È MORTO UN
ARTISTA
di Francesco Piscitello
Oggi all’età di 93 anni
Guido Antonelli ha voltato le spalle al mondo.
Francesco Piscitello che
è stato uno dei suoi amici più costanti,
ne traccia questo
ricordo per i lettori di “Odissea”.
[Guido Antonelli in un autoritratto nelle vesti di Don Chisciotte] |
Se fosse ancora in vita,
Guido Antonelli, non mi farebbe mancare la sua protesta vibrata. Vibrata? È dir
poco, vibrata: furiosa, piuttosto. La sua protesta, dicevo, qualora scrivessi:
“Guido ci ha lasciati”, o “si è spento” o “è passato a miglior vita”. Una
miglior vita peraltro alla quale, ateo com’era, non credeva. Non solo ateo ma,
da focoso romagnolo ravennate, convinto mangiapreti. Alieno da qualsiasi enfasi
e anzi compiaciuto cultore dell’antiretorica, l’unica formulazione che avrebbe
accettato sarebbe: “Guido è morto”. Al massimo: “È deceduto Guido, il pittore”.
Guido, comunque, non c’è più. Alcuni di noi che gravitiamo intorno a Odissea lo hanno conosciuto. E ne
proveranno dispiacere.
Non
sono in grado di esprimere giudizi sulla sua arte. Non ne possiedo gli
strumenti culturali. A me piaceva. Lo ritengo un pittore di qualità. Che
tuttavia aveva sempre rifiutato sdegnosamente di promuovere se stesso e il suo
lavoro. Fare una mostra? Per carità! Quando accadeva, era più qualcosa che
subiva, non senza resistenza comunque, che non qualcosa di cui essere lieto.
Perché? Non c’è un perché. Perché era fatto così. E basta. Vendeva i suoi
quadri per un quinto del loro valore. Agli amici per un decimo. Quando
addirittura non li regalava, E così viveva modestamente. Modestissimamente.
Però al bar, al ristorante, bisognava precederlo con uno scatto felino, per
arrivare primi alla cassa. E tollerare poi, in ogni caso, la sua intemerata.
Guido
Antonelli: nome d’arte. Che sostituiva quello vero: Antonio Guidazzi. Gli stava
meglio questo, però. Aspra e tagliente, quella doppia zeta si adattava di più
al suo caratteraccio che non la soave dolcezza di “Antonelli”.
Quando
ancora era in carne non ha mai raggiunto, io credo, i cinquanta chili di peso.
Paracadutista a El Alamein, toccava sempre, ovviamente, il suolo per ultimo.
Era un’osservazione che lo divertiva. Prigioniero degli inglesi gli prendeva i
camion e se ne andava per i fatti suoi. Riuscendo però sempre a salvarsi.
Chissà come.
Gli
debbo molta riconoscenza. È attraverso lui che ho conosciuto il mondo delle
lettere milanesi: Angelo Gaccione, Vincenzo Guarracino, Luciano Erba, Gilberto
Finzi e molti altri. Finzi, che non era critico letterario di facili
approvazioni, apprezzava la sua poesia. Perché Guido era anche poeta. Senza
fare alcunché, non sia mai!, per farlo sapere. Lo sapevano solo gli intimi, o
pochi più. Saggista, anche. “Il caso Pound”, “Il dubbio mistico e l’oblio”, “Le
Muse inquietanti”. Ultimamente aveva aderito a un movimento letterario, il
“connettivismo”.
Questi
sono versi suoi:
…Vedete le sue ceneri.
Nemmeno il vento
le degna. Nemmeno una
cascata
di stronzi più in là
muove proclive
a un cenno. È la fine,
la fine di tutto.
Poiché s’era preteso un
inizio, il soffio,
per questa parabulìa
ancora appesa
alla crisalide. Né
fuoco, né cenere
ma stretti alla
banchisa, ma esperti
gondolieri, della vita
figli non degeneri.
Mi
fermo qui. Non avrebbe gradito, Guido, troppe parole. Parole, in ogni caso, non
facili da scegliere. Possibilmente, non fra quelle troppo encomiastiche. Dirò
soltanto, allora, che è morto il più grande fottuto polemista, provocatore e
bastiancontrario che io abbia mai conosciuto.
E che mi mancherà.