sopravvivenza. Così accade che si sopravvive con la decadenza culturale rovinosa del ceto politico (dove il discorso approda rapporto tra gravidanza e incarico di sindaco, a livello di chiacchiera domenicale, laddove è ovvio che ciascuno è misura di se stesso). Si considera il malaffare che ormai è intrinseco alla riproduzione sociale come una serie di episodi circoscritti. Si può parlare di innovazione tecnologica, di investimenti, di occupazione, di consumo come fosse un discorso di una evidenza lineare, come se fosse la lettura di un manuale, e non l’analisi, molto più difficile, di una situazione sociale. E capisco anche perché questo accada. Nel primo caso si riesce a mantenere un rapporto “persuasivo” con la dimensione del consumo, cioè della fiducia e della speranza che latitano non poco, ma di cui vi è bisogno. La seconda situazione è in direzione, almeno intenzionale, della verità, che qui è una moneta fuori corso. Non c’è nessuno che, politicamente, possa evadere del tutto da questa condizione. La politica della verità pubblica (che tanto piaceva a Kant) o è teoria, oppure si manifesta in condizioni del tutto particolari, quando non si può evadere dal peso della verità. Noi non siamo in una situazione del genere, quindi proseguirà il nostro ascolto della retorica d’occasione, delle scelte non ben ponderate, dell’apparire e del credere. La realtà effettuale è anche questo. E tuttavia, anche in questa situazione, vi è il peggio e il meglio che si possono riconoscere, ad esempio, con elementari criteri di giustizia e con la misura del possibile. Direi che è il sistema della piccola verità che è stato selezionato dalla nostra storia. Ma almeno su queste cose, ogni politica verrà giudicata per quello che è, non per quello che dice.
MORALITÀ ED EFFETTUALITÀ
di Fulvio Papi

La nostra epoca sta vivendo, forse senza saperlo con chiarezza, la ben nota contraddizione tra i contenuti del dire della parola e le condizioni del fare della prassi. È a tutti evidente il fenomeno di migliaia di migranti dalle guerre, distruzioni, condizioni di pericolo, di persecuzione, di assoluta indigenza, che sfidano l’ostilità del mare con improvvisate imbarcazioni e cercano di raggiungere le coste europee. Per comprendere le loro condizioni si potrebbe meditare sui significati che porta con sé la parola “salvezza”. Non è un fenomeno nuovo la migrazione, la novità consiste nella proporzione numerica di migranti che pure, almeno per ora, non ha la caratteristica vera e propria di migrazioni di popoli quanto l’innalzamento delle acque, comunque previsto con un aumento della temperatura terrestre di due gradi, sarà un fenomeno che riguarderà più di un miliardo di esseri umani.
La contraddizione. L’una tesi, di cui è l’espressione più autorevole è quella di papà Francesco, parla della necessità morale, di derivazione evangelica, dell’accoglienza di chi, disperato (o con qualche residua speranza), la chiede. Il sottinteso è che tutti gli uomini hanno diritto alla vita senza discriminazioni di alcun tipo. La fratellanza, in Dio e in terra, con i più infelici e tormentati richiede, in ogni caso, l’accoglienza nelle nostre terre. È un imperativo religioso che ha la sua traduzione laica nell’umanesimo europeo. Dalla parte opposta vi è la decisione di alcuni stati europei di creare sbarramenti alle proprie frontiere, immagine soprattutto come deterrente per latre ondate migratorie. Non è una semplice questione di “buoni” e “cattivi”. I motivi non sono affatto difficili da capire. Lo sviluppo capitalistico, pur con tutte le sue gravi distorsioni civili e morali, in queste nostre regioni ha creato condizioni di vita e di pratica sociale e individuale che si sono consolidate e hanno creato figure viventi con una identità di se stessi tramite consumi sociali come modi di vita (simili in questo al linguaggio) che ritengono ogni mutamento che venga dall’esterno come un pericolo che può mettere in crisi l’equilibrio. Vi sono poi paesi che si augurano di raggiungere quelli più fortunati e quindi hanno lo stesso comportamento. La decisione è quindi di sbarrare l’accesso ai propri territori, sostenendo che i migranti debbano tornare indietro accettando il proprio destino di sofferenze e di morte. “A chi tocca tocca” come si dice dalle parti dei “Promessi sposi”. Ma, appunto, è la peste.Tra questo comportamento e quelle parole vi è dunque un abisso. Cerchiamo di esplorarlo. Le parole non sono vuote, hanno il correlato della “coscienza”, ma presuppongono che la soluzione del problema sia secondaria rispetto all’obbligo morale. Una questione di efficacia pragmatica guidata da una buona volontà. La soluzione significa però entrare nella prospettiva, quanto mai concreta, che l’Europa sono gli europei. Il che vuol dire tenere conto non di uno stato immaginario con i poteri del bene e del male, ma di organismi politici che devono legittimarsi attraverso il consenso di un’opinione pubblica che considera già ora insoddisfacenti le condizioni sociali per il lavoro non sufficiente per i giovani, e soprattutto per la situazione futura. In concreto, se si bada alla reale percezione e non necessariamente ad un desiderio intellettuale, l’accoglienza vuol dire mettere in condizione le popolazioni di temere di perdere qualcosa rispetto alla loro situazione. Sono finiti i tempi quando gli scrittori marxisti francesi notavano che l’emigrazione nordafricana realizzava (in una serie di lavori) il proposito capitalistico del minimo salario possibile. E sono finiti i tempi dell’emigrazione turca in Germania quando l’insieme dello sviluppo produttivo tedesco aveva bisogno di una forza lavoro che non era sufficiente considerata la riproduzione demografica locale. Allora era lo sviluppo capitalistico a interpretare positivamente i flussi migratori e, nei limiti di questo contesto, non vi erano problemi particolari di difficile soluzione. In Italia abbiamo l’esempio dell’migrazione dal Sud nel periodo del cosiddetto “boom economico” che, correttamente, non era che una espansione capitalistica, tenuti presenti gli equilibri europei, la semplicità della tecnologia, e l’assoluta competitività dei salari, tra i più bassi del continente. Ora l’Europa è ancora una zona ricca del mondo ma in condizioni molto diverse, ha una eccedenza di forza lavoro soprattutto (in Germania in proporzioni molto differenti) a livello giovanile, è in condizione difficile per mantenere il livello precedente delle garanzie sociali, ha un arretramento sensibile della condizione del cosiddetto “ceto medio”, non si sente protetta a sufficienza da forme diffuse di anomia sociale, anzi teme contaminazioni, dal punto di vista della sicurezza, proveniente da culture religiose diverse. E a questa situazione di difficoltà corrisponde, dal punto di vista etico, un individualismo materialmente diffuso che ha come ideale lo stile di vita di un tempo passato, con una profonda delusione per la sua perdita. D’altra parte le misure che qualsiasi dirigenza politica, condizionata dal consenso come sicurezza del potere può prendere, sono condizionate dalla situazione sociale esistente e dalle aspettative di una maggiore disponibilità di risorse per le proprie condizioni individuali. Credo sia inutile non vedere la situazione. Una degna accoglienza di milioni di profughi passa per una parziale modificazione della vita degli europei. Come e quanto e in che modo, non lo sa nessuno, ma questa è l’oscura paura che in alcuni paesi trova consenso al blocco delle frontiere. Forse la generazione futura europea, con un’altra educazione nel rapporto con la realtà, potrà rendere più facile il problema. Oggi restano misure che cercano di conciliare l’ostilità di molte popolazioni con un livello etico che appartiene alla tradizione e alla storia europea, attraverso modalità di inclusione e di esclusione, di accoglimento e di sicurezza. In teoria rimane sempre il discorso, facile a dirsi, della creazione nei luoghi di origine di condizioni di vita accettabili per le popolazioni, ma questa prospettiva è del tutto astratta, poiché in tutto il Medio Oriente e, in parte, in Nordafrica non è facile immaginare possibile né dall’interno, né dall’esterno, un assestamento pacifico e durevole. Tra moralità ed effettualità è sempre esistita una differenza molto importante, oggi è in questa differenza che ci troviamo a vivere, né rinunciare alla moralità, né poter ignorare l’effettualità. Occorrerà trovare sempre una provvisoria strategia e chiedere agli europei qualche necessario mutamento che è abbastanza facile trovare nella eliminazione degli sprechi e degli eccessi. Anche se questo comportamento può condurre a una diminuzione della redditività dei capitali. Non vorrei proprio esagerare, ma non è male ricordare che è stata la prospettiva di “lacrime e sangue” di Churchill a salvare l’Europa dalla catastrofe. Ci dovrebbero essere sempre risorse sufficienti per affrontare con spirito adatto situazioni di emergenza.   

venerdì 25 marzo 2016

LA SCRITTURA E LA SCENA
di Angelo Gaccione

Da sinistra: Gabriele Scaramuzza, Chiara Pasetti
Angelo Gaccione, Isabelle Rome al Teatro Filodrammatici di Milano
subito dopo l'incontro organizzato dall'Associazione Culturale
Le Reve e la Vie

Sono convinto che il rapporto tra scrittura e scena è destinato a rimanere conflittuale. Non sempre una scrittura teatrale è adatta per la scena, o quanto meno, non lo è per qualsiasi opera. Purtroppo questa pessima abitudine di “teatralizzare” tutto ciò su cui si posano gli occhi, è molto diffusa; soprattutto ad opera di registi giovani e poco avveduti che si improvvisano scrittori, e che “adattano” alle proprie esigenze sceniche e spettacolari, quanto da altri prodotto e che non era stato assolutamente concepito a questo scopo. Piuttosto che rendere irriconoscibile un testo altrui, basterebbe più semplicemente elaborarsene uno in proprio e su misura, rispondente a tutte quelle esigenze personali e spettacolari che si cercano. La marmorea fissità della parola mal si adatta a divenire cosa diversa dalla propria natura; dalle motivazioni che l’hanno fatta scaturire e dalle finalità che si propone. Se poi ci troviamo davanti ad un’opera nata per essere “rappresentata”, ma dove ogni parola, pausa, tono, ritmo è stato tuttavia organicamente definito dal suo autore e fissato in scrittura, ancora più rigidamente se ne deve rispettare l’ordito. Non si può, pena il suo snaturamento, operare interpolazioni, sostituzioni, o, peggio, aggiunte. E se anche autore e regista lavorassero assieme, la dicotomia non verrebbe comunque risolta: si potrebbero cercare assieme soluzioni “tecniche” condivise; escamotages legati specificatamente alla macchina teatrale, ma non vedo come si potrebbe risolvere il problema della sostanza (frasi, parole, tipo di recitazione, corpi da esporre allo sguardo degli spettatori), che per me autore hanno una valenza diversa da quella di chi quella sostanza deve rappresentare. Certo resta indispensabile il confronto: ma può darsi il caso che l’autore che ha concepito il testo non sia più vivente. Non si può, dunque, che fare affidamento sulla sensibilità e l’intelligenza di questo “animale” da palcoscenico; sperando che egli si documenti a fondo sulla personalità dell’autore, sul suo pensiero -non solamente estetico- che ne indaghi, fin dove gli sarà possibile, la sua visione di mondo, il suo sguardo sulla vita e sull’esistenza. Non tradirne il dettato resta in ogni caso fondamentale. Nel mio dramma corale “Pathos” ho chiuso il testo con questa raccomandazione: “In caso di applausi nessun attore deve uscire a raccoglierli”. Se si leggono attentamente le varie scansioni e se ne capisce il fondo, quella indicazione diventa fondamentale. Ci sono nei miei testi pubblicati in volume, indicazioni a volte minuziose e insistite. Non sono assolutamente trascurabili dal mio punto di vista, anzi. Se io fisso sulla pagina i contorni di una single (vedi l’omonimo monologo “Single”) cinica, fredda, analitica, razionale, colta; il personaggio deve essere così sulla scena. Non possono essere tagliati o modificati brani a piacimento che la rendono diversa da come l’ho immaginata. Il personaggio ne uscirebbe solo banalizzato. Se volevo renderla simpatica al pubblico avrei trovato altri modi per descriverla e farla parlare. Poiché tutto questo si è verificato in occasione di una messa in scena di “Single” diversi anni fa, posso comprendere come si sia sentita l’amica Chiara Pasetti al debutto del suo lavoro ispirato alle lettere e all’opera di un personaggio difficile e di grande fascino come l’artista francese Camille Claudel: “Moi”, avvenuto al Teatro Filodrammatici di Milano il 14 marzo scorso.
Ecco quanto mi scrive in una email del giorno dopo (15 marzo) da Novara:  “Ieri sera ho assistito a una cosa spinta in una direzione che io non le ho dato mai, né nel testo né nelle intenzioni. (…) sono molto amareggiata e delusa… ”.
Di queste delusioni un autore è destinato a provarne diverse se non potrà prendere in mano la propria opera gestendone direttamente la realizzazione scenica, o quanto meno a guidarla in accordo con un regista scrupoloso e disponibile.
Ma può un autore fare questo? Ne ha il tempo ed i mezzi? E soprattutto: è giusto che si trasformi in ciò che non gli compete?

Il tavolo delle relatrici durante l'incontro "Voci fuori dal coro" al
Teatro Filodrammatici prima del debutto di "Moi", di Chiara Pasetti
dedicato a tre donne speciali: Antonia Pozzi, Camille Claudel e Séverine
Nella foto da sin. Graziella Bernabò, Rosanna Massarenti,
Isabelle Rome, Chiara Pasetti



lunedì 21 marzo 2016

PASQUA DI MORTE
di Angelo Gaccione

Questi bambini augurano buona Pasqua ai mercanti di morte

Milioni di uomini, donne, vecchi e bambini vagano come fantasmi lungo i confini d’Europa; si ammassano dietro il filo spinato degli Stati; dormono in tende e nel fango, sopportano pioggia e freddo; soffrono fame, lutti e miseria; hanno perso tutto: case, lavoro, studio, affetti. Muoiono in mare e nelle lunghe traversate. Non ci sono riguardi per questi esseri umani, ma in compenso ce ne sono moltissimi per cacciabombardieri, droni, missili, bombe ed armi di ogni tipo. Armi che vanno a devastare e che provocano nuovi lutti, nuove miserie, nuovi esodi.
Abbiamo scritto fino alla noia sulle spaventose cifre che ogni anno gli stati di tutto il mondo spendono per le armi. Abbiamo dato le cifre, quelle fornite da loro stessi, e sono cifre da vertigini. Queste cifre potrebbero tornare a fare di questi dannati in fuga, di questi figli di nessuno, esseri umani. Queste cifre potrebbero garantire ai poveri di ciascuno Stato una vita dignitosa. Queste cifre potrebbero garantire case e acqua; pane e vestiti. Queste cifre potrebbero debellare malattie e miseria per ognuno. E invece ogni minuto muoiono esseri umani con la stessa velocità con cui si bruciano milioni di dollari e di euro in armamenti e in attività militari. Con la stessa velocità con cui la speculazione finanziaria delle Borse brucia una quantità spaventosa di denaro. Perché gli Stati che ci governano, nessuno escluso, hanno assunto nei loro geni un carattere disumano, e dunque apertamente nazista e criminale. Possono nella forma presentarsi come democratici, popolari o socialisti, ma nella sostanza restano quelli che sono: stati disumani, e dunque criminali. E non si fermano davanti a nulla. Non si curano di alcuna voce che si levi autorevole: neppure davanti a quella di questo papa. Voglio ribadirlo in questa Pasqua del 2016 in cui non c’è proprio nulla da festeggiare: voi, uomini di Stato, voi che avete retto le sorti del mondo, non potete accampare alcuna scusa davanti alle generazioni che verranno. Voi non potete dire, com’è successo con i campi di sterminio nazisti: Non sapevamo. Voi in questo tempo avete visto e saputo. Avete visto tutta la vergogna che è stata consumata sotto i vostri occhi. Una vergogna che dopo quella consumatasi durante la seconda guerra mondiale, non ha avuto eguali nel dopoguerra in Europa. Voi, uomini di Stato e di Governo di ogni dove, avevate il modo e le risorse per mettere fine alla tragedia dei profughi di guerra e dei profughi di fame in fuga da un intero continente, ma non avete voluto. Avete preferito investire milioni in armi e non in uomini; in cacciabombardieri e non in bambini; in droni e non in donne; in missili e non in pane; in morte e non in vita. Avete preferito arricchire una ristretta oligarchica di mercanti di morte (quelli che papa Francesco ha maledetto pubblicamente dalla sua finestra aperta al mondo), ma siete rimasti sordi al grido di milioni di esseri umani. No, voi non avete scuse. Voi avete scelto deliberatamente da che parte stare. Voi avete scelto la morte, e in questa Pasqua non ci sarà alcuna resurrezione.
Milioni a Finmeccanica con i sommergibili nucleari Usa
di Antonio Mazzeo


Le aziende del gruppo Finmeccanica fanno grandi affari con le armi di distruzione di massa delle forze armate Usa. A fine 2015, la controllata DRS Technologies, con sede ad Arlington (Virginia), azienda leader nella fornitura di sistemi di sorveglianza, reti satellitari e telecomunicazione, ha sottoscritto un contratto con US Navy per un valore massimo di 384 milioni di dollari per produrre equipaggiamenti elettronici di ultima generazione da destinare a varie classi di sottomarini, nucleari e non. “Grazie all’aggiudicazione di questa commessa, DRS Technologies diventa prime contractor della Marina militare americana, ampliando così il ruolo dell’azienda come principale fornitrice di sistemi di combattimento per sottomarini”, spiegano i manager di Finmeccanica.
Una parte importante del contratto riguarderà l’ammodernamento dei sistemi di propulsione della classe di sottomarini lanciamissili balistici “Ohio”, uno dei sistemi d’arma chiave nelle dottrine di guerra nucleare del Pentagono. Azionati da un reattore del tipo S8G (di ottava generazione), realizzato da General Electric, quattordici unità della classe “Ohio” sono armati ognuno con 24 missili intercontinentali Trident II D5 con una gittata di 12.000 km, in grado di trasportare fino a 12 testate nucleari del tipo W88, con una potenza distruttiva di 475 chilotoni. Complessivamente ogni sottomarino imbarca 192 testate atomiche, un vero e proprio arsenale di morte per attacchi multipli su obiettivi sparsi in tutto il pianeta. Altri quattro sommergibili della stessa classe (l’Ohio, il Michigan, il Florida e il Georgia) sono predisposti invece al lancio dei missili da crociera BGM-109 Tomahawk, in grado di trasportare a 2.500 km di distanza sia testate nucleari che convenzionali. Tutti gli “Ohio” sono armati infine con una dozzina di siluri Mark 48, capaci di percorrere sino a 40 Km di distanza a una velocità superiore ai 55 nodi. Questi siluri trasportano testate dotate di uranio impoverito e rame liquido, la cui combustione può perforare anche navi o sottomarini a doppio scafo.
Il 30 settembre 2014, la controllata la DRS Laurel Technologies con sede a Johnstown (Pennsylvania), si era aggiudicata un contratto del valore di 171,2 milioni di dollari per fornire computer, display, hardware, ecc., per sviluppare le reti informatiche dei sottomarini Usa delle classi “Los Angeles”, “Seawolf”, “Virginia” e “Ohio”. Il contratto firmato con l’U.S. Naval Undersea Warfare Center Division di Keyport, Washington, includeva pure la fornitura di sonar, processori e sistemi elettronici di controllo armi di ultima generazione “TIH” per i sottomarini d’attacco della classe “Collins” della marina di guerra dell’Australia, nell’ambito di un accordo di cooperazione con il Pentagono. A fine 2011 sempre DRS Laurel Technologies aveva ottenuto una commessa del valore di 691 milioni di dollari dalla Lockheed Martin Corp. Mission Systems and Training di Manassas (Virginia) per fornire i sistemi sonar e di combattimento TIH ai sottomarini nucleari di US Navy.
Intanto il Pentagono ha predisposto un ambizioso programma a medio termine per lo sviluppo di una nuova classe di sottomarini lanciamissili balistici che sostituisca gli “Ohio” a partire dal 2029. Con un costo stimato di 95,8 miliardi di dollari, l’Ohio Replacement Program ha già un nome in codice “Hence SSBN-X”. La nuova classe di sommergibili dovrà trasportare 16 tubi di lancio ciascuno, in contrapposizione agli attuali 24, e sarà predisposto per il lancio di ordigni nucleari e convenzionali. DRS Technologies sarà una delle aziende che collaborerà allo sviluppo del programma di ammodernamento dei nuovi dispositivi strategici Usa. Il 23 dicembre 2011, i manager di Finmeccanica hanno reso pubblico che Consolidated Controls Inc. (CCI), una società del gruppo Drs Technologies, si era aggiudicata un contratto da General Dynamics Electric Boat per progettare, realizzare e testare un sistema di controllo elettromeccanico destinato ai sottomarini atomici che sostituiranno la classe “Ohio”.
Finmeccanica acquistò DRS Technologies nel 2008 spendendo 5,2 miliardi di dollari. In verità le commesse militari poi ottenute non hanno compensato i massicci investimenti della holding italiana negli Stati uniti d’America; così lo scorso anno è stato avviato un piano di dismissione di alcuni settori produttivi, principalmente nel campo dell’avionica, della logistica e delle telecomunicazioni. Per il gruppo con sede ad Arlington, il 2015 si è comunque concluso con una crescita del fatturato del 15,1% rispetto all’anno precedente (da 1,59 a 1,83 miliardi di dollari), mentre gli ordini hanno registrato un +21,1%. Oltre alla fornitura di attrezzature elettroniche per i sottomarini strategici, DRS Techonologies ha siglato un accordo del valore di 55 milioni di dollari per ammodernare i sistemi di comunicazione vocale integrati degli incrociatori e dei cacciatorpediniere AEGIS di US Navy. Lo scorso anno DRS ha pure fornito potenti visori notturni e sofisticati sistemi informatici all’esercito statunitense, mentre in Canada si è aggiudicata una commessa di 100 milioni di dollari per la produzione di antenne e sistemi di sorveglianza per equipaggiare i carri armati LAV 6.0, prodotti da General Dynamics e acquistati dall’esercito canadese. Nonostante i buoni affari di guerra - in linea con quanto accade internazionalmente al complesso militare industriale - DRS Technologies ha visto ridurre drasticamente i propri addetti: da 10.000 a 5.500 unità in meno di dieci anni. Soldi tanti, occupazione poca.
Milano: al centro del cuore una palma
Testo e foto di Paolo Maria Di Stefano

La chiesa di san Sepolcro (Milano) in una vecchia foto

A Milano la primavera si è presentata in tutto il suo splendore venerdì 11 marzo. Tutto quanto la nuova stagione tradizionalmente indossa -fiori e colori e azzurro unico del cielo e respiro delle montagne e profumo lontano della neve, e auguri e regali- ha vestito anche la città: un regalo unico, stupefacente, quasi a ricordare che Milano precorre gli eventi, traccia il cammino, disegna il futuro.
E custodisce le sue radici, le conserva in luogo sicuro e le mantiene intatte, solo un poco più mature   perché sa che tornerà un nuovo tempo per il germoglio e la fioritura. Una nuova primavera, che riporterà alla vita anche quei valori che sembrano oggi dimenticati, distanti, estranei. Non nella forma, ma certamente nei significati più veri. La vittoria, l’ascesa, la rinascita, l’immortalità sono tra questi, oggi ridotti a banalissimi simboli dell’egoismo, della conquista del potere individuale, della vendetta, della affermazione di sé qui ed ora, come spogliati dei significati più veri e dunque dell’anima stessa dell’essere umani.
Ecco, allora, che Milano ripropone all’attenzione di tutti noi quella palma da sempre simbolo di rinascita, quella palma di cui al salmo 91-13,15: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come il cedro del Libano. Piantati nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio fioriranno.  Fruttificheranno ancora nella vecchiaia, vigorosi e verdeggianti saranno (…)”.
Sì, Milano e la palma, simbolo di vittoria, di ascesa, di rinascita, di immortalità, capace anche di germogliare quando sembra ormai morta: una palma silente nella cripta di San Sepolcro, risorta dopo cinquanta anni di oblio per volontà silenziosa quanto tenace di Franco Buzzi, il Prefetto che è riuscito a ricostruire il legame secolare -che sembrava perduto- della Accademia e della Biblioteca Ambrosiana con la storia millenaria della città.



Ho chiesto ad Alessandra, l’architetto da sempre mio spirito guida, di accompagnarmi alla scoperta di quella chiesa sotterranea, al centro del cuore della città. Ha accettato, forse per godere del mio stupore all’incontro con la palma in rame che, pur risalente soltanto al 1600, costituisce a mio parere l’elemento di maggiore sorpresa nella visita ad una cripta che ha visto il costruirsi della storia dal 1000 ad oggi, e all’interno della quale tutto è possibile attenderci, meno, probabilmente, proprio una palma. E, forse, anche per aiutarmi a capire.
Intanto, l’Ambrosiana, figlia un tempo e madre oggi di San Sepolcro.  Piazza Pio XI esattamente là dove è tutt’ora l’incrocio tra il cardo maximus -che collegava tradizionalmente le porte praetoria e decumana, e il decumanus maximus, che andava ad angolo retto a collegare le porte dextra e sinistra- e dove era il praetorium.
La piazza accoglie oggi una scultura -discussa e forse realmente discutibile-  di Daniel Libeskind il cui intento è evocare plasticamente il pensiero “totale” di Leonardo da Vinci, le cui opere sono presenti in Ambrosiana più che in qualsiasi altro museo del mondo.




A mio parere “fisicamente” inadeguata, all’opera si può guardare come ad una presa di coscienza della distanza che passa tra il pensiero del genio e quello di ciascuno di noi, molto più limitato. Oppure, come alla enunciazione di un tema, che ognuno è chiamato a svolgere secondo le proprie capacità. Ho provato a guardarlo così:








E credo che Ale fosse d’accordo: “se ci fermassimo a ciò che concretamente ci appare in quella che noi crediamo la realtà” -mi ha detto- “sarebbe come rinunciare ad andare avanti”.




Alle spalle dell’Ambrosiana, la Chiesa di San Sepolcro, madre dell’Ambrosiana stessa, non fosse che perché nata nel 1030. Tra loro, il cortile degli Spiriti Magni, spazio dove il pensiero sembra svolgersi in una sorta di esclusiva semplicità “complessa”, non ostante tutto accessibile a chiunque.
San Sepolcro, Chiesa privata di Benedetto Rozzone, maestro di zecca, in origine dedicata alla Santissima Trinità era stata consacrata dall’arcivescovo Ariberto d’Intimiano; nel 1100, l’arcivescovo di Milano Anselmo IV da Bovisio riconsacrò la chiesa dedicandola al Santo Sepolcro. Una scelta quasi obbligata, questa, essendo appena avvenuta la riconquista di Gerusalemme da parte dei crociati.




Mi è parso che mostrare la Chiesa in modo forse non tradizionale, ma comunque suggestivo, riflessa nel lunotto di una delle troppe auto che infestano la piazza e Milano tutta, potesse essere sintesi del pensiero di una costruzione che ha visto la storia svolgersi per oltre mille anni, anche partecipando muta alle vicende della nascita di un ventennio non particolarmente fortunato. Per l’Italia tutta e non solo. Il 23 marzo 1919…
E credo che neppure in quella occasione dinanzi alla facciata si siano raccolti tanti milanesi quanti quelli che hanno voluto essere tra i primi a entrare nella cripta riaperta: molti di loro erano anche presenti alla cerimonia ufficiale di inaugurazione, svoltasi con la partecipazione del Cardinale Scola; per la stampa, invece, il giorno prima una affollata conferenza.









Il cardinale Scola e monsignor Buzzi, Prefetto dell'Ambrosiana
con il Rettore Ornaghi

In cripta, intanto, la palma e la riproduzione del Santo Sepolcro e l’immagine di un Cristo ligneo, e un affresco del 1300 con la Maddalena e l’imperatrice Elena, forse, e la statua di san Carlo Borromeo, beatificato nel 1602 e canonizzato nel 1610, in atteggiamento di preghiera…
La palma, certamente l’oggetto meno atteso ed anche per questo più straordinario che Milano è tornata a render fruibile a tutti noi: pare che il cardinale Federico Borromeo l’avesse ordinata a Gian Andrea Biffi e Gerolamo Olivieri, e che fosse stata pensata come fontana. E, soprattutto, che fosse simbolo della sapienza. Probabilmente proprio perché tale, il suggerimento di Alessandra è stato di fotografarla dando rilievo particolare alle ombre, quasi a significare l’agonia di una sapienza forse già scomparsa, e destinata ad essere riscoperta, un giorno, grazie alla tenacia di uomini nuovi, liberi e creativi.



Io credo non sia un caso che quella palma si trovi al centro del cuore antico di Milano, la città che da sempre è guida anche culturale, oltre che economica, di questo nostro Paese distratto, sì, e forse anche indifferente, ma pur sempre capace di stimolare uomini, come Leonardo da Vinci, che si innamorano dei significati oltre le cose e i significati cercano perché le cose divengano immortali.
La copia del Sepolcro di Cristo è nel centro “fisico” della città, tale fin dall’epoca romana. E io trovo commovente che le agili colonnine poggino su quelle pietre che appartenevano al lastricato dell’antico foro romano del quarto secolo, e, più ancora, che i milanesi di oggi possano “camminare sulle stesse pietre che furono mille e seicento anni fa calpestate da sant’Ambrogio, da sant’Agostino e dall’imperatore Teodosio e vedere i solchi lasciati dai carri che percorrevano il centro della Milano romana”. Così Marco Navoni, dottore dell’Ambrosiana, il quale ci ricorda anche che “Leonardo da Vinci disegnò la pianta sia della Chiesa superiore, sia della Chiesa inferiore: tale disegno era un tempo conservato presso la Biblioteca Ambrosiana, ora invece si trova a Parigi. All’Ambrosiana si conserva invece, all’interno del celebre Codice Atlantico, la mappa della città di Milano. Su di essa Leonardo tracciò un quadratino che indicava proprio la chiesa di San Sepolcro, e indicò quel punto come vero mezzo di Milano, cioè il vero centro della città.”

Il cardinal Borromeo in preghiera

Particolare del sepolcro


Il Cristo ligneo

Un Cristo ligneo, ancora oggetto di studio, dall’espressione intensa, descrizione delle sofferenze patite per ricongiungere a Dio una umanità per molti versi ancora refrattaria, quasi nemica, ma che uscirà un giorno dalle tenebre che la avvolgono. E gli affreschi, alcuni forse irrecuperabili, tra le colonne agilissime poggiate sul passato romano della nostra cultura.

 
Affreschi



Affreschi

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