LOTTA ANTICAPITALISTA PER CLIMA,
TERRITORIO, AMBIENTE E SALUTE.
Per uscirne vivi
Disastri ambientali |
I cambiamenti climatici, la distruzione del
territorio e delle risorse naturali, l’inquinamento e le malattie generate dal
modo di produrre capitalistico nell’industria e nell’agricoltura colpiscono da vari
decenni l’intero pianeta. In Italia queste catastrofi sono aggravate dalla
natura franosa e sismica di buona parte del territorio nazionale, dal dissesto
idrogeologico, da 70 anni di malgoverno nell’uso del territorio (cementificazione
eccessiva del suolo agricolo e delle rive e degli alvei dei fiumi, grandi opere
infrastrutturali dannose oltre che inutili, trivellazioni in terra e in mare, abusi
e condoni edilizi, ecc.), da una gestione della mobilità di persone e merci e da
una produzione di energia subordinata ai grandi interessi industriali e
petroliferi.
Occorre pertanto essere sempre più consapevoli che il
modello di produzione capitalistico, imperniato sul maggior profitto possibile
impresa per impresa e sull’accumulazione di tale profitto, tende a comprimere i
costi di produzione non solo sfruttando il lavoro umano, ma anche distruggendo
le risorse naturali e ambientali complessivamente intese, sia quelle utilizzate
nei processi produttivi, sia a seguito delle emissioni nell’aria, nelle acque,
sul suolo e nel sottosuolo, nei corpi degli esseri viventi.
Per contribuire a superare il capitalismo occorre agire in
modo conseguente alla modificazione radicale di alcuni paradigmi: 1) la “natura”, la terra in cui
abitiamo, non deve più essere l’entità, inorganica ma imprevedibile, da
controllare, da sottomettere con la tecnologia e da sfruttare, come l’aveva
concepita la rivoluzione scientifica dell’ inizio del XVI secolo, funzionale
all’inizio dell’accumulazione capitalistica: concezione che ancora prevale in
occidente; 2) il territorio,
contenitore di tutte le attività umane e supporto delle stesse condizioni di
vita degli esseri viventi, deve diventare un bene collettivo , in quanto è sempre
più scarso e non riproducibile; un bene da tutelare, anche riportando la
produzione di cibo a una agricoltura ecosostenibile, e da usare con estrema
accortezza, al di sopra della proprietà privata o pubblica di porzioni di suolo;
3) la produzione deve essere conseguente
a una decisione collettiva sul che cosa, per chi, quanto e come produrre. Se i
primi tre aspetti presuppongono una fase di superamento del capitalismo, meno
difficile è operare fin da oggi sul come
produrre, passando dalle energie di origine fossile a quelle rinnovabili, dall’uso
di materiali e sostanze tossiche per l’ambiente e per la salute ad altre
compatibili, a tecnologie risparmiatrici di acqua ed energia, a prodotti
concepiti per durare nel tempo, riparabili, riusabili e riciclabili alla fine
del loro ciclo di vita, senza produrre scarti e rifiuti.
Disastri ambientali |
Quest’ultimo obiettivo comporterebbe perdite occupazionali in
alcune attività industriali, da superare con la riduzione generalizzata
dell’orario di lavoro, con la produzione di energia da fonti rinnovabili, con
l’estensione delle attività di cura del territorio (rigenerazione socioeconomica
delle zone collinari e montane, rinaturazione ove possibile delle sponde
fluviali, rimboschimenti, ecc), delle città (recupero edilizio ed energetico
degli edifici, riuso degli edifici vuoti, riqualificazione delle periferie e
degli spazi aperti), dei borghi antichi e dell’immenso patrimonio
storico/artistico/culturale di qualunque epoca e localizzazione, e delle
persone (servizi pubblici di base di qualità a disposizione di tutti e tutte).
Il cambiamento del modello di sviluppo è inoltre, per noi,
terreno di lotta comune con il sindacato e con molti movimenti ambientalisti
nazionali e comitati locali, spesso oggettivamente anticapitalisti anche se
talora operano per un unico obiettivo o settore.