La
formazione del sé
di
Ferdinando Vidoni
Gabriele Scaramuzza |
La
scrittura autobiografica conosce nuovi sviluppi, determinati da
ricordi e riflessioni in cui l’elemento psicologico interiore si
intreccia con quello letterario e attrae anche quello storico-sociale
(ci sono consonanze a questo proposito con recenti lavori di Duccio
Demetrio come L’interiorità maschile. La solitudine degli
uomini, Milano, Cortina, 2010).
Gabriele
Scaramuzza (già noto docente di estetica nelle Università di
Padova, Verona, Sassari, Milano) si era già cimentato su questo
terreno in un lavoro recente che saggiava queste tematiche sullo
sfondo degli anni della fanciullezza, vissuta a Inzago (in provincia
di Milano) negli ultimi anni della guerra - vedi il suo In fondo
al giardino. Ritagli di memorie, Milano, Mimesis, 2014; a questo
ora fa seguito Un’insostenibile voglia di vivere. Frammenti di
memorie e riflessioni (Milano, Mimesis, 2017).
Terminato
questo periodo, che aveva avuto anche momenti di agreste felicità,
il ritorno a Milano avvenne in una città ancora sconvolta dai
bombardamenti. Molte difficoltà investivano i ragazzi che dovevano
portare avanti gli studi. Nelle elementari e medie ciò si svolse in
modo precario, senza molte concessioni alle personalità degli
alunni. In compenso Gabriele sviluppò il gusto della lettura, che si
intensificò al liceo. Gli si fanno chiare le sue preferenze:
Dostoevskij innanzitutto, fino a Pavese, fino a Kafka (su cui
successivamente pubblicò Kafka a Milano. Le città, la
testimonianza, la legge, Milano, Mimesis, 2013), tra gli altri.
In campo musicale Mozart, Beethoven, Verdi (del quale sarebbe
diventato uno studioso: vedi Il brutto all’opera.
L’emancipazione del negativo nel teatro di Giuseppe Verdi,
Milano, Mimesis, 2013) e tanta musica contemporanea.
Non
lo soddisfaceva il tipo di ricerche fondate prevalentemente su
prestazioni, si potrebbe dire, quantitative, basate più che altro su
aggiornamenti e cumuli di informazioni dimostrative della verità
della scienza intesa come dogmatica: vi era insomma “un modo di
essere nella cultura che vivevo come profondamente estraneo,
forzosamente imposto […]. Nella mia ottica un’estensione” di
una forma di “cattivo obiettivismo” fu “il prevalere dei
risultati sul cammino compiuto per giungere a essi” (p. 59). Del
resto il giovane docente doveva respirare il clima di crisi
accademica, culturale e politica che specialmente a Padova si fece
sentire con dibattiti, contestazione e talora anche violenza.
Nonostante
i suoi ricordi amari il tono determinante dello scritto è espresso
in quello che chiama una “voglia di vivere” che cerca di ricavare
dal passato nuove speranze e stimoli per aprirsi al futuro.