Italia 2017
di Davide Di Felice
Davide Di Felice |
Principia
Belpaese da Piemonte,
ove a baluardo
torreggiò Fassino,
capitan de
la guardia di Torino:
ma al
Grillino dovè chinar la fronte;
(Principia…
Piemonte:
Gran
barbacani eresse qui Fassino,)
…
Ma al
Grillino…
Non valser
Chiamparini e Littizzetti,
né i fossati
di Stura e del Lingotto,
ché ’l
compagno pensò: “or me ne fotto
d’una
sinistra omai fatta d’inetti”.
Per Po
discendi in quella Lombardia
Ov’ogni amor
carnal era bandito,
fosse pur de
la moglie co’ ‘l marito:
tal fu di
Formigoni l’omelìa (;)
fin che nove
puttane tuttavia
volse ‘l
popol che a Silvio rese omaggio;
(di puttane
disioso, tuttavia,
era ‘l vulgo
e… a Silvio rese omaggio;)
(e… di
Silvio fè l’assaggio)
Irata, e
offensa da cotanto oltraggio,
la nobil
acqua presta fuggì via
ad insalarsi
in mar presso a Vinegia.
Trascorri
pur Friuli, anco Trentino:
di Luca non
vedrai maggior cretino,
però di Zaia
Veneto si fregia.
Il nobile
lignaggio d’esto sito,
che
strombazza ‘l miracul del Nordeste,
solerte è
sempre a raschiar le ceste
d’un erario
già messo a mal partito.
Vagando per
cittadi marinare,
obliar non
déi il Beppe genovese;
d’esser
profeta avanza le pretese
e gl’idioti
no’l cessan d’acclamare.
Idioti?!, e che diran i Malatesta
dei
predappiani e di quel Poletti,
medaglia
d’or fra tutti li suggetti
che di
membro viril hanno la testa?
Poi che sul sesso me se n’ gì l’accento,
par che
Renzi a la ninfa di Valdarno
tenda i suo’ lacci, forse non indarno.
(tenda suo’
lacci: Dio non voglia indarno!)
(ch’anch’ io
per esso lui sarò contento,)
(sarei per
esso lui ben io contento)
Per una
volta anch’io sarò contento,
dopo lazzi
sì crudi e duri strali,
se ‘l suo
fulmin terrà dietro al baleno;
ma potriangli
le forze venir meno
se son pari
ai trionfi elettorali.
Or ne fa
prova il prode Gentiloni,
vanto d’Ancona
e ancor di Recanati,
forse ‘l
miglior tra tutti li mal nati:
e però se ‘l
torràn da li coglioni.
Coglioni: un po’ ci son e un po’ ci fanno
quei che,
pascendo pecore e maiali,
non temono
tremuoti ed altri mali
e, cocciuti, di là non se ne vanno.
Perciò Francesco diligea le fiere,
sola forma
di vita intelligente
ne le
province, ov’ ora un presidente
in loco del
cerébro have ‘l sedere.
Forse perché
di tant’Italia fella
Terni, con
Rieti, s’erge a baricentro,
Tevero
istesso sdegna intrarci dentro:
ahi, ch’in
bragia cadrà da la padella!
Ché l’imbiondire
ne la landa opaca
di Tuscia e
di Sabina per vie tòrte,
non gli
varrà scansar le gore morte
serpeggianti
ne l’inclita Cloaca.
Imagina,
lettor, a quale prezzo
ora potrei
cantar, e con qual metro
argomento sì
‘mmenso e pur sì tetro
del qual,
sol a nomar, m’uccide ‘l lezzo.
Per
discettar di fogne e di liquami,
l’alloro cedo
a qualche imbonitore
(alloro
miglior cinge imbonitore)
dal calamo
ruffian e servidore,
che, ‘ntinto
in guazzo, fa gran bei ricami.
(… , scaglia
gran proclami.)
Onde, a
fuggire dal mortal ferétro
fatto de l’aere
denso che qui esala,
novo Dedalo,
ratto levo l’ala
sovra
Tirreno, chiaro come vetro.
Ed ecco,
fiera del suo popol sardo,
l’Isola,
fertil d’uomini contenti
di scaldare
li scranni più eminenti,
pria che
calasse Bossi longobardo.
Poscia, per evitar
l’usato puzzo,
volte le
terga a l’erculée colonne,
volo d’un
balzo in terra di Marchionne,
e, mentre
leggi, sono già in Abruzzo.
Quest’è
patria d’Ovidio, e dell’Antonio
sodal, a un
tempo, a Silvio ed a Di Pietro:
sgorga la
sua favella dal didietro,
ché la
faccia non è di miglior conio.
E mentre
quei contra la luna latra,
priego la
dolce Musa che m’assista;
novo è ‘l
cammino, nova ancor la pista
che mena a
la region uggiosa ed atra.
Già l’ora
tarda tinge d’ametista
il mar,
ch’in cielo sfuma; a l’orizzonte
la sagoma
m’appar bruna d’un monte:
è Gargano
che s’offre a la mia vista.
Sotto le sue
pendici padre Pio
infinocchiò
le turbe d’innocenti
ch’or una
gamba, or tutti li denti
speravano
sanar da morbo rio.
Tu devi ben
saper il fatto empio:
tanto fu
l’oro tolto a’ suoi seguaci,
che,
vegliato da monaci rapaci,
n’avanzò pur
per innalzargli un tempio.
Ma non
pensar, lettor, che li terroni
ognora sian o
sciocchi o ben pasciuti;
savi e
frugali, più ch’altrove aguti,
a Palermo
han fatto li milioni.
Ed altri son,
s’io son degno di fede,
rifatti fessi ov’ urge gir in guerra,
come fece
già Ulisse in la sua terra;
ma crudo è
‘l fato d’ogni Palamede.
E ‘l padre
Dante, ch’ebbe così caro
lo ’ndugiar appo
i savi d’Antinferno,
non potea divisar che ’l Padre etterno
avea già proclamato
Catanzaro
fucina somma
d’ogni vera scienza.
Erede
d’Alessandria e, pria, d’Atene,
ogni animal
che viva qua se n’ viene
a perseguir
virtute e conoscenza.
Uscita da le
selve d’Amatrice,
dicon giungesse
la superba Lupa:
tornata in
Lazio molto meno cupa,
fu dei fasti
di Roma levatrice.
De la Lupa
non so, ma Mariastella
vi piovve
ch’era sol ringhiosa cagna:
dopo pochi
esercizi alla lavagna,
più di
Gorgia sapiente, montò in sella
e diè volta
a l’amata sua Leonessa;
fu poi
lustro a l’italica nazione,
ministra de
la Pubblica Istruzione,
e nel dritto
eccellente dottoressa.
Maligna alcun che ‘l titolo di studio
che ne la
Magna Grecia è procacciato
valga sol
per il posto ne lo Stato,
sempre
occasion d’universal tripudio.
E intanto da
li spalti di Padania,
adorni de li
usati ceffi tristi,
viepiù belli
del grifo dei leghisti,
si leva ad
una voce l’aspra lagna:
“Razza di
lazzaron, o tu!, Vesuvio!,
ch’ ancora
lasci l’opra tua incompiuta
sovra Napoli
e plebe sua cornuta:
foco non hai
per l’ultimo diluvio?”
Saprò già mai de’ due chi fu ’l primiero,
se Cavurre,
o ‘l prence di Savoia,
più acconcio
a reclutare qualche troia
ch’ a
cingere corona e pur cimiero,
a vaneggiar
l’idea d’Italia unita?
Un dubbio mi
riman: che ‘l Masnadiero
in Sicilia
volgesse ‘l suo veliero
per rimpiazzare
la defunta Anita.
Ma concupire tutto ‘l Meridione,
qual meretrice guasta, a buon mercato,
or ch’ altro
morbo è metastatizzato,
non fu gran
giovamento a la Nazione.
D’Esperia
omai n’è dato l’abitare
la liquida
necropoli fetente:
Oh, beata
d’Atlantide la gente,
poi ch’ebbe
ad affogar in acque chiare!
[I fatti di cronaca citati sono tratti da
stampa
o informazione radiofonica di risonanza
nazionale]