Morti
per amianto alla BredaTermomeccanica /Ansaldo:
assolti
i dirigenti
Per
il Tribunale di Milano uccidere i lavoratori
per
il profitto non è reato.
di
Michele Michelino
Anche
il processo contro i
dirigenti della Breda
Termomeccanica/Ansaldo di Milano, imputati della morte per amianto di
12 lavoratori, si è concluso con l’assoluzione dei manager. Per la
morte di questi operai nessun manager e nessun padrone pagherà,
com’è ormai prassi al Tribunale di Milano.
Il
giudice dr. Simone Luerti della 9° Sezione Penale del Tribunale di
Milano ha assolto tutti gli
imputati, con la formula “il fatto non sussiste” e per “non
aver commesso il fatto” come chiesto dalle difese degli imputati e
dai responsabili civili Breda/Ansaldo/Finmeccanica, nonostante il P.M
Nicola Balice avesse chiesto pene dai 2 ai 4 anni e 11 mesi.
Ancora
una volta l’impunità è scattata a salvare chi non ha rispettato
le misure di sicurezza in fabbrica. Questa sentenza è solo l’ultima
di una serie di assoluzioni: la Franco Tosi, l’Enel di Turbigo, la
Pirelli, la Fibronit (in appello), l’Alfa Romeo.
Mentre
nell’opinione pubblica aumenta la consapevolezza del pericolo
amianto e si chiede la bonifica dei siti e dei territori contaminati
dai veleni, la magistratura, e in particolare il Tribunale di Milano,
concede l’impunità e la licenza di uccidere a imprenditori,
manager, faccendieri, padroni che per fare più profitti non esitano
a mandare a morte consapevolmente miglia di lavoratori e cittadini.
Per la
magistratura nessuno è colpevole per i morti d’amianto.
Il
segnale è chiaro: l’economia capitalista è più importante della
salute e della vita umana e in questo sistema uccidere i lavoratori
per massimizzare i profitti non è più reato.
Dopo
anni di fabbrica, costretti a lavorare in ambienti nocivi con
sostanze cancerogene che hanno ucciso prima i lavoratori e poi
uscendo dalle fabbriche e disperdendosi nell’aria, nell’acqua e
nel territorio, anche i cittadini, abbiamo imparato sulla nostra
pelle e su quella dei nostri compagni che la giustizia non esiste. In
una società divisa in classi, anche se formalmente la Costituzione
dice che tutti i cittadini sono uguali e nei tribunali sopra la testa
del giudici campeggia la scritta LA LEGGE È
UGUALE PER TUTTI, questo non è vero.
Oggi
abbiamo perso un’altra battaglia, ma la guerra continua, non ci
arrendiamo. Siamo pieni di rabbia ma non rassegnati. Continueremo a
lottare nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nel
territorio e anche nei Tribunali contro la giustizia dei padroni che
offende e umilia le vittime; la lotta continua. Il nostro
unico, grande, rammarico, è che intanto gli operai continuano - e
continueranno - a morire in silenzio e i responsabili a godere
dell’impunità, grazie anche ad una “ingiustizia” di classe.