COSTITUZIONE
FORMALE E COSTITUZIONE MATERIALE
di Franco Astengo
Durante la convulsa
rincorsa in atto verso la formazione di un governo è ricomparso, nella vicenda
italiana, un antico punto di confronto tra “Costituzione formale” e
“Costituzione materiale”.
Un
dilemma che appariva aver racchiuso il proprio cerchio tra l’esito di due
referendum: quello del 18 aprile 1993 riguardante la formula elettorale del
Senato dal cui esito partì la stagione del maggioritario (parziale) e del
bipolarismo e quello del 4 dicembre 2016 svoltosi con la posta in palio delle
deformazioni costituzionali imposte al Parlamento dal PD.
Un
lungo periodo di “transizione”, volgarmente (e in forma sbagliata) definito dai
media “Seconda Repubblica” dove i punti di tensione sono stati soprattutto due:
la “governabilità” e il “presidenzialismo”.
Due
elementi di dibattito sorti soprattutto dalla trasformazione subita dal sistema
dei partiti a causa della caduta del muro di Berlino, di Tangentopoli e della
stipula del trattato di Maastricht oltre che dall’avanzarsi del processo di
personalizzazione della politica alimentato (fino al punto di far nascere la
definizione di “partito personale”) dalle forti innovazione che il progresso
tecnologico ha via via apportato all’utilizzo dei mezzi di comunicazione di
massa. Da notare come il presidenzialismo (nella sua forma “semi”) avesse fatto
parte del pacchetto di riforme proposto dalla Commissione Bicamerale del 1997,
le cui determinazioni non si realizzarono per l’opposizione del centro destra.
Centro
destra che, nel 2006, propose ancora un insieme di riforme al centro delle
quali si trovava un duplice spostamento di poteri: dal Parlamento verso il
Governo e dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio. Ipotesi
seccamente respinte dal corpo elettorale, come poi è avvenuto del resto il 4
dicembre 2016 in occasione di analogo referendum confermativo al riguardo delle
proposte di modifica costituzionale elaborate del PD e incentrate sulla
sottrazione al voto popolare dell’elezione di uno dei due rami del Parlamento
(il senato) e su di un ulteriore spostamento complessivo nell’esercizio
dell’attività legislativa dal Parlamento al Governo.
Il
tema del presidenzialismo prese poi forma concreta durante il “novennato” di
permanenza al Quirinale da parte di Giorgio Napolitano, la cui interpretazione
del ruolo ha fatto in più occasioni pensare a una pericolosa convivenza tra un
approccio formalmente ancora interno all’articolo 95 e un altro modo di
intendere le proprie mansioni collocato al di fuori da quel dettato, in
un’ottica presenzialista e interventista sul piano puramente politico,
espressasi in particolare nel frangente dell’incarico a Monti (un atteggiamento
questo di Napolitano molto più accentuato sul terreno interventista rispetto a
quello tenuto da Pertini al momento dell’incarico a Spadolini, da Cossiga nella
sua ultima fase quella delle “picconate”, e da Scalfaro in ispecie quando
quest’ultimo nel 1995 negò le elezioni anticipate al momento delle dimissioni
del Berlusconi I correndo il rischio della formazione di una nuova maggioranza
del tutto “spuria” sul piano politico, formata da PD e Lega Nord come
architravi di sostegno).
Nel
corso di questi anni il leit-motiv del dibattito in materia fu appunto quello
del contrasto tra “Costituzione formale”, ormai giudicata inadeguata e
“Costituzione materiale”, basata su di una prassi che appariva consolidata e
quindi semplicemente da tradurre in modifiche del dettato costituzionale.
L’esito
del voto popolare, in ben due occasioni, respinse – com’è già stato ricordato –
questa ipotesi e il punto sembrava essere ritornato alla conferma della
“Costituzione formale”.
I
termini nei quali oggi questo tema si sta ripresentando, sono diversi dal
passato ma hanno comunque al centro l’ossessione per il “governo”, inteso quale
luogo di mero esercizio del “potere”.
Si
potrebbe riassumere che la questione è, appunto, tra “governo” e “potere”.
Entrambe
le forze che si apprestano a formare il nuovo esecutivo, Lega e M5S, hanno
operato in campagna elettorale come se la formula fosse maggioritaria e non per
i 3/ 4 proporzionale.
L’idea
di fondo del soggetto di maggioranza relativa, in ossequio alla propria sia pur
breve storia, era quella dell’applicazione della “democrazia diretta”,
giudicata il solo rimedio alla decadenza della “democrazia rappresentativa” il
cui riferimento costituisce, invece, il fondamento della forma parlamentare
della Repubblica (senza anteposizione di numero ordinale) nel testo della
Costituzione.
In
questo modo, nel corso di questi due mesi, sono state messe in discussione la
figura del Presidente della Repubblica, quella del Presidente del Consiglio e
il ruolo del Parlamento.
Proposizioni
quanto mai incisive di modifica sostanziale di titoli I, II, III della seconda
parte della Costituzione.
In
nome della “democrazia diretta”
attraverso i cui non meglio precisati meccanismi (gli unici che conosciamo sono
quelli della piattaforma “Rousseau”) un non meglio precisato “popolo” avrebbe
designato i suoi governanti, si è tentato di modificare il ruolo del Presidente
della Repubblica a una funzione di tipo notarile di mero assolvimento delle
indicazioni della costituenda maggioranza; il ruolo del Presidente del
Consiglio trasformato in mero esecutore del “programma” e quindi, al massimo,
visto nelle vesti di una sorta di amministratore delegato; le funzioni del
Parlamento inteso quale mera sede di ratifica (dopo averne invocato, per altro,
il ritorno alla “centralità”) a compimento di un iter di svilimento del ruolo
parlamentare che sicuramente arriva da lontano, anche attraverso la strategia
dei decreti leggi strumento di cui hanno abusato certamente tutti i governi
nell’ultimo ventennio.
Ed
è stato in questo modo che si è riproposta la questione della “Costituzione
materiale”, in forma diversa, ma sempre attorno al nodo del rapporto tra
“rappresentanza” e “governabilità”, di conseguenza tra “governo” e “potere”
come si era accennato all’inizio di questo intervento.
Indipendentemente
dall’esito della vicenda contingente legata alla formazione dell’esecutivo
Lega-M5S s’impongono almeno due punti di riflessione:
1) È evidente come esista una necessità di
rappresentazione politica più immediata dei bisogni sociali, formulata al di
fuori di schemi che evidentemente non reggono più la modernità. Deve essere
però questo il compito del rinnovamento delle forze politiche e del recupero
della loro capacità nello svolgere due compiti ormai negletti: quello
riguardante il radicamento sociale e quello relativo alla funzione pedagogica;
2) Appare però il caso di
riaffermare ancora, come si è fatto esprimendo il “NO” nel referendum del 4
dicembre 2016 (il cui esito sembra ormai dimenticato), l’impianto parlamentare
della Repubblica. Lo scopo, nel far questo, deve essere prima di tutto quello
di ricordare le radici nelle quali affondano le scelte che furono compiute dai
Padri Costituenti: l’antifascismo e la Resistenza. Antifascismo e Resistenza
che rappresentano ancora un’espressione di valori fondanti di cui mantenere ben
preziosa l’identità nella vita politica e sociale della Repubblica.