RIFORMISTI
PRE-ELETTORALI
di Franco Astengo
L’attenzione del mondo politico
sembra tutta rivolta verso la nuova (ennesima) legge elettorale, ma questi sono
anche i giorni della manovra finanziaria. La legge di bilancio , arrivata in
Consiglio dei ministri, consiste in circa 20 miliardi di cui 15,7 usati per
impedire l’aumento dell’IVA dal primo gennaio prossimo: dieci miliardi saranno
assicurati dalla crescita del deficit. Una manovra al ribasso ben oltre le
dichiarazioni del governo tutte improntate all’ottimismo pre-elettorale.
Una manovra
che si situa in una situazione di indicatori economici che collocano l’Italia
alla coda dell’UE, per un Paese sempre più in difficoltà sul terreno cruciale
della struttura industriale.
Un
editorialista di un grande quotidiano, ad esempio, ritorna sul tema spinoso
della siderurgia ricordando come l’UE ponga all’Italia il tetto dei 6 milioni
di tonnellate di produzione annua soltanto per lo stabilimento di Taranto,
mentre l’Italia importa dalla Cina e dall’Iran circa 20 milioni di tonnellate
annue di prodotto. In questa situazione la siderurgia italiana, dopo il
disastro delle privatizzazioni, è abbandonata agli stranieri e i nuovi
acquirenti di Arcelor-Mittal (indiani) hanno disdetto unilateralmente gli
accordi economici sulla riassunzione di 9.000 dipendenti su 14.000 attualmente
impiegati, con il profilarsi quindi di circa 5.000 cosiddetti “esuberi”.
Soltanto per
fare un esempio tra i tanti che si potrebbero evidenziare, non dimenticando
però economia sommersa, evasione fiscale (111 miliardi nel 2016), corruzione,
criminalità organizzata in espansione proprio sul piano del riciclaggio
attraverso investimenti economici in diversi settori di interesse pubblico.
Tornando
alla manovra restano da sottolineare due elementi, misconosciuti e comunque che
si cercherà di tenere nascosti in campagna elettorale e che ci indicano come le
cifre sbandierate siano tutte perlomeno “sub
judice” se non valutabili direttamente come fasulle:
1)La questione che s’intende
sottolineare oggi riguarda l’evidente sottovalutazione che, per ragioni di pur
propaganda, il governo italiano sta esercitando rispetto alla prossima fase
conclusiva del Q.E. L'exit strategy coinvolgerà
la Bce - dove il Qe dovrebbe finire l'anno prossimo - e poi la Bank of England,
la Bank of Japan, e in misura minore la Riksbank svedese e la Swiss National
Bank. In tutto, le banche centrali deterranno alla fine di quest'anno buoni e
obbligazioni per 15mila miliardi di dollari, dei quali 9mila in governament bond, in media un quinto del
debito pubblico dei Paesi interessati. Anzi, in diversi casi ancora di più,
tanto da avvicinarsi al limite del 33% del debito pubblico scritto nello
statuto sia della Bce sia della Fed (per evitare che una banca centrale finanzi
direttamente un Paese). Come si muoverà l’Italia di fronte all’emergenza che
sarà posta dalla necessità di smaltire questa enorme massa di denaro?
2)Pendono anche altre due spade di
Damocle oltre a quella della chiusura del Q.E, rappresentate dalle due tranche
di clausola di salvaguardia IVA ancora in sospeso da 11,4 miliardi nel 2019 e
da 19,2 miliardi nel 2020. Immaginatevi il peso dell’esercizio effettivo di
queste clausole (per adesso si tratta di cambiali in scadenza soltanto
rinviate) sull’intera economia. Insomma, una situazione che si preannuncia
molto complicata (per usare un eufemismo) sul piano economico e che viene
tenuta sotto traccia da un governo di basso profilo che ha prodotto soltanto la
continuità con i “bluff” del governo procedente. “Bluff” i cui esiti disastrosi
si sta cercando soltanto di rinviare nel tempo. Sia chiaro: la situazione di
cui ci stiamo occupando presenta aspetti che con il riformismo (quello che
proprio è andato in crisi definitiva nel corso degli ultimi anni) non ha nulla
a che vedere proprio perché avvitata attorno ad un pericoloso illusionismo pre-elettorale
prodotto dal cumularsi di frottole raccontate nel tempo :80 euro, job act, buona scuola, alternanza scuola/lavoro,
APE sociale e quant’altro. In agguato gli estemporanei improvvisatori del M5S
(sempre pronti ad una marcia indietro rispetto alle loro sparate di stampo
prettamente democristiano) oppure l’eterno ritorno del “sempre uguale” della
destra della quale sembrano essere state dimenticate le enormi responsabilità
nello stato di cose in atto.